VII. Malcontento del pontefice verso il re di Francia per la soluzione
della questione di Genova. Discorso di Massimiliano alla dieta di Costanza
contro il re. Effetti del discorso.
Ma nessuna cosa
bastava a moderare l'animo del pontefice; il quale, interpretando tutte le cose
in senso peggiore, si querelava di nuovo non mediocremente del re, come se per
opera sua fusse proceduto che Annibale Bentivoglio, con secento fanti raccolti
del ducato di Milano, aveva in quegli dì tentato di entrare in Bologna,
affermando che quando gli fusse succeduto si sarebbe dimostrato più oltre
contro allo stato ecclesiastico: dalla qual cosa sdegnato, benché con
grandissima difficoltà avesse prima publicati cardinali i vescovi di Aus e di
Baiosa, recusava di publicare il vescovo d'Albi; lamentandosi che da Ciamonte
suo fratello fusse permesso che i Bentivogli abitassino nel ducato di Milano.
Ma quel che era di più momento, traportato non meno dall'odio che dal sospetto,
aveva, quando il re publicò di volere coll'armi ridurre a ubbidienza i
genovesi, significato per suoi nunzi e con uno breve al re de' romani e agli
elettori dello imperio che 'l re di Francia si preparava a passare in Italia
con potentissimo esercito, simulando di volere raffrenare i tumulti di Genova, i
quali era in potestà sua di quietare con la autorità sola, ma in verità per
opprimere lo stato della Chiesa e usurpare la dignità dello imperio: e il
medesimo, oltre al pontefice, gli significavano i viniziani, mossi dal medesimo
timore della venuta del re di Francia in Italia con tanto esercito. Le quali
cose intese, Massimiliano, cupidissimo per sua natura di cose nuove, essendo in
quegli dì ritornato di Fiandra, dove invano tentò di assumere il governo del
nipote, aveva convocato nella città di Gostanza i prìncipi di Germania e le
terre franche (chiamano terre franche quelle città che, riconoscendo in certi
pagamenti determinati l'autorità dello imperio, si governano in tutte l'altre
cose per se stesse, intente non ad ampliare il loro territorio ma a conservare
la propria libertà). Dove concorsono i baroni e prìncipi e i popoli di tutta
Germania, forse più prontamente e in maggiore numero che fussino, già
lunghissimo tempo, concorsi a dieta alcuna: conciossiaché vi convennono
personalmente tutti gli elettori, tutti i prìncipi ecclesiastici e secolari
della Alamagna, da quegli in fuora che erano ritenuti da qualche giusto
impedimento, per i quali nondimeno vi vennono o figliuoli o fratelli o altre
congiuntissime persone, che rappresentavano il nome loro; e similmente tutte le
terre franche vi mandorono imbasciadori. I quali come furono congregati, Cesare
fece leggere il breve del pontefice, e molte lettere per le quali gli era di
vari luoghi significato il medesimo; e in alcuna delle quali era espresso essere
la intenzione del re di Francia di collocare nella sedia pontificale il
cardinale di Roano, e da lui ricevere la corona imperiale: per i quali avvisi
essendo già concitati gli animi di tutti in grandissima indegnazione, Cesare,
cessato che fu lo strepito, parlò in questa sentenza:
- Già vedete,
nobilissimi elettori e prìncipi e spettabili oratori, che effetti abbia
prodotti la pazienza che abbiamo avuta per il passato; già, che frutto abbia
partorito l'essere state disprezzate le querele mie in tante diete. Già vedete
che il re di Francia, il quale non ardiva prima, se non con grandi occasioni e
con apparenti colori, tentare le cose appartenenti al sacro imperio, ora
apertamente si prepara non per difendere, come altre volte ha fatto, i ribelli
nostri, non per occupare in qualche luogo le ragioni dello imperio, ma per
spogliare la Germania della degnità imperiale, stata acquistata e conservata
con tanta virtù e con tanta fatica da' nostri maggiori. A tanta audacia lo
incita non l'essere accresciute le forze sue, non l'essere diminuite le forze
nostre, non l'ignorare quanto sia senza comparazione più potente la Germania
che la Francia, ma la speranza, conceputa per l'esperienza delle cose passate,
che noi abbiamo a essere simili a noi medesimi, che in noi abbia a potere più o
le dissensioni o la ignavia nostra che gli stimoli della gloria, anzi della
salute; che per le medesime cagioni per le quali abbiamo con tanta vergogna
tollerato che da lui sia occupato il ducato di Milano, che da lui siano nutrite
le discordie tra noi, che da lui siano difesi i ribelli dello imperio, abbiamo
similmente a tollerare che da lui ci sia rapita la degnità imperiale,
trasferito in Francia l'ornamento e lo splendore di questa nazione. Quanto
minore ignominia sarebbe del nome nostro, quanto minore dolore sentirebbe
l'animo mio, se e' fusse noto a tutto il mondo che la potenza germanica fusse
inferiore della potenza franzese! perché manco mi crucierebbe il danno che la
infamia, perché almeno non sarebbe attribuito a viltà o a imprudenza nostra
quel che procederebbe o dalla condizione de' tempi o dalla malignità della
fortuna. E che maggiore infelicità, che maggiore miseria, essere ridotti in
grado che ci sia cosa desiderabile il non essere potenti! che abbiamo a eleggere
spontaneamente il danno gravissimo, per fuggire, poi che altrimenti non si può,
la infamia e il vituperio eterno del nome nostro! Benché, la magnanimità di
ciascuno di voi esperimentata tante volte nelle cose particolari, benché la
ferocia propria e precipua di questa nazione, benché la memoria della virtù
antica e de' trionfi de' padri nostri, terrore già e spavento di tutte l'altre
nazioni, mi dànno quasi speranza, anzi quasi certezza, che in causa tanto grave
s'abbino a destare i bellicosi e invitti spiriti vostri. Non si tratta della
alienazione del ducato di Milano, non della ribellione de' svizzeri, nelle
quali cause tanto gravi sia stata leggiera la mia autorità, per l'affinità che
io avevo con Lodovico Sforza, per gli interessi particolari della casa di
Austria. Ma ora, che escusazione si potrebbe pretendere? con che velame si
potrebbe ricoprire la ignominia nostra? Trattasi se i Germani, possessori, non
per fortuna ma per virtù, dello imperio romano, l'armi de' quali domorono già
quasi tutto il mondo, il nome de' quali è anche al presente spaventoso a tutti
i regni de' cristiani, hanno a lasciarsi vilmente spogliare di tanta degnità,
hanno a essere esempio di infamia, hanno a diventare della prima e della più
gloriosa nazione l'ultima, la più schernita, la più vituperosa di tutto il
mondo. E quali cagioni quali interessi quali sdegni giammai vi moveranno se
questi non vi muovono? quali ecciteranno in voi i semi del valore e della
generosità de' vostri maggiori se questi non gli eccitano? Con quanto dolore
sentiranno, ne' tempi futuri, i vostri figliuoli e i vostri discendenti la
memoria de' vostri nomi, se non conservate loro in quella grandezza, in quella
autorità, il nome germanico, nella quale fu conservato a voi da' vostri padri?
Ma lasciamo da parte i conforti e le persuasioni, perché a me, collocato da voi
in tanta degnità, non conviene distendersi in parole ma proporvi fatti ed
esempli. Io ho deliberato di passare in Italia, in nome per ricevere la corona
dello imperio (solennità, come vi è noto, più di cerimonia che di sostanza,
perché la degnità e l'autorità imperiale depende in tutto dalla vostra
elezione) ma principalmente per interrompere questi consigli scelerati de'
franzesi, per scacciargli del ducato di Milano, poiché altrimenti non possiamo
assicurarci dalla insolenza loro. Sono certo che niuno di voi farà difficoltà
di darmi i sussidi soliti darsi agli imperadori che vanno a incoronarsi, i
quali congiunti alle forze mie non dubito d'avere a passare vittorioso per
tutto, e che la maggiore parte d'Italia supplichevole mi verrà incontro, chi
per confermare i suoi privilegi, chi per conseguire dalla giustizia nostra
rimedio alle oppressioni che gli sono fatte, chi per placare con divota
sommissione l'ira del vincitore. Cederà il re di Francia al nome solo delle
armi nostre, avendo i franzesi innanzi agli occhi la memoria quando giovanetto,
e quasi fanciullo, roppi con vera virtù e magnanimità, a Guineguaste,
l'esercito del re Luigi: dal quale tempo in qua, recusando di fare esperienza delle
mie armi, non hanno mai i re di Francia combattuto meco se non con insidie e
con fraudi. Ma considerate, con la generosità e magnanimità propria de'
tedeschi, se e' conviene alla fama e onore vostro, in pericolo comune tanto
grave, risentirsi sì pigramente, e non fare in caso tanto estraordinario
estraordinarie provisioni. Non ricerca egli la gloria la grandezza del nome
vostro, della quale è stato sempre proprio difendere la degnità de' pontefici
romani l'autorità della sedia apostolica, che ora con la medesima ambizione ed
empietà sono sceleratamente violate dal re di Francia, che per decreto comune
di tutta la Germania si piglino a questo effetto potentissimamente l'armi?
Questo interesse è tutto vostro, perché io ho adempiute assai le parti mie ad avervi
convocato prontamente per manifestarvi il pericolo comune, ad avervi incitato
con l'esempio della mia deliberazione. In me non mancherà fortezza di animo a
espormi a qualunque pericolo, non corpo abile per la continua esercitazione a
tollerare qualunque fatica; né il consiglio nelle cose della guerra, per la età
e per la lunga esperienza, è tale che a questa impresa vi manchi capo capace di
tutti gli onori: ma con quanta maggiore autorità il vostro re ornerete, con
quanta maggiore potenza ed esercito lo circonderete, tanto più facilmente, con
somma gloria vostra, si difenderà la libertà della Chiesa romana, madre comune;
esalterassi insino al cielo, insieme con la gloria del nome germanico, la
degnità imperiale, grandezza e splendore comune a tutti voi, e comune a questa
potentissima e ferocissima nazione. -
E alle parole
di Cesare accresceva autorità la memoria che nelle altre diete non fussino
state udite le querele sue; ed era facile aggiugnere negli animi già concitati
nuova indegnazione. Però, essendo in tutti ardore grandissimo a non comportare
che la maestà dello imperio fusse, per negligenza loro, trasferita in altre
nazioni, si cominciorno con unione grande a trattare gli articoli necessari,
affermandosi per tutti doversi preparare esercito potentissimo, e bastante
eziandio, quando fussino oppositi il re di Francia e tutti gli italiani, a
rinnovare e recuperare in Italia le antiche ragioni dello imperio, state
usurpate o per impotenza o per colpa de' Cesari passati. Così ricercare la
gloria del nome germanico, così il concorso di tanti prìncipi e di tutte le
terre franche; ed essere una volta necessario dimostrare a tutto il mondo che,
se bene la Germania per molti anni non aveva avuto le volontà unite, non era
però che non avesse la medesima possanza e la medesima magnanimità la quale
aveva fatto temere gli antichi loro da tutto il mondo, donde e in universale
era nata al nome loro grandissima gloria e la degnità imperiale, e in
particolare molti nobili n'avevano acquistato signorie e grandezze. E quante
case illustri avere lungo tempo regnato in Italia negli stati acquistati con la
loro virtù! Le quali cose si cominciorono a trattare con tanta caldezza che è
manifesto che, già moltissimi anni, non era stata cominciata dieta alcuna dalla
quale si aspettassino maggiori movimenti: persuadendosi universalmente gli
uomini che, oltre all'altre ragioni, farebbe gli elettori e gli altri prìncipi
più pronti la speranza che aveano che, per l'età tenera de' figliuoli del re
Filippo, la degnità imperiale, continuata successivamente in Alberto, Federigo
e Massimiliano, tutt'a tre della casa d'Austria, avesse finalmente a passare in
altra famiglia.
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