LIBRO OTTAVO.
I. Nuovi e più gravi mali che affliggeranno l'Italia. Responsabilità de'
veneziani e sdegno contro di loro di Massimiliano e del re di Francia. Ragioni
di sdegno del pontefice contro i veneziani e timori suoi di successi francesi.
Lega di Cambrai contro Venezia. Ratifica del trattato da parte del re
d'Aragona. Ratifica del pontefice, dopoché i veneziani hanno respinto la
richiesta sua di Faenza e di Rimini.
Non erano tali
le infermità d'Italia, né sì poco indebolite le forze sue, che si potessino
curare con medicine leggiere; anzi, come spesso accade ne' corpi ripieni di
umori corrotti, che uno rimedio usato per provedere al disordine di una parte
ne genera de' più perniciosi e di maggiore pericolo, così la tregua fatta tra
il re de' romani e i viniziani partorì agli italiani, in luogo di quella quiete
e tranquillità che molti doverne succedere sperato aveano, calamità
innumerabili, e guerre molto più atroci e molto più sanguinose che le passate:
perché se bene in Italia fussino state, già quattordici anni, tante guerre e
tante mutazioni, nondimeno, o essendosi spesso terminate le cose senza sangue o
le uccisioni state più tra' barbari medesimi, avevano patito meno i popoli che
i prìncipi. Ma aprendosi in futuro la porta a nuove discordie, seguitorono per
tutta Italia, e contro agli italiani medesimi, crudelissimi accidenti, infinite
uccisioni, sacchi ed eccidi di molte città e terre, licenza militare non manco
perniciosa agli amici che agli inimici, violata la religione, conculcate le
cose sacre con minore riverenza e rispetto che le profane.
La cagione di
tanti mali, se tu la consideri generalmente, fu come quasi sempre l'ambizione e
la cupidità de' prìncipi: ma considerandola particolarmente, ebbono origine
dalla temerità e dal procedere troppo insolente del senato viniziano, per il
quale si rimossono le difficoltà che insino allora avevano tenuto sospesi il re
de' romani e il re di Francia a convenirsi contro a loro; l'uno de' quali
immoderatamente esacerbato condussono in grandissima disperazione, l'altro nel
tempo medesimo concitorono in somma indegnazione, o almeno gli dettono facoltà
di aprire sotto apparente colore quel che lungamente aveva desiderato. Perché
Cesare, stimolato da tanta ignominia e danno ricevuto, e avendo in luogo di
acquistare gli stati di altri perduto una parte de' suoi ereditari, non era per
lasciare indietro cosa alcuna per risarcire tanta infamia e tanto danno; la
quale disposizione accrebbono di nuovo, dopo la tregua fatta, imprudentemente i
viniziani, perché, non si astenendo da provocarlo non meno con le dimostrazioni
vane che con gli effetti, riceverono in Vinegia con grandissima pompa e quasi
come trionfante l'Alviano: e il re di Francia, ancora che da principio desse
speranza di ratificare la tregua fatta, dimostrandosene poi alterato
maravigliosamente, si lamentava che i viniziani avessino presunto di nominarlo
e includerlo come aderente, e che, avendo proveduto al riposo proprio, avessino
lasciato lui nelle molestie della guerra: necessitato, per l'onore e utilità
propria, a difendere contro a Cesare (che da Cologna andava in Fiandra per opprimerlo),
il duca di Ghelleri, antico collegato suo e pronto sempre per lui a opporsi a'
fiamminghi e a molestargli, e per la cui autorità ne' popoli vicini e per
l'opportunità del suo paese gli era facile il fare passare nella Francia fanti
tedeschi, quante volte avesse volontà di soldarne. Le quali disposizioni
dell'animo dell'uno e dell'altro incominciorono in breve spazio di tempo a
manifestarsi: perché Cesare, delle forze proprie non confidando, né sperando
più che per le ingiurie sue si risentissino i prìncipi o i popoli di Germania,
inclinava a unirsi col re di Francia contro a' viniziani, come unico rimedio a
ricuperare l'onore e gli stati perduti; e il re, avendogli lo sdegno nuovo
rinnovata la memoria delle offese che si persuadeva avere ricevute da loro
nella guerra napoletana, e stimolato dall'antica cupidità di Cremona e
dell'altre terre possedute lungo tempo da' duchi di Milano, aveva la medesima
inclinazione: perciò si cominciò a trattare tra loro, per potere, rimosso
l'impedimento delle cose minori, attendere insieme alle maggiori, di comporre
le differenze trall'arciduca e il duca di Ghelleri.
Stimolava
similmente l'animo del re contro a' viniziani nel tempo medesimo il pontefice,
acceso oltre all'antiche cagioni da nuove indegnazioni; perché si persuadeva
che per opera loro i fuorusciti di Furlì, i quali si riducevano a Faenza,
avessino tentato di entrare in quella città, e perché nel dominio veneto aveano
ricetto i Bentivogli, stati dal re scacciati del ducato di Milano; aggiugnendosi
che all'autorità della corte di Roma avevano in molte cose minore rispetto che
mai: nelle quali avea ultimatamente turbato molto l'animo del pontefice che
avendo conferito il vescovado di Vicenza, vacato per la morte del cardinale di
San Piero a Vincola suo nipote, a Sisto similmente nipote suo, surrogato da lui
nella degnità del cardinalato e ne' medesimi benefici, il senato viniziano
disprezzata questa collazione aveva eletto uno gentiluomo di Vinegia; il quale,
recusando il pontefice di confermarlo, ardiva temerariamente nominarsi vescovo
eletto di Vicenza dallo eccellentissimo consiglio de' pregati. Dalle quali cose
infiammato, mandò prima al re Massimo secretario del cardinale di Nerbona e di
poi il medesimo cardinale, che succeduto nuovamente per la morte del cardinale
di Aus nel suo vescovado si chiamava il cardinale di Aus; i quali, uditi dal re
con allegra fronte, riportorono a lui vari partiti da eseguirsi, e senza Cesare
e unitamente con Cesare. Ma il pontefice era più pronto a querelarsi che a
determinarsi; perché da una parte combatteva nella sua mente il desiderio
ardente che si movessino l'armi contro a' viniziani, da altra parte lo riteneva
il timore di non essere costretto a spendere immoderatamente per la grandezza
d'altri, e molto più la gelosia antica conceputa del cardinale di Roano, per la
quale gli era molestissimo che eserciti potenti del re passassino in Italia: e
turbava in qualche parte le cose maggiori l'avere il pontefice conferito poco
innanzi senza saputa del re i vescovadi d'Asti e di Piacenza, e il ricusare il
re che 'l nuovo cardinale di San Piero in Vincola, a cui per la morte
dell'altro era stata conferita la badia di Chiaravalle, beneficio ricchissimo e
propinquo a Milano, ne conseguisse la possessione.
Nelle quali
difficoltà quel che non risolveva il pontefice deliberorno finalmente Cesare e
il re di Francia, i quali trattando insieme secretissimamente contro a'
viniziani, si convennono nella città di Cambrai, per dare alle cose trattate
perfezione, per la parte di Cesare madama Margherita sua figliuola, sotto 'l
cui governo si reggevano la Fiandra e gli altri stati pervenuti per l'eredità
materna nel re Filippo, seguitandola a questo trattato Matteo Lango secretario
accettissimo di Cesare, e per la parte del re di Francia il cardinale di Roano;
spargendo fama di convenirsi per trattare la pace tra l'arciduca e il duca di
Ghelleri, tra' quali aveano fatta tregua per quaranta dì, ingegnandosi che la
vera cagione non pervenisse alla notizia de' viniziani: all'oratore de' quali
affermava con giuramenti gravissimi il cardinale di Roano, volere il suo re
perseverare nella confederazione con loro. Seguitò il cardinale, più tosto non
contradicente che permettente, lo imbasciadore del re d'Aragona; perché se bene
quel re fusse stato il primo motore di questi ragionamenti tra Cesare e il re
di Francia erano stati dipoi continuati senza lui, persuadendosi l'uno e
l'altro di loro essergli molesta la prosperità del re di Francia, e sospetto,
per rispetto del governo di Castiglia, ogni augumento di Cesare, e che perciò i
pensieri suoi non fussino in questa cosa conformi colle parole. A Cambrai si
fece in pochissimi dì l'ultima determinazione, non partecipata cosa alcuna, se
non dopo la conclusione fatta, con l'oratore del re cattolico; la quale il dì
seguente, che fu il decimo di dicembre, fu con solenni cerimonie confermata
nella chiesa maggiore, col giuramento di madama Margherita, del cardinale di
Roano e dello imbasciadore spagnuolo, non publicando altro che l'essere
contratta tra 'l pontefice e ciascuno di questi prìncipi perpetua pace e
confederazione. Ma negli articoli più secreti si contennono effetti sommamente
importanti; i quali, ambiziosi e in molte parti contrari a' patti che Cesare e
il re di Francia aveano co' viniziani, si coprivano (come se la diversità delle
parole bastasse a trasmutare la sostanza de' fatti) con uno proemio molto
pietoso nel quale si narrava il desiderio comune di cominciare la guerra contro
agli inimici del nome di Cristo, e gli impedimenti che faceva a questo l'avere
i viniziani occupate ambiziosamente le terre della Chiesa. Li quali volendo
rimuovere per procedere poi unitamente a così santa e necessaria espedizione, e
per i conforti e consigli del pontefice, il cardinale di Roano come procuratore
e col suo mandato e come procuratore e col mandato del re di Francia, e madama
Margherita come procuratrice e col mandato del re de' romani e come
governatrice dell'arciduca e degli stati di Fiandra, e l'oratore del re
d'Aragona come procuratore e col mandato del suo re, convennono di muovere
guerra a' viniziani, per ricuperare ciascuno le cose sue occupate da loro, che
si nominavano: per la parte del pontefice, Faenza, Rimini, Ravenna e Cervia;
per il re de' romani, Padova, Vicenza e Verona appartenentigli in nome dello
imperio, e il Friuli e Trevigi appartenenti alla casa d'Austria; per il re di
Francia, Cremona e la Ghiaradadda, Brescia, Bergamo e Crema; per il re
d'Aragona, le terre e i porti stati dati in pegno da Ferdinando re di Napoli.
Fusse tenuto il re cristianissimo venire alla guerra in persona, e dargli
principio il primo giorno del prossimo mese di aprile; al qual tempo avessino
similmente a cominciare il pontefice e il re cattolico: che acciò che Cesare
avesse giusta causa di non osservare la tregua fatta, il papa lo richiedesse,
come avvocato della Chiesa, di aiuto; dopo la quale richiesta Cesare gli
mandasse almeno uno condottiere, e fusse tenuto, fra quaranta dì che 'l re di
Francia avesse rotta la guerra, assaltare personalmente lo stato de' viniziani:
qualunque di loro avesse recuperato le cose proprie fusse tenuto aiutare gli
altri insino che avessino interamente ricuperato, obligati tutti alla difesa di
chiunque di loro fusse nelle terre ricuperate molestato da' viniziani; co'
quali niuno potesse convenire senza consentimento comune: potessino essere
nominati infra tre mesi il duca di Ferrara, il marchese di Mantova e ciascuno
che pretendesse i viniziani occupargli alcuna terra; nominati, godessino come
principali tutti i benefici della confederazione, avendo facoltà di ricuperarsi
da se stessi le cose perdute: ammunisse il pontefice, sotto pene e censure
gravissime, i viniziani a restituire le cose occupate alla Chiesa; e fusse
giudice della differenza tra Bianca Maria moglie del re de' romani e il duca di
Ferrara, per conto della eredità di Anna sorella di lei e moglie già del duca
predetto: investisse Cesare il re di Francia, per sé per Francesco d'Anguelem e
loro discendenti maschi, del ducato di Milano; per la quale investitura il re
gli pagasse ducati centomila: non facessino né Cesare né l'arciduca, durando la
guerra e sei mesi poi, novità alcuna contro al re cattolico per cagione del
governo e de' titoli de' regni di Castiglia; esortasse il papa il re di
Ungheria a entrare nella presente confederazione: nominasse ciascuno tra
quattro mesi i collegati e aderenti suoi, non potendo nominare i viniziani né i
sudditi o feudatari di alcuno de' confederati; e che ciascuno de' contraenti
principali dovesse intra sessanta dì prossimi ratificare. Alla concordia
universale s'aggiunse la particolare trall'arciduca e il duca di Ghelleri,
nella quale fu convenuto che le terre occupate nella guerra presente allo
arciduca, si restituissino, ma non già il simigliante di quelle che al duca
erano state occupate. Stabilita in questa forma la nuova confederazione, ma
tenendosi quanto si poteva secreto quel che apparteneva a viniziani, il
cardinale di Roano si partì il dì seguente da Cambrai, mandati prima a Cesare
il vescovo di Parigi e Alberto Pio conte di Carpi per ricevere da lui la
ratificazione in nome del re di Francia; il quale senza dilazione ratificò e
confermò con giuramento, colle solennità medesime colle quali era stata fatta
la publicazione nella chiesa di Cambrai. Con questi semi di gravissime guerre
finì l'anno mille cinquecent'otto.
È certo che
questa confederazione, con tutto che nella scrittura si dicesse intervenirvi il
mandato del papa e del re d'Aragona, fu fatta senza mandato o consentimento
loro, persuadendosi Cesare e il re cristianissimo che avessino a consentire,
parte per l'utilità propria parte perché, per la condizione delle cose
presenti, né l'uno né l'altro di essi alla loro autorità ardirebbe repugnare: e
massimamente il re d'Aragona, al quale benché fusse molesta questa
capitolazione (perché temendo che non si augumentasse troppo la grandezza del
re di Francia anteponeva la sicurtà di tutto il reame di Napoli alla
recuperazione della parte posseduta da' viniziani), nondimeno, ingegnandosi di
dimostrare con la prontezza il contrario di quello che sentiva nello animo,
ratificò con le solennità medesime subitamente.
Maggiore
dubitazione era nel pontefice, combattendo in lui, secondo la sua consuetudine,
da una parte il desiderio di ricuperare le terre di Romagna e lo sdegno contro
a' viniziani e dall'altra il timore del re di Francia; oltre che, essere
pericoloso per sé e per la sedia apostolica giudicava che la potenza di Cesare
cominciasse in Italia a distendersi. E però, parendogli più utile l'ottenere
con la concordia una parte di quello desiderava che il tutto con la guerra,
tentò di indurre il senato viniziano a restituirgli Rimini e Faenza;
dimostrando che i pericoli che soprastavano per l'unione di tanti prìncipi
sarebbono molto maggiori concorrendo nella confederazione il pontefice, perché
non potrebbe recusare di perseguitargli con le armi spirituali e temporali, ma
che, restituendo le terre occupate alla Chiesa nel suo pontificato, e così
riavendo insieme con le terre l'onore, arebbe giusta cagione di non ratificare
quel che era stato fatto in nome suo ma senza suo consentimento; e che
rimovendosene l'autorità pontificale diventerebbe facilmente vana questa
confederazione, che per se stessa aveva avute molte difficoltà: il che potevano
essere certi che egli, quanto potesse, procurerebbe con l'autorità e con la
industria, se non per altro perché in Italia non si augumentasse più la potenza
de' barbari, pericolosissima non meno alla sedia apostolica che agli altri.
Sopra la quale dimanda facendosi nel senato viniziano varie consulte, e
inclinando molti a consentire alle sue domande per l'utilità che risulterebbe
dal separarsi l'autorità del pontefice dagli altri, molti per contrario
affermando non si dovere comperare con tanta indegnità quel che non basterebbe
a liberargli dalla guerra, sarebbe finalmente prevaluta l'opinione di quegli
che confortavano la più sana e migliore sentenza, se Domenico Trivisano
senatore di grande autorità, e uno de' procuratori del tempio ricchissimo di
San Marco, onore nella republica veneta di maggiore stima che alcun altro dopo
il doge, levatosi in piedi, non avesse consigliato il contrario: il quale, con
molte ragioni e con efficacia grande di parlare, si ingegnò di persuadere
essere cosa molto aliena dalla degnità e dalla utilità di quella chiarissima e
amplissima republica restituire le terre dimandate dal pontefice, dalla cui
congiunzione o alienazione cogli altri confederati poco si accrescerebbono o
alleggierirebbeno i loro pericoli. Perché se bene, acciò che apparisse meno
disonesta la causa loro, avessino nel convenire usato il nome del pontefice, si
erano effettualmente convenuti senza lui, in modo che per questo non
diventerebbono né più lenti né più freddi alle esecuzioni deliberate; e per
contrario, non essere l'armi del pontefice di tale valore che e' dovessino
comprare con tanto prezzo il fermarle. Conciossiaché, se nel tempo medesimo
fussino assaltati dagli altri, potersi con mediocre guardia difendere quelle
città, le quali le genti della Chiesa (infamia della milizia, secondo il
vulgatissimo proverbio) non erano per se medesime bastanti né a espugnare, né a
fare inclinazione alcuna alla somma della guerra; e ne' movimenti e nel fervore
delle armi temporali non sentirsi la riverenza né i minacci delle armi
spirituali, le quali non essere da temere che nocessino più loro in questa
guerra che fussino nociute in molte altre e specialmente nella guerra fatta
contro a Ferrara, nella quale non erano state potenti a impedire che non
conseguissino la pace onorevole per sé e vituperosa per il resto d'Italia, che
con consentimento tanto grande, e nel tempo che fioriva di ricchezze d'armi e
di virtù, si era unita tutta contro a loro: e ragionevolmente, perché non era
verisimile che il sommo Dio volesse che gli effetti della sua severità e della
sua misericordia, della sua ira e della sua pace, fussino in potestà d'uno uomo
ambiziosissimo e superbissimo, sottoposto al vino e a molte altre inoneste voluttà:
che la esercitasse ad arbitrio delle sue cupidità, non secondo la
considerazione della giustizia o del bene publico della cristianità. Già, se in
questo pontificato non era più costante la fede sacerdotale che fusse stata
negli altri, non vedere che certezza potesse aversi che, conseguita da loro
Faenza e Rimini, non si unisse con gli altri per recuperare Ravenna e Cervia,
non avendo maggiore rispetto alla fede data che sia stato proprio de'
pontefici; i quali, per giustificare le fraudi loro, hanno statuito, tra
l'altre leggi, che la Chiesa, non ostante ogni contratto ogni promessa ogni
beneficio conseguitone, possa ritrattare e direttamente contravenire alle
obligazioni che i suoi medesimi prelati hanno solennemente fatte. La
confederazione essere stata fatta tra Massimiliano e il re di Francia con
grande ardore, ma non essere simili gli animi degli altri collegati, perché il
re cattolico vi aderiva malvolentieri e nel pontefice apparivano segni delle
sue consuete vacillazioni e sospizioni; però non essere da temere più della
lega fatta a Cambrai che di quello che altra volta a Trento e dipoi a Bles
avevano convenuto, col medesimo ardore, i medesimi Massimiliano e Luigi, perché
alla esecuzione delle cose determinate repugnavano molte difficoltà, le quali per
sua natura erano quasi impossibili a svilupparsi. E perciò, il principale
studio e diligenza di quel senato doversi voltare a cercare di alienare Cesare
da quella congiunzione, il che per la natura e per le necessità sue, e per
l'odio antico fisso contro a' franzesi, si poteva facilmente sperare; e
alienatolo, non essere pericolo alcuno che fusse mossa la guerra, perché il re
di Francia abbandonato da lui non ardirebbe d'assaltargli più di quello che
avesse ardito per il passato. Doversi in tutte le cose publiche considerare
diligentemente i princìpi, perché non era poi in potestà degli uomini partirsi,
senza sommo disonore e pericolo, dalle deliberazioni già fatte e nelle quali si
era perseverato lungo tempo. Avere i padri loro ed essi successivamente atteso
in tutte l'occasioni ad ampliare l'imperio, con scoperta professione di
aspirare sempre a cose maggiori: di qui essere divenuti odiosi a tutti, parte
per timore parte per dolore delle cose tolte loro. Il quale odio benché si
fusse conosciuto molto innanzi potere partorire qualche grande alterazione,
nondimanco non si erano però né allora astenuti da abbracciare l'occasioni che
se gli offerivano, né ora essere rimedio a' presenti pericoli cominciare a
cedere parte di quello possedevano; conciossiaché non per questo si
quieterebbono, anzi si accenderebbeno, gli animi di chi gli odiava, pigliando
ardire dalla loro timidità: perché essendo titolo inveterato, già molti anni,
in tutta Italia che il senato viniziano non lasciava giammai quel che una volta
gli era pervenuto nelle mani, chi non conoscerebbe che il fare ora così
vilmente il contrario procederebbe da ultima disperazione di potersi difendere
dai pericoli imminenti? Cominciando a cedere qualunque cosa benché piccola,
declinarsi dalla riputazione e dallo splendore antico della loro republica;
onde augumentarsi grandemente i pericoli. Ed essere più difficile, senza
comparazione, conservare, eziandio da' minori pericoli, quel che rimane, a chi
ha cominciato a declinare che non è a chi, sforzandosi di conservare la degnità
e il grado suo, si volge prontamente, senza fare segno alcuno di volere cedere,
contra chi cerca di opprimerlo. Ed essere necessario o disprezzare animosamente
le prime dimande o, consentendole, pensare d'averne a consentire molte altre:
dalle quali, in brevissimo spazio di tempo, risulterebbe la totale annullazione
di quello imperio, e seguentemente la perdita della propria libertà. Avere la
republica veneta, e ne' tempi de' padri e ne' tempi di loro medesimi, sostenuto
gravissime guerre co' prìncipi cristiani, e per avere sempre ritenuta la
costanza e generosità dell'animo riportatone gloriosissimo fine. Doversi nelle
difficoltà presenti, ancorché forse paressino maggiori, sperarne il medesimo
successo; perché e la potenza e l'autorità loro era maggiore, e nelle guerre
fatte comunemente da molti prìncipi contro a uno solere essere maggiore lo
spavento che gli effetti, perché prestamente si raffreddavano gli impeti primi,
prestamente cominciando a nascere varietà di pareri indeboliva tra loro la
fede; e dovere quel senato confidarsi che, oltre alle provisioni e rimedi che
essi farebbono da se medesimi, Dio, giudice giustissimo, non abbandonerebbe una
republica nata e nutrita in perpetua libertà, ornamento e splendore di tutta la
Europa, né lascerebbe conculcare alla ambizione de' prìncipi, sotto falso
colore di preparare la guerra contro agli infedeli, quella città la quale, con
tanta pietà e con tanta religione, era stata tanti anni la difesa e il
propugnacolo di tutta la republica cristiana. Commossono in modo gli animi
della maggiore parte le parole di Domenico Trivisano che, come già qualche anno
era stato spesse volte quasi fatale in quello senato, fu, contro al parere di
molti senatori grandi di prudenza e di autorità, seguitato il consiglio
peggiore. Però il pontefice, il quale aveva differito insino all'ultimo dì
assegnato alla ratificazione il ratificare, ratificò; ma con espressa
dichiarazione di non volere fare atto alcuno di inimicizia contro a' viniziani
se non dappoi che il re di Francia avesse dato alla guerra cominciamento.
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