XII. Prime azioni di Massimiliano contro i veneziani. Castelli veneziani
presi dalle sue milizie. Vittoria dell'Alviano sui tedeschi e suoi successi nel
Friuli; presa di Trieste, di Fiume e di Postumia. Vicende della lotta nel
Trentino. Tregua fra Massimiliano e i veneziani.
Nel principio
dell'anno medesimo Cesare, non volendo più differire il muovere delle armi,
mandò uno araldo a Verona a notificare di volere passare in Italia per la
corona imperiale, e dimandare alloggiamento per quattromila cavalli; alla qual
cosa i rettori di Verona, consultata prima a Vinegia questa dimanda, gli
feciono risposta che se la passata sua non avesse altra cagione che il volere
incoronarsi sarebbe onorato da loro sommamente, ma apparire gli effetti diversi
da quello che proponeva, poiché aveva condotto a' loro confini tanto apparato
d'armi e d'artiglierie: però venuto a Trento per dare principio alla guerra,
fece fare il terzo dì di febbraio una solenne processione, dove andò in
persona, avendo innanzi a sé gli araldi imperiali e la spada imperiale nuda;
nel progresso della quale Matteo Lango suo segretario, che fu poi vescovo
Gurgense, salito in su uno eminente tribunale, publicò in nome di Cesare la
deliberazione di passare ostilmente in Italia, nominandolo non più re de'
romani ma eletto imperadore, secondo hanno consuetudine di nominarsi i re de'
romani quando vengono per la corona: e avendo il dì medesimo proibito che di
Trento non uscisse alcuno, fatto fare quantità grande di pane, e di ripari e
gabbioni di legname, e inviato per il fiume dello Adice molti foderi carichi di
provisioni, uscì la notte seguente, poco avanti il giorno, di Trento con mille
cinquecento cavalli e quattromila fanti, non di genti dategli dalla dieta ma
delle proprie della corte e degli stati suoi; dirizzandosi al cammino che per
quelle montagne riesce a Vicenza. E nel medesimo tempo uscì verso Roveré il
marchese di Brandiborgo con cinquecento cavalli e dumila fanti pure de'
medesimi paesi. Tornò il seguente dì Brandiborgo, non avendo fatto altro
effetto che presentatosi a Roveré e dimandato invano d'essere alloggiato
dentro; ma Cesare, entrato nella montagna di Siago, le radici della quale si
approssimano a dodici miglia a Vicenza, pigliate le terre de' Sette Comuni, che
così denominati abitano nella sommità della montagna con molte esenzioni e
privilegi de' viniziani, e spianate molte tagliate che per difendersi e
impedirgli il cammino avevano fatte, vi condusse alcuni pezzi d'artiglieria:
donde, aspettandosi a ogn'ora più prosperi successi, il quarto dì che era partito
da Trento, ritornò subito a Bolzano, terra più lontana che Trento da' confini
d'Italia; avendo ripieno di sommo stupore, per tanta o inconsiderazione o
incostanza, gli animi di ciascuno. Eccitò questo principio tanto debole gli
animi de' viniziani; e però, avendo già soldato molti fanti, chiamorno a Roveré
le genti franzesi che col Triulzio erano a Verona, e cominciate a fare maggiori
preparazioni stimolavano il re di Francia a fare il medesimo: il quale venendo
verso Italia inviava innanzi a sé cinquemila svizzeri pagati da lui e tremila
che si pagavano da' viniziani; perché quella nazione, non avendo potuto
Massimiliano dargli danari, si era senza rispetto voltata finalmente agli
stipendi del re. E nondimeno non vollono i svizzeri, poiché furono mossi e
pagati, andare nel dominio viniziano, allegando non volere servire contro a
Cesare in altro che nella difesa dello stato di Milano.
Maggiore
movimento, ma con evento più infelice e destinato a dare principio a cose molto
maggiori, fu suscitato nel Friuli, dove per ordine di Cesare passorono per la
via de' monti quattrocento cavalli e cinquemila fanti, gente tutta comandata
del contado suo di Tiruolo; i quali entrati nella valle di Cadoro presono il
castello e la fortezza, ove era piccola guardia, insieme con l'offiziale de'
viniziani che vi era dentro: la quale cosa intesa a Vinegia, comandorono
all'Alviano e a Giorgio Cornaro proveditore, che erano nel vicentino, che
andassino subito al soccorso di quel paese; e per travagliare ancora loro
gl'inimici da quella parte, mandorno verso Triesti quattro galee sottili e
altri navili. E nel tempo medesimo Massimiliano, che da Bolzano era andato a
Brunech, voltatosi al cammino del Friuli, per la comodità de' passi e de' paesi
più larghi, con seimila fanti comandati del paese, scorse per certe valli più
di quaranta miglia dentro a' confini de' viniziani; e presa la valle di Codauro
onde si va verso Trevigi, e lasciatosi addietro il castello di Bostauro che era
già del patriarcato d'Aquilea, prese il castello di San Martino, il castel
della Pieve e la valle Conelogo, dove erano a guardia i conti Savignani, e
altri luoghi vicini: e fatto questo progresso, degno più tosto di piccolo
capitano che di re, lasciato ordine che quelle genti andassino verso il
trevigiano, si ritornò alla fine di febbraio a Spruch, per impegnare gioie e
fare in altri modi provisione di danari; de' quali essendo più tosto
dissipatore che spenditore, niuna quantità bastava a supplire a' bisogni suoi.
Ma avendo per il cammino inteso che i svizzeri avevano accettati i danari del
re di Francia, sdegnato contro a loro, andò a Olmo città de' svevi per indurre
la lega di Svevia a dargli aiuto, come altra volta aveva fatto nella guerra
contro a' svizzeri: instava ancora con gli elettori perché gli fussino
prorogati per altri sei mesi gli aiuti promessi nella dieta di Gostanza. E nel
tempo medesimo le genti degli stati suoi che erano restate a Trento, in numero
di novemila tra cavalli e fanti, presono in tre dì a discrezione, avendolo prima
battuto con l'artiglierie, castello Baioco, che è a rincontro di Roveré in su
la strada diritta, a mano destra da andare da Trento in Italia, tramezzando
quello e Roveré, che è in sulla mano sinistra, il fiume dello Adice.
Ma l'Alviano si
mosse per soccorrere il Friuli con grandissima celerità, e avendo passato le
montagne cariche di neve si condusse in due dì presso a Cadoro; ove aspettati i
fanti, che non avevano potuto pareggiare la sua celerità, occupò uno passo non
guardato da' tedeschi donde si entra nella valle di Cadoro: per la venuta del
quale preso animo gli uomini del paese, inclinati a stare sotto lo imperio
viniziano, occuporono gli altri passi della valle onde i tedeschi arebbano
avuto facoltà di ritirarsi. I quali, vedendosi rinchiusi né avendo altra salute
o speranza che nell'armi, e giudicando che l'Alviano fusse ogni dì per
ingrossarsi, se gli feciono con grandissima animosità incontro, e non essendo
recusato il combattere da lui si cominciò tra l'uno e l'altro di loro
asprissima battaglia, nella quale i tedeschi, che combattevano ferocemente più
per desiderio di morire gloriosi che per speranza di salvarsi, si erano messi
in uno grosso squadrone; e posto in mezzo di loro le donne combatterono con
grande impeto per qualche ora, ma non potendo finalmente resistere al numero e
alla virtù degli inimici restorno del tutto vinti, essendone morti più di mille
di loro e gli altri restati prigioni. Dopo la quale vittoria l'Alviano avendo
assaltato da due bande la rocca di Cadoro la espugnò, ove morì Carlo Malatesta,
uno de' signori antichi di Rimini, da uno sasso gittato dalla torre; e
seguitando con lo esercito suo l'occasione, prese Porto Navone, dipoi Cremonsa
situata in su uno alto colle: la quale presa, andò a campo a Gorizia situata
nelle radici delle Alpi Giulie, forte di sito e bene munita e che ha una rocca
ardua a salire; e avendo prima preso il ponte di Gorizia e poi piantate
l'artiglierie alla terra, l'ottenne il quarto giorno per accordo, perché
mancava loro armi acqua e vettovaglie; e presa la terra, il castellano e le
genti che erano nella rocca, avuti quattromila ducati, la déttano: dove i
viniziani feciono subito molte fortificazioni, perché fusse come uno
propugnacolo e uno freno a' turchi a spaventargli a passare il fiume
dell'Isonzio, perché con l'opportunità di quello luogo si poteva facilmente
impedire loro la facoltà del ritirarsi. Presa Gorizia, l'Alviano andò a campo a
Triesti, la quale città nel tempo medesimo era molestata per mare; e la presano
facilmente, non senza dispiacere del re di Francia, il quale dissuadeva lo
irritare tanto il re de' romani, ma per essere per l'uso del golfo di Vinegia
molto utile a' loro commerci, ed enfiati dalla prosperità della fortuna, erono
disposti a seguitare il corso della vittoria. Però, avuta che ebbono Triesti e
la rocca, presano Portonon e dipoi Fiume, terra di Schiavonia che è a riscontro
di Ancona; la quale terra abbruciorono, perché era ricetto delle navi che senza
pagare i dazi posti da loro volevano passare per il mare Adriatico: e passate
poi le Alpi, presono Postonia che è ne' confini della Ungheria.
Queste cose si
facevano nel Friuli. Ma dalla parte di verso Trento, l'esercito tedesco che era
venuto a Calliano, villa famosa per i danni de' viniziani (perché appresso a
quella, poco più di venti anni innanzi, era stato rotto e ammazzato Ruberto da
San Severino, famosissimo capitano del loro esercito), assaltò tremila fanti
de' viniziani, che sotto Iacopo Corso, Dionigi di Naldo e Vitello da città di
Castello erano a guardia di Monte Brettonico; i quali, ancora che fussino assai
bene fortificati, fuggirono subito in su uno monte vicino: e i tedeschi,
deridendo e giustamente la viltà de' fanti italiani, arse molte case e spianati
i ripari che erano fatti al monte, ritornorono a Caliano. Dal quale successo
invitato il vescovo di Trento, andò, con dumila fanti comandati e parte delle
genti che erano a Caliano, a campo a Riva di Trento, castello posto in sul lago
di Garda, dove già il Triulzio aveva mandato sufficiente guardia; e avendo
battuta due dì la chiesa di san Francesco, e fatta, mentre vi stavano, qualche
correria nelle ville circostanti a Lodrone, dumila grigioni che erano nel campo
tedesco, sollevatisi per discordia di piccola importanza nata ne' pagamenti,
depredorno le vettovaglie del campo. Onde essendo ogni cosa in disordine, e
partiti quasi tutti i grigioni, il resto dell'esercito, che erano settemila
uomini, fu costretto a ritirarsi: per la levata de' quali scorrendo le genti
viniziane per le ville vicine, e andando tremila fanti de' loro ad ardere certe
ville del conte di Agresto, furono messi in fuga dai paesani e mortine circa
trecento. Ma essendo per la ritirata de' tedeschi dalla Riva resoluta quasi
tutta la gente, e i cavalli, che erano mille dugento, ritiratisi dallo
alloggiamento di Caliano in Trento, le genti de' viniziani, la mattina di
pasqua, assaltorono la Pietra, luogo lontano da Trento sei miglia; ma uscendo
al soccorso delle genti che erano in Trento, si ritirorono: e dipoi assaltorono
la rocca di Cresta, passo di importanza, che si arrendé innanzi vi arrivasse il
soccorso che veniva di Trento. Però i tedeschi, che si erano riordinati di
fanti, ritornorono con mille cavalli e seimila fanti allo alloggiamento di
Caliano, distante per una balestrata dalla Pietra, ed essendosi partiti da loro
dugento cavalli del duca di Vertimberg, i viniziani con quattromila cavalli e
sedicimila fanti vennono a porsi a campo alla Pietra, e vi piantorono sedici
pezzi di artiglierie. È la Pietra una rocca situata nella radice di una
montagna in su la mano destra a chi va da Roveré a Trento, e da quella si parte
uno muro assai forte, che camminando per spazio d'una balestrata si distende
insino in su l'Adice, il quale muro ha nel mezzo una porta; e chi non è padrone
di questo passo può con difficoltà offendere la Pietra. Stavano gli eserciti
vicini l'uno all'altro a uno miglio, avendo ciascuno a fronte la rocca e il
muro, e da uno de' fianchi il fiume dell'Adice dall'altro i monti, e ciascuno
alle spalle i suoi ridotti sicuri; e perché i tedeschi aveano in potestà la
rocca e il muro potevano a loro piacere sforzare l'esercito viniziano a
combattere, a che non potevano essere sforzati loro, ma per essere di numero
molto inferiori non ardivano commettersi alla fortuna; solamente attendevano a
difendere la rocca dagli insulti degli inimici, i quali sollecitamente la
battevano. Ma vedendo uno giorno l'occasione di non essere bene guardata
l'artiglieria, usciti furiosamente ad assaltarla e rotti i fanti che la
guardavano, ne tirorno con grande ferocia due pezzi agli alloggiamenti loro;
donde i viniziani inviliti, e giudicando anche vana l'oppugnazione, nella quale
avevano perduti molti uomini, si ritirorno a Roveré: e i tedeschi si
ritornorono a Trento, e pochi dì poi se ne disperse la maggiore parte. E le
genti della dieta, delle quali, per venire chi più presto e chi più tardi, non
ne erano mai stati insieme quattromila uomini (perché quasi tutti quegli che si
messono insieme a Trento e a Cadoro erano de' paesi circostanti), finiti i loro
sei mesi se ne ritornavano alle case loro; e la maggiore parte de' fanti
comandati facevano il medesimo. Né Massimiliano, occupato a andare da luogo a
luogo per vari pensieri e provisioni, era mai stato presente a queste cose;
anzi rimessa la dieta di Olmo a tempo più comodo, confuso tra se medesimo e
pieno di difficoltà e di vergogna, se ne era andato verso Colonia, essendo
stato occulto più dì dove si trovava la persona sua, né potendo resistere con
le forze sue a questo impeto, avendo perduto tutto quello teneva in Friuli e
l'altre terre vicine, abbandonato da ciascuno, e in pericolo le cose di Trento,
se le genti franzesi fussino volute congiugnersi con l'esercito viniziano a
offenderlo. Ma il Triulzio, per comandamento del re che aveva fisso nell'animo
più di placare che di provocare, non volle passare più oltre di quel che fusse
necessario per la difesa de' viniziani.
Aveva Cesare,
vedendosi abbandonato da tutti e desideroso di levarsi in qualche modo dal
pericolo, insino quando le genti sue furono rotte a Cadoro, mandato Pré Luca
suo uomo a Vinegia a ricercare di fare tregua con loro per tre mesi; la quale
dimanda era stata sprezzata da quel senato, disposto a non fare tregua per
minore tempo di uno anno, né in modo alcuno se medesimamente non vi si
comprendeva il re di Francia: ma crescendo i suoi pericoli, perduto già
Triesti, e ogni cosa succedendo in peggio, il vescovo di Trento, come da sé,
invitò i viniziani a fare tregua, proponendo che con questo fondamento si aveva
da sperare di potere fare la pace. I viniziani risposono, che poiché la pratica
non si proponeva più a loro soli ma in modo che eziandio il re di Francia vi
poteva intervenire, non averne l'animo alieno: dal quale principio introdotto
il ragionamento, si convennono a parlare insieme il vescovo di Trento e il
Serentano segretario di Massimiliano, e per il re di Francia il Triulzio e
Carlo Giuffré presidente del senato di Milano, mandato da Ciamonte per questa
pratica, e per i viniziani Zacheria Contareno, oratore destinato
particolarmente a questo negozio. Convenivano facilmente nell'altre condizioni,
perché del tempo concordavano durasse per tre anni, che ciascuno possedesse
come possedeva di presente, con facoltà di edificare e fortificare ne' luoghi
occupati; ma la difficoltà era che i franzesi volevano si facesse tregua
generale, includendovi eziandio i confederati che aveva ciascuno fuora
d'Italia, e specialmente il duca di Ghelleri, e a questo stavano molto ostinati
gli agenti di Massimiliano, che aveva volto totalmente l'animo allo eccidio di
quel duca, e allegavano che la guerra era tutta in Italia, però non essere né
conveniente né necessario parlare se non delle cose d'Italia; in che i
viniziani facevano ogni opera perché si sodisfacesse al desiderio del re di
Francia, ma non sperando più di potervi piegare i tedeschi erano inclinati ad
accettare la tregua nel modo consentito da loro, inducendogli il desiderio di
rimuoversi una guerra che tutta si riduceva nello stato loro, e la volontà
anche di confermarsi, mediante la tregua de' tre anni, le terre che in questo
moto avevano conquistate; e si scusavano a' franzesi, con verissima ragione,
che non essendo l'uno e l'altro di loro tenuti se non alla difesa delle cose
d'Italia e in su questo fondata la loro confederazione, non appartenere a loro
pensare alle cose di là da' monti; le quali se non erano tenuti a difenderle
con le armi non erano anche tenuti a pensare di assicurarle con la tregua.
Sopra la quale contenzione avendo il Triulzio scritto in Francia e i viniziani
a Vinegia, venne risposta dal senato che non potendo fare altrimenti
conchiudessino solamente la tregua per Italia, riservando luogo e tempo al re
di Francia di entrarvi: alla quale cosa né il Triulzio né il presidente volendo
consentire, anzi lamentandosi gravemente che non che altro non volessino
aspettare la risposta del re, e protestando il presidente che la impresa comune
non si doveva finire se non comunemente, e del poco rispetto alla amicizia e
congiunzione, non restorono i veneti per questo di non conchiudere; contraendo
Massimiliano e loro, in nomi loro propri semplicemente, e con patto che per la
parte di Massimiliano si nominassino e avessinsi per inclusi e nominati il
pontefice, i re cattolici, di Inghilterra e di Ungheria e tutti i prìncipi e
sudditi del sacro imperio in qualunque luogo, e tutti i confederati di
Massimiliano e de' prenominati re e stati dello imperio, da nominarsi infra tre
mesi; e per la parte de' viniziani, il re di Francia e il re cattolico, e tutti
gli amici e confederati de' viniziani del re di Francia e del cattolico, in
Italia solamente costituti, da nominarsi infra tre mesi. La quale tregua,
stipulata il vigesimo dì di aprile, essendo stata quasi incontinente ratificata
dal re de' romani e da' viniziani, si deposono l'armi tra loro, con speranza di
molti che Italia avesse a godere per qualche tempo questa quiete.
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