VIII. Desiderio del re di Francia d'abboccarsi con Ferdinando d'Aragona,
che sta per riassumere il governo di Castiglia. Delusioni e malcontento nel
reame di Napoli; il pontefice nega l'investitura a Ferdinando. Cordiale
incontro a Savona de' due re. Ammirazione pel gran capitano. Accordi fra i due
re; la questione di Pisa. Ira del pontefice contro i Bentivoglio.
Le quali cose
pervenute agli orecchi del re di Francia lo avevano indotto a dissolvere, per
rimuovere tale suspicione, subito che ebbe ottenuto Genova, l'esercito; e
arebbe esso con la medesima celerità ripassato i monti se non l'avesse ritenuto
il desiderio di essere a parlamento col re di Aragona, il quale si preparava
per ritornare in Spagna, intento tutto a riassumere il governo di Castiglia.
Perché, essendo inabile Giovanna sua figliuola a tanta amministrazione, non
tanto per la imbecillità del sesso quanto perché, per umori melanconici che se
gli scopersono nella morte del marito, era alienata dello intelletto, e inabili
ancora per la età i figliuoli comuni del re Filippo e di lei, de' quali il
primogenito non arrivava al decimo anno, era Ferdinando desiderato e chiamato a
quel governo da molti, per la memoria di essere stati retti giustamente, e
fioriti per la lunga pace quegli regni sotto lui: e accrescevano questo
desiderio le dissensioni già cominciate tra' signori grandi, e l'apparire da
molte parti segni manifestissimi di future turbazioni. Ma non meno era
desiderato dalla figliuola, la quale, non essendo nell'altre cose in potestà di
se medesima, stette sempre costante in desiderare il ritorno del padre,
negando, contro alle suggestioni e importunità di molti, ostinatamente, di non
sottoscrivere di mano propria in espedizione alcuna il nome suo, senza la quale
soscrizione non avevano secondo la consuetudine di quegli regni i negozi occorrenti
la sua perfezione.
Per queste
cagioni partì il re d'Aragona del regno di Napoli, non vi essendo dimorato più
che sette mesi, né avendo sodisfatto alla espettazione grandissima che si era
avuta di lui; non solo per la brevità del tempo, e perché difficilmente si può
corrispondere a' concetti degli uomini il più delle volte non considerati con
la debita maturità né misurati con le debite proporzioni, ma perché se gli
opposono molte difficoltà e impedimenti, per i quali né per il comodo universale
d'Italia fece cosa alcuna degna di laude o di memoria, né fece utilità o
beneficio alcuno nel regno di Napoli: perché alle cose d'Italia non lo lasciò
pensare il desiderio di ritornare presto nel governo di Castiglia, fondamento
principale della grandezza sua, per il quale era necessitato fare ogni opera
per conservarsi amici il re de' romani e il re di Francia, acciò che l'uno con
l'autorità di essere avolo de' piccoli figliuoli del re morto, l'altro con la
potenza vicina e col dare animo a opporsegli a chi avea l'animo alieno da lui,
non gli mettessino disturbo a ritornarvi; e nel riordinare o gratificare il
regno napoletano gli dette difficoltà l'essere obligato, per la pace fatta col
re di Francia, a restituire gli stati tolti a' baroni angioini, che, o per
convenzione o per remunerazione, erano stati distribuiti in coloro che avevano
seguitato la parte sua. E questi, non volendo egli alienarsi i suoi medesimi,
era necessitato di ricompensare o con stati equivalenti, che s'avevano a
comperare da altri, o con danari: alla qual cosa essendo impotentissime le sue
facoltà, era costretto non solo a fare vivi in qualunque modo i proventi regi,
e a denegare di fare, secondo il costume de' nuovi re, grazia o esenzione
alcuna o esercitare specie alcuna di liberalità, ma eziandio, con querele
incredibili di tutti, ad aggravare i popoli, i quali avevano aspettato
sollevazione e ristoro di tanti mali. Né si udivano minori le querele de'
baroni di ciascuna delle parti: perché a quegli che possedevano, oltreché
malvolentieri rilasciassino gli stati, furono per necessità scarse e limitate
le ricompensazioni, e a quegli altri si ristrigneva quanto si poteva, in tutte
le cose nelle quali accadeva controversia, il beneficio della restituzione,
perché quanto meno a loro si restituiva tanto meno agli altri si ricompensava.
Partì con lui il gran capitano, ma con benivolenza e fama incredibile; e del
quale, oltre alle laudi degli altri tempi, era molto celebrata la liberalità
dimostratasi nel fare innanzi alla partita sua grandissimi doni; a' quali
impotente altrimenti, vendé, per non mancare di questo onore, non piccola parte
degli stati propri. Né partì il re da Napoli con molta sodisfazione tra il
pontefice e lui: perché dimandandogli la investitura del regno, il pontefice
denegava di concederla se non col censo con il quale era stato conceduto agli
antichi re, e il re faceva instanza che gli fusse fatta la medesima diminuzione
che era stata fatta a Ferdinando suo cugino e a' figliuoli e a' nipoti;
dimandando l'investitura di tutto 'l regno in nome suo proprio, come successore
di Alfonso vecchio, nel qual modo, quando era a Napoli, aveva ricevuto
l'omaggio e i giuramenti, con tutto che ne' capitoli della pace fatta col re di
Francia si disponesse che, in quanto a Terra di Lavoro e l'Abruzzi, si
riconoscesse insieme il nome della reina. Credettesi che l'avere denegato il
concedere l'investitura fusse cagione che 'l re recusasse di venire a
parlamento col pontefice, il quale essendo stato nel tempo medesimo più dì
nella rocca d'Ostia si diceva esservi stato per aspettare la passata sua.
Quel che di
questo sia la verità, dirizzò il re d'Aragona la navigazione a Savona, ove era
convenuto di abboccarsi col re di Francia; il quale, essendo per questa cagione
soprastato in Italia, subito che ebbe intesa la partita sua da Napoli, vi era
venuto da Milano. Furono in questo congresso da ogni parte molto libere e piene
di somma confidenza le dimostrazioni, e tali quali non era memoria degli uomini
essere mai state in alcuno congresso simile; perché negli altri prìncipi, tra'
quali era o emulazione o ingiurie antiche o causa di sospetto, si riducevano
insieme con tale ordine che l'uno non si metteva in potestà dell'altro, ma in
questo ogni cosa procedette diversamente. Perché, come l'armata aragonese si
accostò al porto di Savona, il re di Francia, che allo apparire suo nel mare
era disceso in sul molo del porto, passò, per uno ponte fatto per questo
effetto di legname, con pochi gentiluomini e senza alcuna guardia, in sulla
poppa della galea del re; ove raccolto con allegrezza inestimabile dal re e
dalla reina nipote sua, poiché vi furono dimorati con giocondissime parole per
alquanto spazio, usciti della galea, per il ponte medesimo entrorono a piedi
nella città, avendo fatica non mediocre di passare per mezzo di infinita
moltitudine d'uomini e di donne concorsa di tutte le terre circostanti. Aveva
la reina alla mano destra il marito all'altra il zio, ornata maravigliosamente
di gioie e di altri suntuosissimi abbigliamenti: appresso a' due re, il
cardinale di Roano e il gran capitano. Seguitavano molte fanciulle e giovani
nobili della corte della reina, tutte ornate superbissimamente: innanzi e
indietro, le corti de' due re con magnificenza e pompa incredibile di suntuosissime
vesti e di altri ricchissimi ornamenti. Con la quale celebrità furono dal re di
Francia accompagnati il re e la reina di Aragona al castello, deputato per suo
alloggiamento, il quale ha l'uscita in sul mare, e assegnata alla sua corte la
metà della città contigua a quello; alloggiando il re di Francia nelle case del
vescovado, che sono di fronte al castello. Spettacolo certamente memorabile,
vedere insieme due re potentissimi tra tutti i prìncipi cristiani, stati poco
innanzi sì acerbissimi inimici, non solo reconciliati e congiunti di parentado
ma, deposti tutti i segni dell'odio e della memoria delle offese, commettere
ciascuno di loro la vita propria in arbitrio dell'altro, con non minore
confidenza che se sempre fussino stati concordissimi fratelli; onde si dava
occasione di ragionamenti a quegli che erano presenti, quale de' due re avesse
dimostrato maggiore confidenza; ed era celebrata, da molti, più quella del re
di Francia, che primo si fusse messo in potestà dell'altro, non sicuro con
altro legame che della fede, perché non era congiunta in matrimonio a lui una
nipote del re di Aragona, non aveva quell'altro maggiore cagione di vergognarsi
perché prima fusse stata osservata la fede a lui, ed era più verisimile il
sospetto che Ferdinando desiderasse di assicurarsi di lui per stabilirsi meglio
il reame di Napoli. Ma da molti altri era più predicata la confidenza di
Ferdinando, che non per tempo brevissimo, come il re di Francia, ma per spazio
di più dì si fusse rimesso in potestà sua; perché avendolo spogliato di uno
regno tale, con tanto danno delle sue genti e con tanta ignominia del suo nome,
aveva da temere che grande fusse l'odio e il desiderio della vendetta, e perché
s'aveva a sospettare più dove era maggiore il premio della perfidia. Del fare
prigione il re di Francia non riportava Ferdinando molto frutto, per essere in
modo ordinato, con le sue leggi e consuetudini, il reame di Francia che non per
questo diminuiva molto di forze e di autorità; ma fatto prigione Ferdinando non
era dubbio che, per avere eredi di piccolissima età, per essergli reame nuovo
il reame di Napoli, e perché gli altri regni suoi e quello di Castiglia
sarebbeno stati per vari accidenti confusi in se stessi, non arebbe il re di
Francia, per molti anni, ricevuto dalla potenza e armi di Spagna ostacolo
alcuno.
Ma non dava
minore materia a' ragionamenti il gran capitano; al quale non erano meno volti
gli occhi degli uomini, per la fama del suo valore e per la memoria di tante
vittorie: la quale faceva che i franzesi, ancora che vinti tante volte da lui e
che solevano avere in sommo odio e orrore il suo nome, non si saziassino di
contemplarlo e onorarlo, e di raccontare a quegli che non erano stati nel reame
di Napoli, chi la celerità quasi incredibile e l'astuzia quando in Calavria
assaltò all'improviso i baroni alloggiati a Laino, chi la costanza dell'animo e
la tolleranza di tante difficoltà e incomodi quando, in mezzo della peste e
della fame, era assediato in Barletta; chi la diligenza e l'efficacia di legare
gli animi, gli uomini, con la quale sostentò tanto tempo i soldati senza
danari; quanto valorosamente combattesse alla Cirignuola, con quanto valore e
fortezza d'animo, inferiore tanto di forze, con l'esercito non pagato e tra
infinite difficoltà, determinasse non si discostare dal fiume del Garigliano;
con che industria militare e con che stratagemmi ottenesse quella vittoria,
quanto sempre fusse stato svegliato a trarre frutto de' disordini degl'inimici:
e accresceva l'ammirazione degli uomini la maestà eccellente della presenza
sua, la magnificenza delle parole, i gesti e le maniere piene di gravità
condita di grazia. Ma sopra tutti il re, che aveva voluto che alla mensa
medesima alla quale cenorono insieme Ferdinando e la reina e lui cenasse ancora
egli, e gliene aveva fatto comandare da Ferdinando, stava come attonito a
guardarlo e a ragionare seco. In modo che, a giudizio di tutti, non fu manco
glorioso quel giorno al gran capitano che quello nel quale, vincitore e come
trionfante, entrò con tutto l'esercito nella città di Napoli. Fu questo
l'ultimo dì de' dì gloriosi al gran capitano, perché dipoi non uscì mai de'
reami di Spagna, né ebbe più facoltà di esercitare la sua virtù né in guerra né
in cose memorabili di pace.
Stettono i due
re insieme tre dì; nel quale tempo ebbono secretissimi e lunghissimi
ragionamenti, non ammesso a quegli, né onorato se non generalmente, il
cardinale di Santa Prassede, legato del pontefice; i quali, per quello che
parte allora si comprese parte dappoi si manifestò, furono principalmente:
promessa l'uno all'altro di conservarsi insieme in perpetua amicizia e
intelligenza, e che Ferdinando si ingegnasse di comporre insieme Cesare e il re
di Francia, acciocché tutti uniti procedessino poi contro a' viniziani. E per
mostrare di essere intenti non manco alle cose comuni che alle proprie,
ragionorono di riformare lo stato della Chiesa, e a questo effetto convocare
uno concilio; in che non procedeva con molta sincerità Ferdinando ma cercava
nutrire il cardinale di Roano, cupidissimo del pontificato, con questa
speranza: con le quali arti prese in modo l'animo suo che, forse con non
piccolo detrimento delle cose del suo re, si accorse tardi, e dopo molti segni
che dimostravano il contrario, quanto fussino in quel principe diverse le
parole dalle opere, e quanto fussino occulti i consigli suoi. Parlossi ancora
tra loro della causa de' pisani, trattata tutto l'anno medesimo da' fiorentini
con l'uno e con l'altro. Perché il re di Francia, quando si preparava contro a'
genovesi, essendo sdegnato contro a loro per i favori davano a' genovesi, e
parendogli opportuno alle cose sue che i fiorentini recuperassino quella città,
aveva data loro speranza, ottenuto che avesse Genova, mandarvi l'esercito, nel
quale e in tutta la corte era, per la medesima cagione, convertita in odio la
benivolenza antica de' pisani; ma espedita la impresa di Genova mutò consiglio,
per le cagioni che lo indussono a licenziare l'esercito, e per non offendere
l'animo del re di Aragona, che affermava che disporrebbe i pisani a ritornare
concordemente sotto 'l dominio de' fiorentini: dalla qual cosa il re di Francia
sperava conseguire da' fiorentini quantità grande di danari. A questo medesimo,
benché per diverse cagioni, si indirizzava l'animo del re di Aragona: al quale
sarebbe stato più grato che i fiorentini non recuperassino Pisa, ma conoscendo
non si potere più conservarla senza spesa e senza difficoltà, e dubitando non
la ottenessino per mezzo del re di Francia, aveva sperato di potere con l'autorità
sua, quando era a Napoli, indurre i pisani a ricevere con oneste condizioni il
dominio de' fiorentini, i quali gli promettevano, succedendo questo, di
confederarsi seco e di donargli in certi tempi cento ventimila ducati; ma non
avendo trovata ne' pisani quella corrispondenza della quale gli aveano prima
data intenzione, per interrompere che il premio non fusse solamente del re di
Francia, aveva detto apertamente agli oratori de' fiorentini che, in qualunque
modo tentassino di recuperare Pisa senza l'aiuto suo, farebbe loro manifesta
opposizione; e al re di Francia, per rimuoverlo da' pensieri di tentare l'armi,
ora mostrava di confidare di indurgli a qualche composizione ora diceva i
pisani essere sotto la sua protezione: benché questo fusse falso, perché era
vero i pisani averla più volte dimandata e offerto di dargli assolutamente il
dominio, ma egli, dando loro sempre speranza di ricevergli, e facendo fare il
medesimo più amplamente al gran capitano, non mai l'aveva accettato. Ma in
Savona, discussa più particolarmente questa materia, conchiusono essere bene
che Pisa ritornasse sotto i fiorentini; ma che ciascuno di loro ne ricevesse
premio. Le quali cose furno cagione che i fiorentini, per non offendere l'animo
del re di Aragona, pretermessono di dare quello anno il guasto alle ricolte de'
pisani: cosa nella quale avevano molta speranza, perché Pisa era molto esausta
di vettovaglie, e tanto debole di forze che le genti de' fiorentini correvano
per tutto il paese insino alle porte; e i contadini, più potenti di numero
d'uomini in Pisa che i cittadini, essendo loro molestissimo il perdere il
frutto delle fatiche loro di tutto l'anno, cominciavano a rimettere assai della
solita ostinazione. Né a' pisani concorrevano più gli aiuti soliti de' vicini; perché
ne' genovesi battuti da tante calamità non erano più i medesimi pensieri,
Pandolfo Petrucci recusava lo spendere, e i lucchesi, con tutto che sempre
occultamente di qualche cosa gli sovvenissino, non potevano soli tanta spesa
sostenere.
Partirono da
Savona con le medesime dimostrazioni di concordia e di amore dopo quattro
giorni i due re; l'uno per mare al cammino di Barzalona; l'altro se ne ritornò
per terra in Francia, lasciate l'altre cose d'Italia nel grado medesimo, ma con
peggiore sodisfazione dell'animo del pontefice. Il quale, di nuovo, presa
occasione dal movimento fatto da Annibale Bentivoglio, avea per il cardinale di
Santa Prassede fatto instanza in Savona che gli facesse dare prigioni Giovanni
Bentivogli e Alessandro suo figliuolo, i quali erano nel ducato di Milano;
allegando che, poi che avevano contravenuto alla concordia fatta per mezzo di
Ciamonte in Bologna, non era più il re obligato a osservare loro la fede data;
e offerendo, in caso gli fusse consentito questo, mandare l'insegne del
cardinalato al vescovo d'Albi. Negava il re costare della colpa di costoro: la
quale perché era disposto a punire aveva fatto ritenere molti dì Giovanni nel
castello di Milano, ma non apparendo indizio alcuno del delitto loro, non
volere mancare della fede alla quale pretendeva di essere obligato; e
nondimeno, per fare cosa grata al pontefice, essere disposto a tollerare che
egli, con le censure e con le pene, procedesse contro a loro come contro a
ribelli della Chiesa; così come non si era lamentato che in Bologna, in sulla
caldezza di questo moto, fusse stato distrutto da' fondamenti il palagio loro.
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