V. Discordie tumulti e ribellione in Genova. I genovesi deliberano di
espugnare Monaco, e il re di Francia si prepara a ridurli a ubbidienza. Il
pontefice delibera improvvisamente di tornare a Roma sdegnato col re per le
vicende di Genova.
Alla fine di
questo anno, acciò che l'anno nuovo non cominciasse senza materia di nuove
guerre, seguitò la rebellione de' genovesi dalla divozione del re di Francia;
non mossa principalmente da altri che da loro medesimi, né cominciato il
fondamento da desiderio di ribellarsi ma da discordie civili che traportorono
gli uomini più oltre che non erano state le prime deliberazioni. La città di
Genova, città veramente edificata in quel luogo per lo imperio del mare, se
tanta opportunità non fusse stata impedita dal pestifero veleno delle discordie
civili, non è come molte dell'altre d'Italia sottoposta a una sola divisione ma
divisa in più parti; perché vi sono ancora le reliquie delle antiche
contenzioni de' guelfi e de' ghibellini. Regnavi la discordia, dalla quale
furono già in Italia e specialmente in Toscana conquassate molte città, tra i gentiluomini
e i popolari: perché i popolari, non volendo sopportare la superbia della
nobiltà, raffrenorno la potenza loro con molte severissime e asprissime leggi;
e infra le altre, avendo lasciata loro porzione determinata in quasi tutti gli
altri magistrati e onori, gli esclusono particolarmente dalla degnità del doge,
il quale magistrato, supremo a tutti gli altri, si concedeva per tutta la vita
di chi era eletto: benché, per la instabilità di quella città, a niuno forse o
a pochissimi fu permesso continuare tanto onore insino alla morte. Ma non è
divisione manco potente quella tra gli Adorni e i Fregosi, i quali di case
popolari diventati cappellacci (così chiamano i genovesi coloro che sono ascesi
a molta grandezza) contendono insieme la degnità del doge, continuata molti
anni quasi sempre in una di loro. Perché i gentiluomini, guelfi e ghibellini,
non potendo essi per la proibizione delle leggi conseguirla, procuravano che la
fusse conferita ne' popolari della fazione medesima, e favorendo i ghibellini
[gli Adorni] i guelfi [i Fregosi] si feciono in progresso di tempo queste due
famiglie più illustri e più potenti di quegli il nome de' quali e l'autorità
solevano prima seguitare. E si confondono in modo tutte queste divisioni che
spesso quegli che sono d'una medesima parte, contro alla parte opposita, sono
eziandio tra se medesimi divisi in varie parti, e per contrario congiunti in
una parte con quegli che seguitano un'altra parte. Ma cominciò questo anno ad
accendersi altercazione tra i gentiluomini e i popolari; la quale, avendo
principio dalla insolenza di alcuni nobili e trovando per l'ordinario gli animi
dell'una parte e dell'altra male disposti, si convertì prestamente da
contenzioni private in discordie publiche, più facili a generarsi nelle città,
come era allora Genova, molto abbondanti di ricchezze: le quali trascorsono
tanto oltre che 'l popolo, concitato tumultuosamente all'armi e ammazzato uno
della famiglia d'Oria e feriti alcuni altri gentiluomini, ottenne, più con la
violenza che con la volontà libera de' cittadini, che ne' consigli publici, ne'
quali intervennono pochissimi della nobiltà, si statuisse il dì seguente che
degli uffici, i quali prima si dividevano tra i nobili e i popolari in parte
eguale, se ne concedessino per l'avvenire due parti al popolo rimanendone una
sola alla nobiltà: alla quale deliberazione, per timore che non si facessino
maggiori scandoli, acconsentì Roccalbertino Catelano che invece di Filippo di
Ravesten, governatore regio allora assente, era preposto alla città. E
nondimeno i popolari non quietati per questo, suscitato fra pochissimi dì nuovo
tumulto saccheggiorno le case de' nobili; per la qual cosa la maggiore parte
della nobiltà, non si tenendo più sicura nella patria, se n'uscì fuora. Ritornò
di Francia a Genova subitamente, intese queste alterazioni, il governatore con
cento cinquanta cavalli e settecento fanti, ma non potette, né con la autorità
né con le persuasioni né con le forze, ridurre in parte alcuna le cose a stato
migliore; anzi bisognandogli spesso accomodarsi alle volontà popolari, comandò
che alcune altre genti che lo seguitavano ritornassino indietro. Da' quali
princìpi diventando la moltitudine continuamente più insolente, ed essendo,
come comunemente accade nelle città tumultuose, il reggimento, contro alla
volontà di molti popolari onesti, caduto quasi interamente nella feccia della
plebe, e avendo creato da se stessa per capo del suo furore uno magistrato
nuovo di otto uomini plebei con grandissima autorità (i quali, acciò che il
nome gli concitasse a maggiore insania, chiamavano tribuni della plebe)
occuporno con l'armi la terra della Spezie e l'altre terre della riviera di
levante, governate per ordinazione del re da Gianluigi dal Fiesco. Querelossi
di queste insolenze al re in nome di tutta la nobiltà e per l'interesse suo
proprio Gianluigi; dimostrandogli il pericolo manifesto di perdere il dominio
di Genova, poiché la moltitudine era trascorsa in tale temerità che oltre a
tanti altri mali aveva ardito, procedendo direttamente contro alla autorità
regia, occupare le terre della riviera: essere facile, usando con celerità i
rimedi convenienti, il reprimere tanto furore mentre che ancora non aveano
fomento o sussidio da alcuno; ma tardando a provedervi, il male metterebbe,
ogni dì più, maggiori radici, perché la importanza di Genova per terra e per
mare era tale che inviterebbe facilmente qualche principe a nutrire questo
incendio tanto pernicioso allo stato suo, e la plebe, conoscendo quel che da
principio era forse stato sedizione essere diventato ribellione, si
accosterebbe a qualunque gli desse speranza di difenderla. Ma da altra parte si
ingegnavano gli oratori mandati al re dal popolo di Genova di giustificare la
causa loro, dimostrando non altro avere incitato il popolo che la superbia de'
gentiluomini, i quali, non contenti degli onori convenienti alla nobiltà,
voleano essere onorati e temuti come signori. Avere il popolo tollerato
lungamente le insolenze loro, ma ingiuriati finalmente, non solo nelle facoltà
ma nelle persone proprie, non avere potuto più contenersi; e nondimeno non
essere proceduti se non a quelle cose senza le quali non poteva essere sicura
la libertà loro, perché partecipando i nobili negli uffici per parte eguale non
si poteva, per mezzo de' magistrati e de' giudici, resistere alla tirannide
loro: tenendosi per Gianluigi le terre delle riviere, senza il commercio delle
quali era come assediata Genova, in che modo potere i popolari sicuramente
usarvi e conversarvi? Il popolo essere stato sempre divotissimo e fedelissimo della
Maestà regia, e le mutazioni di Genova essere in ogni tempo procedute più da'
gentiluomini che da' popolari. Supplicare il re che, perdonati quei delitti che
contro alla volontà universale erano stati nell'ardore delle contenzioni
commessi da alcuni particolari, confermasse la legge fatta sopra la
distribuzione degli uffici, e che le terre della riviera fussino governate col
nome publico. Così godendo i gentiluomini onoratamente il grado e la degnità
loro, goderebbono i popolari la libertà e la sicurtà conveniente, per la quale
non si faceva pregiudicio ad alcuno; e ridotti per l'autorità sua in questa
tranquillità, adorerebbono in perpetuo la clemenza la bontà e la giustizia del
re.
Erano stati
molestissimi al re questi tumulti, o perché gli fusse sospetta la licenza della
moltitudine o per la inclinazione che hanno comunemente i franciosi al nome de'
gentiluomini, e perciò sarebbe stato disposto a punire gli autori di queste
insolenze e a ridurre tutte le cose nel grado antico; ma temendo che se tentava
rimedi aspri i genovesi non ricorressino a Cesare, di cui non essendo ancora
morto il figliuolo molto temeva, e perciò deliberato di procedere umanamente,
perdonava tutti i delitti fatti, confermava la nuova legge degli uffici, pure che
riponessino in mano sua le terre occupate della riviera: e per disporre a
queste cose il popolo più facilmente mandò a Genova Michele Riccio, dottore e
fuoruscito napoletano, a confortargli che sapessino usare l'occasione della sua
benignità, più tosto che moltiplicando la contumacia e gli errori lo mettessino
in necessità di procedere contro a loro con la severità dello imperio. Ma negli
animi acciecati dalle immoderate cupidità la prudenza, soffocata dalla
temerità, non aveva parte alcuna: non solo la plebe e i tribuni, con tutto che
i magistrati legittimi fussino di contraria sentenza, non accettata la
mansuetudine del re, dinegorno di restituire le terre occupate ma procedendo
continuamente a cose peggiori deliberorno di espugnare Monaco, castello posseduto
da Luciano Grimaldo, o per l'odio comune contro a tutti i gentiluomini genovesi
o perché, per essere situato in luogo molto opportuno in sul mare, importa
assai alle cose di Genova, o movendosi pure per odio particolare, conciossiaché
chi ha in potestà quel luogo, invitato dal sito comodissimo a questo effetto,
soglia difficilmente astenersi da' guadagni marittimi, o perché, secondo
diceano, apparteneva giuridicamente alla republica: e però, benché
contradicendo invano il governatore mandorno per terra e per mare ad assediarlo
molte genti. Onde Filippo di Ravesten, conoscendo stare quivi inutilmente e,
per gli accidenti che potevano nascere, non senza pericolo, lasciato in luogo
suo Roccalbertino, se ne partì; e il re disperato che le cose si potessino
ridurre a forma migliore e giudicando che 'l consentire che le stessino così
non fusse con degnità e con sicurtà sua, ed essere maggiore pericolo se si
lasciassino trascorrere più oltre, cominciò scopertamente a prepararsi con
forze terrestri e marittime per ridurre i genovesi alla sua ubbidienza.
La quale
deliberazione fu cagione che si interrompessino le cose le quali tra 'l
pontefice e il re di Francia si trattavano contro a' viniziani; desiderate
molto dal re, liberato per la morte del re Filippo del sospetto avuto delle
preparazioni di Massimiliano, ma molto più desiderate dal pontefice,
indegnatissimo contro a loro per l'occupazione delle terre della Romagna, e
perché senza alcuno rispetto della sedia apostolica conferivano i vescovadi
vacanti nel loro dominio, e si intromettevano in molte cose appartenenti alla
giurisdizione ecclesiastica: onde inclinato del tutto alla amicizia del re,
oltre allo avere publicato cardinali i vescovi di Baiosa e di Aus, chiesti
innanzi con grande instanza, aveva ricercato il re che passasse in Italia e
venisse a colloquio seco: il che il re aveva consentito di fare: ma intendendo
poi la sua deliberazione di muovere l'armi in favore de' gentiluomini contro al
popolo di Genova, ne ricevé grandissima molestia, essendo, per la inclinazione,
antica delle parti di Savona sua patria, contrario a' gentiluomini e favorevole
al popolo. Però fece instanza col re che si contentasse di avere, non alterando
lo stato popolare, quella città a ubbidienza, e lo confortò efficacemente ad
astenersi dalle armi, allegandone molte ragioni; e principalmente essere
pericolo che, suscitandosi in Italia per questo moto qualche incendio, non si
turbasse il muovere la guerra disegnata contro a' viniziani: alle quali ragioni
vedendo che il re non acconsente, o traportato dallo sdegno e dal dolore o
veramente essendosi rinnovato in lui, o da se stesso o per sottile artificio
d'altri, l'antico sospetto della cupidità del cardinale di Roano, e perciò
dubitando di non essere ritenuto dal re in caso si riducessino in uno luogo
medesimo, e forse concorrendo l'una e l'altra cagione, publicò all'improviso,
nel principio dell'anno mille cinquecento sette, contro all'espettazione di tutti,
volere ritornarsene a Roma; non allegando altre cagioni che l'aria di Bologna
essere nociva alla sua salute e l'assenza di Roma fargli non piccolo detrimento
nell'entrate. Dette questa deliberazione ammirazione assai a ciascuno, e
specialmente al re, che senza alcuna causa lasciasse imperfette le pratiche che
tanto aveva desiderato, interrompendo il colloquio del quale egli medesimo
l'aveva ricerco; e turbatosene molto, non lasciò indietro opera alcuna perché
variasse da questo nuovo pensiero: ma era più tosto nociva che vana l'opera
sua, perché il pontefice, pigliando dalla instanza che se gli faceva maggiore
sospetto, si confermava tanto più nella sua deliberazione; nella quale stando
pertinace, partì alla fine di febbraio da Bologna, non potendo dissimulare lo
sdegno conceputo contro al re. Fondò, innanzi partisse di quella città, la
prima pietra della fortezza che per ordine suo, con infelici auspici, vi si
faceva appresso alla porta di Galera che va a Ferrara, in quello luogo medesimo
ove altra volta co' medesimi auspici era stata edificata da Filippo Maria
Visconte duca di Milano: e avendo per lo sdegno nuovo col re di Francia
mitigato alquanto lo sdegno antico contro a' viniziani, non volendo incomodarsi
dal cammino diritto, passò per la città di Faenza. E sopravenivano a ogn'ora
nuove altercazioni tra il re di Francia e lui: perché aveva instato che i
Bentivogli fussino cacciati dello stato di Milano, con tutto che di
consentimento suo fusse stata concessa loro la facoltà di abitarvi; né aveva
voluto restituire al protonotario, figliuolo di Giovanni, la possessione delle
chiese sue, promessagli con la medesima concordia e consentimento. Tanto spesso
poteva in lui più la contenzione dell'animo che la ragione! La quale
disposizione non con arte o diligenza alcuna tentava di mitigare il re di
Francia; ma sdegnato di tanta variazione e insospettito che, come era la
verità, non desse occultamente animo al popolo di Genova, non si asteneva da
minacciarlo palesemente, tassando con parole ingiuriose la sua ignobilità:
perché non era dubbio il pontefice essere nato vilissimamente e nutrito per
molti anni in umilissimo stato. Anzi, confermato tanto più nella prima sentenza
delle cose di Genova, preparava con somma diligenza l'esercito per andarvi
personalmente, avendo, per l'esperienza delle cose accadute nel regno di
Napoli, imparato che differenza fusse ad amministrare le guerre per se proprio
a commetterle a' capitani.
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