XI. Difficoltà di Massimiliano. I preparativi suoi, quelli del re di
Francia e quelli dei veneziani. Fallita spedizione di fuorusciti genovesi
contro Genova. Lamentele reciproche fra il re di Francia e il pontefice.
Fallito tentativo de' Bentivoglio di ricuperare Bologna; morte di Giovanni
Bentivoglio.
Ma al re de'
romani, rimasto senza speranza d'avere i viniziani congiunti seco, cominciorono
a succedere nuove altre difficoltà; le quali benché si ingegnasse superare con
la grandezza de' suoi concetti, facili a promettersi sempre maggiori le
speranze che gli impedimenti, nondimeno ritardavano grandemente gli effetti de'
suoi disegni; perché né per se medesimo aveva danari che gli bastassino a
condurre i svizzeri e fare tante altre spese che erano necessarie a tanta
impresa, né il sussidio pecuniario che gli aveva promesso la dieta era tale che
potesse supplire a una minima parte della voragine della guerra; e quello
fondamento in sul quale, insino da principio, aveva sperato assai, che le
comunità e i signori d'Italia avessino, per il terrore del nome e della venuta
sua, a comporre seco e sovvenirlo di danari, si andava ogni dì più
difficultando. Perché se bene nel principio vi fussino stati inclinati molti,
nondimeno, non avendo corrisposto le conclusioni della dieta di Gostanza alla
espettazione che la impresa avesse a essere più presto di tutto lo imperio e di
quasi tutta la Germania che sua propria, e vedendosi le preparazioni del re di
Francia potenti, e la nuova dichiarazione de' viniziani, ciascuno stava
sospeso, né ardiva, aiutandolo di quella cosa della quale aveva più di bisogno,
fare offesa sì grave al re di Francia; né le dimande di Massimiliano erano, nel
tempo che si ebbe maggiore spavento di lui, state tali, che con la sua facilità
avessino indotto gli uomini a sovvenirlo. Perché e a ciascuno, secondo le sue
condizioni, dimandava assai; e ad Alfonso duca di Ferrara, il quale pretendeva
essere debitore a Bianca sua moglie della dote di Anna sua sorella, morta molti
anni innanzi nel matrimonio di Alfonso, faceva dimande molto eccessive; e a'
fiorentini intollerabili: a' quali il cardinale brissinense, che trattava a
Roma le cose sue, essendogli da lui stata rimessa la pratica della loro
composizione, aveva dimandato ducati cinquecentomila; la quale dimanda
immoderata gli fece fermare in questa resoluzione di temporeggiare seco insino
a tanto che de' progressi suoi non si vedesse più oltre, e nondimeno, avendo
rispetto a non l'offendere, scusarsi col re di Francia, che dimandava le genti
loro, non potergliene dare perché erano occupate nel guasto che con grande
apparato si dava quello anno a' pisani, e perché, avendo cominciato di nuovo i
genovesi e gli altri vicini ad aiutargli, erano necessitati a stare
continuamente preparati contro a loro. Però, non potendo Cesare aiutarsi,
secondo aveva disegnato, de' denari degl'italiani, perché solamente ebbe da'
sanesi seimila ducati, fece instanza col pontefice che almanco gli concedesse
di pigliare centomila ducati i quali, riscossi prima in Germania sotto nome
della guerra contro a' turchi, ed essendo a questo effetto custoditi in quella
provincia, non si potevano senza licenza della sedia apostolica in altro uso
convertire; offerendo, che se bene non poteva sodisfare alle dimande sue di non
passare in Italia con esercito, nondimeno che, come avesse restituiti nel
ducato di Milano i figliuoli di Lodovico Sforza, il patrocinio de' quali
pretendeva, per farsi i popoli di quello stato più favorevoli e manco esosa la
passata sua, lasciate quivi tutte le genti, andrebbe senza armi a Roma a
ricevere la corona dello imperio. Ma gli fu similmente negata questa dimanda
dal pontefice, il quale non si vedeva inclinare in parte alcuna, dimostrandogli
che in questo stato delle cose non poteva senza molto suo pericolo provocare
l'armi del re di Francia contro a sé. Nondimeno Massimiliano costituito in
queste difficoltà, come era sollecito, confidente, e che con fatica incredibile
voleva eseguire da se medesimo, non ometteva alcuna di quelle cose che
conservassino la fama della passata sua; inviando in più luoghi a' confini
d'Italia artiglierie, sollecitando la pratica del condurre i dodicimila
svizzeri, i quali interponendo varie dimande e proponendo molte eccezioni non
gli davano ancora certa resoluzione, sollecitando le genti promesse, e
trasferendosi personalmente ogni dì da uno luogo a uno altro per diverse
espedizioni: in modo che, stando gli uomini molto confusi, erano per tutta
Italia, quanto mai fussino in cosa alcuna, vari i giudìci; avendo altri
maggiore concetto che mai di questa impresa, altri pensando che andasse più
presto a diminuzione che ad augumento. La quale incertitudine accresceva egli,
perché, segretissimo di natura, non comunicava ad altri i suoi pensieri; e
perché fussino manco noti in Italia aveva ordinato che il legato del pontefice
e gli altri italiani non seguitassino la persona sua, ma stessino appartati in
luogo fermo fuori della corte.
Già era venuta
la festività di san Gallo, termine destinato alla congregazione delle genti, ma
non se ne era condotta a Gostanza altro che piccola parte, né si vedevano quasi
altri apparati di lui che movimenti d'artiglierie e l'attendere egli con somma
diligenza a fare provisioni di danari per diverse vie. Onde essendo incerto con
quali forze, e in quale tempo e da quale parte avesse a muoversi (o entrare nel
Friuli o da Trento nel veronese, altri credendo che per la Savoia o per la via
di Como assalterebbe il ducato di Milano essendo seco molti fuorusciti di
quello stato, né standosi senza dubitazione che non facesse qualche movimento
nella Borgogna), si facevano da quelli che temevano di lui potenti provisioni
in diversi luoghi. Però il re di Francia aveva mandato nel ducato di Milano
numero grande di genti a cavallo e a piedi, e soldato, oltre all'altre
preparazioni, per difesa di quello stato, nel reame di Napoli, con permissione
del re cattolico (contro a cui Cesare per questo gravissimamente si lamentò)
dumila cinquecento fanti spagnuoli; avendo nel tempo medesimo Ciamonte,
dubitando della fede del cavaliere de' Borromei, occupato all'improviso Arona,
castello di quella famiglia in sul Lago Maggiore. In Borgogna avea mandato
cinquecento lancie sotto la Tramoglia governatore di quella provincia; e per
distrarre in più parti i pensieri e le forze di Cesare dava continuamente aiuti
e fomento al duca di Ghelleri, il quale molestava il paese di Carlo nipote di
Cesare. Aveva oltre a questo mandato a Verona Giaiacopo da Triulzi, con
quattrocento lancie franzesi e quattromila fanti, in soccorso de' viniziani; i
quali aveano fermato, verso Roveré, per opporsi a' movimenti che si facevano di
verso Trento, il conte di Pitigliano con quattrocento uomini d'arme e molti
fanti, e nel Friuli ottocento uomini d'arme sotto Bartolomeo d'Alviano,
ritornato più anni innanzi agli stipendi loro.
Ma si dimostrò
da parte non pensata il primo pericolo, perché Polbatista Giustiniano e
Fregosino, fuorusciti di Genova, condusseno a Gazzuolo, terra di Lodovico da
Gonzaga feudatario imperiale, mille fanti tedeschi, i quali passorno
all'improviso con grandissima celerità per monti e luoghi asprissimi del
dominio viniziano, con intenzione di andare, passato il fiume del Po, per la
montagna di Parma verso Genova; ma Ciamonte, sospettandone, mandò subito a
Parma, per opporsi loro nel cammino, molti cavalli e fanti: per la venuta de'
quali i tedeschi, perduta la speranza che contro a Genova potesse più succedere
effetto alcuno, se ne ritornorono in Germania, per la medesima via ma non col
medesimo timore e celerità, perché i viniziani, per beneficio comune,
consentirono tacitamente il ritorno loro.
Erano nel tempo
medesimo molti fuorusciti genovesi nella città di Bologna, e perciò il re ebbe
dubitazione non mediocre che questa cosa fusse stata trattata con saputa del
pontefice; dell'animo del quale molte altre cose gli davano sospetto: perché il
cardinale di Santa Croce confortava, benché più per propria inclinazione che
per altra cagione, Cesare a passare; ed essendo accaduto che i fuorusciti di
Furlì, movendosi da Faenza, avevano tentato una notte di entrare in Furlì, il
pontefice si querelava essere consiglio comunicato tra 'l re di Francia e i viniziani.
Aggiugnevasi che un certo frate incarcerato a Mantova avea confessato avere
trattato co' Bentivogli di avvelenare il pontefice, e che per parte di Ciamonte
era stato confortato a fare quanto avea promesso a' Bentivogli; onde il
pontefice, ridotta in forma autentica la esamina, mandò con essa al re Achille
de' Grassi bolognese, vescovo di Pesero che fu poi cardinale, a fare instanza
che si ritrovasse la verità e si punissino quegli che erano in colpa di tanta
sceleratezza: della qual cosa essendo sospetto più che gli altri Alessandro
Bentivogli, fu per commissione del re citato in Francia.
Con queste
azioni e incertitudini si finì l'anno mille cinquecento sette. Ma nel principio
dell'anno mille cinquecento otto, non potendo quietarsi gli ingegni mobili de'
bolognesi, Annibale ed Ermes Bentivogli, avendo intelligenza con certi giovani
de' Peppoli e altri nobili della gioventù, si accostorono allo improviso a
Bologna; il quale movimento non fu senza pericolo perché i congiurati avevano
già, per mettergli dentro, occupato la porta di san Mammolo: ma essendosi il
popolo messo in arme in favore dello stato ecclesiastico, i giovani spaventati
abbandonorono la porta, e i Bentivogli si ritirorno. Il quale insulto mitigò
più tosto che accendesse l'animo del pontefice contro al re di Francia; perché
il re, dimostrando essergli molestissimo questo insulto, comandò a Ciamonte che
qualunque volta fusse di bisogno soccorresse con tutte le genti d'arme alle
cose di Bologna, né permettesse che i Bentivogli fussino più ricettati in parte
alcuna del ducato di Milano. De' quali era in quegli dì morto Giovanni per
dolore di animo, non assueto, innanzi fusse cacciato di Bologna, a sentire
l'acerbità della fortuna, essendo stato prima, lungo tempo, felicissimo di
tutti i tiranni d'Italia ed esempio di prospera fortuna; perché in spazio di
quaranta anni ne' quali dominò ad arbitrio suo Bologna (nel qual tempo, non che
altro, non sentì mai morte di alcuno de' suoi) aveva sempre avuto, per sé e per
i figliuoli, condotte provisioni e grandissimi onori da tutti i prìncipi
d'Italia, e liberatosi sempre con grandissima facilità da tutte le cose che se
gli erano dimostrate pericolose: della quale felicità pareva che principalmente
fusse debitore alla fortuna, oltre alla opportunità del sito di quella città,
perché secondo il giudicio comune non gli era attribuita laude né di ingegno né
di prudenza né di valore eccellente.
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