IV. Primi fatti di guerra. La bolla del pontefice contro i veneziani;
l'intimazione di guerra del re di Francia e la risposta del doge. I francesi
passano l'Adda a Cassano. I francesi a Rivolta. La battaglia di Ghiaradadda.
Resa di Bergamo e di Brescia al re di Francia.
Fu il primo
movimento di tanto incendio il quintodecimo dì d'aprile. Nel quale dì Ciamonte,
passato a guazzo con tremila cavalli il fiume dell'Adda appresso a Casciano, e
fatto passare in su battelli seimila fanti e dietro a loro l'artiglierie, si
dirizzò alla terra di Trevi, lontana tre miglia da Casciano, nella quale era
Giustiniano Morosino proveditore degli stradiotti de' viniziani, e con lui
Vitello da Città di Castello e Vincenzio di Naldo, che rassegnavano i fanti che
si doveano distribuire nelle terre vicine: i quali, credendo che i franzesi,
che in più parti si erano sparsi per la campagna, non fussino gente ordinata
per assaltare la terra ma per correre il paese, mandorno fuora dugento fanti e
alcuni stradiotti, co' quali appiccatasi una parte delle genti franzesi, gli
seguitò scaramucciando insino al rivellino della porta; e poco dipoi
sopragiugnendo gli altri, e appresentate l'artiglierie e cominciato già a
battere co' falconetti le difese, o la viltà de' capi spaventati di questo
impeto sì improviso o la sollevazione degli uomini della terra gli costrinse ad
arrendersi allo arbitrio libero di Ciamonte. Così rimasono prigioni Giustiniano
proveditore, Vitello e Vincenzio e il conte Braccio, e con loro cento cavalli
leggieri e circa mille fanti quasi tutti di Valdilamone; essendosi solamente
salvati col fuggire dugento stradiotti: e dipoi Ciamonte, a cui si erano
arrendute alcune terre vicine, ritornò con le genti tutte di là da Adda. E il
medesimo dì il marchese di Mantova, come soldato del re da cui avea la condotta
di cento lancie, corse a Casalmaggiore; il quale castello senza fare resistenza
gli fu dato dagli uomini della terra, insieme con Luigi Bono officiale
viniziano. Corse eziandio il medesimo dì da Piacenza Roccalbertino, con cento
cinquanta lancie e tremila fanti passati in su uno ponte di barche, fatto dove
l'Adda entra nel Po nel contado di Cremona; in altra parte del quale corsono
similmente le genti che erano alla guardia di Lodi, gittato uno ponte in su
Adda, e tutti i paesani della montagna di Brianza insino a Bergamo. Il quale
assalto fatto in uno giorno medesimo da cinque parti, senza dimostrarsi gli
inimici in luogo alcuno, ebbe maggiore strepito che effetto; perché Ciamonte si
ritornò subito a Milano per aspettare la venuta del re che già era vicino, e il
marchese di Mantova, che preso Casalmaggiore aveva tentato Asola invano, inteso
che l'Alviano con molta gente aveva passato il fiume dell'Oglio a Pontemolaro, abbandonò
Casalmaggiore.
Fatto questo
principio alla guerra, il pontefice incontinente publicò, sotto nome di
monitorio, una bolla orribile; nella quale furno narrate tutte le usurpazioni
che avevano fatte i viniziani delle terre pertinenti alla sedia apostolica, e
l'autorità arrogatesi, in pregiudicio della libertà ecclesiastica e della
giurisdizione de' pontefici, di conferire i vescovadi e molti altri benefici
vacanti, di trattare ne' fori secolari le cause spirituali e l'altre attenenti
al giudicio della Chiesa, e di molte altre cose, e tutte le inobbedienze
passate. Oltre alle quali fu narrato che pochi dì innanzi, per turbare in
pregiudicio della medesima sedia le cose di Bologna, avevano chiamati a Faenza
i Bentivogli rebelli della Chiesa; e sottoposti, loro e chi gli ricettasse, a
gravissime censure; ammonendogli a restituire, infra ventiquattro dì prossimi,
le terre che occupavano della Chiesa insieme con tutti i frutti ricevuti nel
tempo l'aveano tenute, sotto pena, in caso non ubbidissino, di incorrere nelle
censure e interdetti, non solo la città di Vinegia ma tutte le terre che gli
ubbidissino, e quelle ancora che non suddite allo imperio loro ricettassino
alcuno viniziano; dichiarandogli incorsi in crimine di maestà lesa e diffidati
come inimici, in perpetuo, da tutti i cristiani: a' quali concedeva facoltà di
occupare per tutto le robe loro e fare schiave le persone. Contro alla quale
bolla fu da uomini incogniti presentata, pochi dì poi, nella città di Roma, una
scrittura in nome del principe e de' magistrati viniziani; nella quale, dopo
lunga e acerbissima narrazione contro al pontefice e il re di Francia, si
interponeva l'appellazione dal monitorio al futuro concilio e, in difetto della
giustizia umana, a' piedi di Cristo giustissimo giudice e principe supremo di
tutti. Nel quale tempo, aggiugnendosi al monitorio spirituale le denunzie
temporali, l'araldo Mongioia, arrivato in Vinegia e introdotto innanzi al doge
e al collegio, protestò in nome del re di Francia la guerra già cominciata,
aggravandola con cagioni più efficaci che vere o giuste: alla proposta del
quale, avendo alquanto consultato, fu risposto dal doge con brevissime parole
che, poi che il re di Francia aveva deliberato di muovere loro la guerra nel
tempo che più speravano di lui, per la confederazione la quale non aveano mai
violata, e per aversi, per non si separare da lui, provocato inimico il re de'
romani, che attenderebbeno a difendersi, sperando poterlo fare con le forze
loro accompagnate dalla giustizia della causa. Questa risposta parve più
secondo la degnità della republica che distendersi in giustificazioni e querele
vane contro a chi già gli avea assaltati con l'armi.
Ma unito che fu
a Pontevico l'esercito viniziano, nel quale erano dumila uomini d'arme tremila
tra cavalli leggieri e stradiotti, quindicimila fanti eletti di tutta Italia, e
veramente il fiore della milizia italiana non meno per la virtù de' fanti che
per la perizia e valore de' capitani, e quindicimila altri fanti scelti
dell'ordinanza de' loro contadi, e accompagnati da copia grandissima di
artiglierie, venne a Fontanella, terra vicina a Lodi a sei miglia e sedia
opportuna a soccorrere Cremona, Crema, Caravaggio e Bergamo: ove giudicando
avere occasione, per la ritirata di Ciamonte di là da Adda né essendo ancora
unito tutto l'esercito del re, di ricuperare Trevi, si mossono per
deliberazione del senato ma contro al consiglio, secondo che esso affermava
poi, dell'Alviano; il quale allegava essere deliberazioni quasi repugnanti
vietare che si combattesse coll'esercito degli inimici e da altra parte
accostarsegli tanto, perché non sarebbe forse in potestà loro il ritirarsi, e
quando pure potessino farlo, sarebbe con tanta diminuzione della reputazione di
quello esercito che nocerebbe troppo alla somma di tutta la guerra; e che egli,
per questo rispetto e per l'onore proprio e per l'onore comune della milizia
italiana, eleggerebbe più tosto di morire che di consentire a tanta ignominia.
Occupò prima l'esercito Rivolta dove i franzesi non avevano lasciata guardia
alcuna, ove messi cinquanta cavalli e trecento fanti, si accostò a Trevi, terra
poco distante da Adda e situata in luogo alquanto eminente, e nella quale
Ciamonte aveva lasciate cinquanta lancie e mille fanti sotto il capitano
Imbalt, Frontaglia guascone e il cavaliere Bianco, e piantate l'artiglierie
dalla parte di verso Casciano ove il muro era più debole, e facendo processo
grande, quegli che erano dentro il dì seguente si arrenderono, salvi i soldati
ma senza armi, e rimanendo prigioni i capitani, e la terra a discrezione libera
del vincitore: la quale subito andò a sacco, con danno maggiore de' vincitori
che de' vinti. Perché il re di Francia, come intese il campo inimico essere
intorno a Trevi, parendogli che la perdita di quel luogo quasi in su gli occhi
suoi gli togliesse molto della reputazione, si mosse subitamente da Milano per
soccorrerlo, e condotto, il dì poi che era stato preso Trevi che fu il nono di
maggio, in sul fiume presso a Casciano, ove prima per l'opportunità di Casciano
erano stati senza difficoltà gittati tre ponti in sulle barche, passò con tutto
l'esercito, senza farsi dagli inimici dimostrazione alcuna di resistergli;
maravigliandosi ciascuno che oziosamente perdessino tanta occasione di assaltare
la prima parte delle genti che fusse passata, ed esclamando il Triulzio, quando
vedde passarsi senza impedimento: - Oggi, o re cristianissimo, abbiamo
guadagnato la vittoria. - La quale occasione è manifesto che medesimamente fu
conosciuta e voluta usare dai capitani, ma non fu mai in potestà loro, né con
autorità né con prieghi né con minaccie, fare uscire di Trevi i soldati,
occupati nel sacco e nella preda: al quale disordine non bastando alcuno altro
rimedio a provedere, l'Alviano per necessitargli a uscire fece mettere fuoco
nella terra; ma fu fatto questo rimedio tanto tardi che già i franzesi con
grandissima letizia erano interamente passati, beffandosi della viltà e del
poco consiglio degli inimici.
Alloggiò il re
con l'esercito poco più di uno miglio vicino allo alloggiamento de' viniziani,
posto in luogo alquanto rilevato e, per il sito e per i ripari fatti, forte in
modo che non si poteva senza manifesto pericolo andare ad assaltargli; ove
consultandosi in quale modo si dovesse procedere, molti di quegli che
intervenivano ne' consigli del re, persuadendosi che l'armi di Cesare avessino
presto a sentirsi, confortavano che si procedesse lentamente, perché essendo
ne' fatti d'arme migliori le condizioni di colui che aspetta di essere
assaltato che di chi cerca di assaltare altri, la necessità costrignerebbe i
capitani viniziani, vedendosi impotenti a difendere quello imperio da tante
parti, a cercare di fare la giornata. Ma il re sentiva diversamente, purché
s'avesse occasione di combattere in luogo dove il sito non potesse prevalere
alla virtù de' combattitori; mosso o perché temesse non fussino tardi i
movimenti del re de' romani, o perché, trovandosi in persona con tutte le forze
del suo reame, non solo avesse speranza grande della vittoria ma giudicasse
disonorarsi molto il nome suo se da per sé senza aiuto d'altri non terminasse
la guerra, e pel contrario essergli sommamente glorioso che per la potenza e
virtù sua ottenessino non meno di lui gli altri confederati i premi della vittoria.
Da altra parte il senato e i capitani de' viniziani, non accelerando per timore
di Cesare i consigli loro, aveano deliberato, non si mettendo in luoghi eguali
a loro e agli inimici ma fermandosi sempre in alloggiamenti forti, fuggire in
un tempo medesimo la necessità del combattere e impedire a' franzesi il fare
processo alcuno importante. Con queste deliberazioni stette fermo l'uno e
l'altro esercito; nel quale luogo, benché tra i cavalli leggieri si facessino
spessi assalti, e che i franzesi facendo più innanzi l'artiglierie cercassino
avere occasione di combattere, non si fece maggiore movimento. Mossesi il dì
seguente il re verso Rivolta, per tentare se il desiderio di conservarsi quella
terra facesse muovere gli italiani; i quali non si movendo, per ottenere almeno
la confessione tacita che e' non ardissino di venire alla battaglia, stette
fermo per quattro ore innanzi allo alloggiamento loro con tutto l'esercito
ordinato alla battaglia, non facendo essi altro moto che di volgersi, senza
abbandonare il sito forte, alla fronte de' franzesi in ordinanza: nel qual
tempo condotta da una parte de' soldati del re l'artiglieria alle mura di
Rivolta, fu in poche ore presa per forza; ove alloggiò la sera medesima il re
con tutto l'esercito, angustiato nell'animo, e non poco, del modo col quale
procedevano gli inimici, il consiglio de' quali tanto più laudava quanto più
gli dispiaceva. Ma per tentare di condurgli per necessità a quel che non gli
induceva la volontà, dimorato che fu un giorno a Rivolta, abbruciatala nel
partirsi, mosse l'esercito per andare ad alloggiare a Vaila o a Pandino la
notte prossima, sperando da qualunque di questi due luoghi potere comodamente
impedire le vettovaglie che da Cremona e da Crema venivano agli inimici, e così
mettergli in necessità di abbandonare l'alloggiamento nel quale insino ad
allora erano stati. Conoscevano i capitani viniziani quali fussino i pensieri
del re, né dubitavano essere necessario di mettersi in uno alloggiamento forte
propinquo agli inimici, per continuare di tenergli nelle medesime difficoltà e
impedimenti; ma il conte di Pitigliano consigliava che si differisse il
muoversi al dì seguente; nondimeno fece instanza tanto ardente del contrario
l'Alviano, allegando essere necessario il prevenire, che finalmente fu
deliberato di muoversi subitamente.
Due erano i
cammini, l'uno più basso vicino al fiume dell'Adda ma più lungo a condursi a'
luoghi sopradetti andandosi per linea obliqua, l'altro più discosto dal fiume
ma più breve perché si andava per linea diritta, e (come si dice) questo per la
corda dell'arco quello per l'arco. Per il cammino di sotto procedeva l'esercito
del re, nel quale si dicevano essere più di dumila lancie seimila fanti
svizzeri e dodicimila tra guasconi e italiani, munitissimo di artiglierie e che
aveva copia grande di guastatori; per il cammino di sopra, e a mano destra
inverso lo inimico, procedeva l'esercito viniziano, nel quale si dicevano
essere dumila uomini d'arme più di ventimila fanti e numero grandissimo di cavalli
leggieri, parte italiani parte condotti da' viniziani di Grecia, i quali
correvano innanzi, ma non si allargando quanto sogliono perché gli sterpi e
arbuscelli, de' quali tra l'uno e l'altro esercito era pieno il paese, gli
impedivano: come medesimamente impedivano che l'uno e l'altro esercito non si
vedesse. Nel qual modo procedendo, e avanzando continuamente di cammino
l'esercito viniziano, si appropinquorno molto in un tempo medesimo
l'avanguardia franzese governata da Carlo d'Ambuosa e da Gianiacopo da Triulzi,
nella quale erano cinquecento lancie e i fanti svizzeri, e il retroguardo de'
viniziani guidato da Bartolomeo d'Alviano, nel quale erano [ottocento] uomini
d'arme e quasi tutto il fiore de' fanti dello esercito, ma che non procedeva
molto ordinato non pensando l'Alviano che quel dì si dovesse combattere. Ma
come vedde essersi tanto approssimato agli inimici, o svegliatasi in lui la
solita caldezza o vedendosi ridotto in luogo che era necessario fare la
giornata, significata subitamente al conte di Pitigliano, che andava innanzi
con l'altra parte dell'esercito, la sua o necessità o deliberazione, lo ricercò
che venisse a soccorrerlo: alla qual cosa il conte rispose che attendesse a
camminare, che fuggisse il combattere, perché così ricercavano le ragioni della
guerra e perché tale era la deliberazione del senato viniziano. Ma l'Alviano,
in questo mezzo, avendo collocati i fanti suoi con sei pezzi di artiglieria in
su uno piccolo argine fatto per ritenere l'impeto di uno torrente, il quale non
menando allora acqua passava trall'uno e l'altro esercito, assaltò gli inimici
con tale vigore e con tale furore che gli costrinse a piegarsi; essendogli in
questo molto favorevole l'essersi principiato il fatto d'arme in una vigna, ove
per i tralci delle viti non poteano i cavalli de' franzesi espeditamente
adoperarsi. Ma fattasi innanzi per questo pericolo la battaglia dell'esercito
franzese, nella quale era la persona del re, si serrorono i due primi squadroni
addosso alla gente dell'Alviano; il quale per il principio felice venuto in
grandissima speranza della vittoria, correndo in qua e in là, riscaldava e
stimolava con ardentissime voci i soldati suoi. Combattevasi da ogni parte
molto ferocemente, avendo i franzesi per il soccorso de' suoi ripigliato le
forze e l'animo, ed essendo la battaglia ridotta in luogo aperto ove i cavalli,
de' quali molto prevalevano, si potevano liberamente maneggiare; accesi ancora
assai per la presenza del re il quale, non avendo maggiore rispetto alla
persona sua che se fusse stato privato soldato, esposto al pericolo
dell'artiglierie non cessava, secondo che co' suoi era di bisogno, di
comandare, di confortare, di minacciare: e da altra parte i fanti italiani,
inanimiti da' successi primi, combattevano con vigore incredibile, non mancando
l'Alviano di tutti gli offici convenienti a eccellente soldato e capitano.
Finalmente, essendosi con somma virtù combattuto circa a tre ore, la fanteria
italiana danneggiata maravigliosamente nel luogo aperto da' cavalli degli
inimici, ricevendo oltre a questo non piccolo impedimento che nel terreno
diventato lubrico per grandissima pioggia, sopravenuta mentre si combatteva,
non potevano i fanti combattendo fermare i piedi, e sopratutto mancandogli il
soccorso de' suoi, cominciò a combattere con grandissimo disavvantaggio; e
nondimeno resistendo con grandissima virtù, ma già avendo perduta la speranza
del vincere, più per la gloria che per la salute, fece sanguinosa e per
alquanto spazio di tempo dubbia la vittoria de' franzesi; e ultimatamente,
perdute prima le forze che il valore, senza mostrare le spalle agli inimici,
rimasono quasi tutti morti in quel luogo: tra' quali fu molto celebrato il nome
di Piero, uno de' marchesi del Monte a Santa Maria di Toscana, esercitato
condottiere di fanti nelle guerre di Pisa agli stipendi de' fiorentini, e
allora uno de' colonnelli della fanteria viniziana. Per la quale resistenza
tanto valorosa di una parte sola dell'esercito, fu allora opinione costante di
molti che se tutto l'esercito de' viniziani entrava nella battaglia arebbe
ottenuta la vittoria: ma il conte di Pitigliano con la maggiore parte si
astenne dal fatto d'arme; o perché, come diceva egli, essendosi voltato per
entrare nella battaglia fusse urtato dal seguente squadrone de' viniziani che già
fuggiva, o pure, come si sparse la fama, perché non avendo speranza di potere
vincere, e sdegnato che l'Alviano avesse contro alla autorità sua presunto di
combattere, migliore consiglio riputasse che quella parte dell'esercito si
salvasse che il tutto per l'altrui temerità si perdesse. Morirno in questa
battaglia pochi uomini d'arme, perché la uccisione grande fu de' fanti de'
viniziani, de' quali alcuni affermano esserne stati ammazzati ottomila; altri
dicono che 'l numero de' morti da ogni parte non passò in tutto seimila. Rimase
prigione Bartolomeo d'Alviano, il quale con uno occhio e col volto tutto
percosso e livido fu menato al padiglione del re; presi venti pezzi
d'artiglieria grossa e molta minuta; e il rimanente dell'esercito, non
seguitato, si salvò. Questa fu la giornata famosa di Ghiaradadda o, come altri
la chiamano, di Vaila, fatta il quartodecimo dì di maggio; per memoria della
quale il re fece nel luogo ove si era combattuto edificare una cappella,
onorandola col nome di Santa Maria della Vittoria.
Ottenuta tanta
vittoria, il re, per non corrompere con la negligenza l'occasione acquistata
con la virtù e con la fortuna, andò il dì seguente a Caravaggio; ed
essendosegli arrenduta subito a patti la terra, batté con l'artiglierie la
fortezza, la quale in spazio di uno dì si dette liberamente. Arrendessegli il
prossimo dì, non aspettato che l'esercito s'accostasse, la città di Bergamo;
nella quale lasciate cinquanta lancie e mille fanti per la espugnazione della
fortezza, si indirizzò a Brescia; dove, innanzi arrivasse, la fortezza di
Bergamo stata battuta uno dì con l'artiglierie si arrendé, con patto che
fussino prigioni Marino Giorgio e gli altri ufficiali viniziani: perché il re,
non tanto mosso da odio quanto dalla speranza d'averne a trarre quantità grande
di danari, era deliberato di non accettare mai, quando se gli arrendevano le
terre, patto alcuno per il quale fussino salvati i gentiluomini viniziani. Ne'
bresciani non era più quella antica disposizione con la quale avevano, al tempo
degli avoli loro, sostenuto nelle guerre di Filippo Maria Visconte gravissimo
assedio per conservarsi sotto lo imperio viniziano; ma inclinati a darsi a'
franzesi, parte per il terrore delle armi loro parte per i conforti del conte
Giovanfrancesco da Gambara, capo della fazione ghibellina, avevano il dì dopo
la rotta occupate le porte della città, opponendosi apertamente a Giorgio
Cornaro, il quale andato quivi con grandissima celerità voleva mettervi gente;
e dipoi accostatosi alla città l'esercito diminuito assai di numero, non tanto
per il danno ricevuto nel fatto d'arme quanto perché, come accade ne' casi
simili, molti volontariamente se ne partivano, disprezzorono l'autorità e i
prieghi di Andrea Gritti, che entrò in Brescia a persuadergli che gli
accettassino per loro difesa. Però l'esercito, non si riputando sicuro in quel
luogo, andò verso Peschiera; e la città di Brescia, facendosene autori i
Gambereschi, si arrendé al re di Francia; e il medesimo fece due dì poi la
fortezza, con patto che fussino salvi tutti quegli che vi erano dentro, eccetto
i gentiluomini viniziani.
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