VIII. I fiorentini svolgono più decisamente le azioni contro Pisa. Le
condizioni degli assediati sempre più difficili; grave malcontento dei
contadini. Patti di resa dei pisani ai fiorentini.
Poseno in
questo tempo i fiorentini l'ultima mano alla guerra contro a' pisani: perché,
poiché ebbono proibito che in Pisa entrasse il soccorso de' grani, fatta nuova
provisione di gente, si messono con ogni industria e con ogni sforzo a vietare
che né per terra né per acqua non vi entrassino vettovaglie; il che non si
faceva senza difficoltà per la vicinità del paese de' lucchesi, i quali dove
occultamente potevano osservavano con mala fede la concordia fatta nuovamente
co' fiorentini. Ma in Pisa cresceva di giorno in giorno la strettezza del
vivere, la quale non volendo i contadini più tollerare, quegli capi de'
cittadini in mano de' quali erano le deliberazioni publiche e che erano
seguitati dalla più parte della gioventù pisana, per addormentare i contadini
con le arti consuete, introdusseno, adoperando per mezzo il signore di
Piombino, pratica dello accordarsi co' fiorentini, nella quale artificiosamente
consumorono molti dì; essendo andato per questo Niccolò Machiavelli, secretario
de' fiorentini, a Piombino e molti imbasciadori de' pisani, eletti de'
cittadini e de' contadini. Ma era molto difficile il chiudere Pisa, perché ha
la campagna larga montuosa e piena di fossi e di paludi, da potere male
proibire che, di notte massime, non vi entrassino vettovaglie; atteso la
prontezza di darne loro del paese de' lucchesi, e la disposizione feroce de'
pisani che per condurvene si esponevano a ogni fatica e a ogni pericolo: le
quali difficoltà per superare determinorno i capitani de' fiorentini di fare
tre parti dello esercito, acciocché diviso in più luoghi potesse più
comodamente proibire l'entrare in Pisa. Collocoronne una parte a Mezzana fuora
della porta alle Piaggie, la seconda a San Piero a Reno e a San Iacopo opposita
alla porta di Lucca, la terza presso all'antichissimo tempio di San Piero in
Grado che è tra Pisa e la foce d'Arno, e in ciascuno campo, bene fortificato,
oltre a' cavalli mille fanti; e per guardare meglio la via de' monti, per la
strada di Val d'Osole che va al monte a San Giuliano, si fece verso lo Spedale
magno uno bastione capace di dugento cinquanta fanti: donde cresceva ogni dì la
penuria de' pisani. I quali, cercando di ottenere con le fraudi quello che già
disperavano di potere ottenere con la forza, ordinorno che Alfonso del Mutolo,
giovane pisano di bassa condizione (il quale stato preso non molto prima da'
soldati de' fiorentini avea ricevuto grandissimi benefici da colui [di] cui
prigione era stato), offerisse per mezzo suo di dare furtivamente la porta che
va a Lucca; disegnando, nel tempo medesimo che 'l campo che era a San Iacopo
andasse di notte per riceverla, non solamente, messane dentro una parte,
opprimere quella ma nel tempo medesimo assaltare uno degli altri campi de'
fiorentini, i quali secondo l'ordine dato si avevano ad accostare più presso
alla città. I quali essendosi accostati, ma non con temerità né con disordine,
i pisani non conseguirno altro di questo trattato che la morte di pochi uomini
che si condusseno nello antiporto per entrare nella città al segno dato: tra'
quali fu morto Canaccio da Pratovecchio (così si chiamava quello di cui era
stato prigione Alfonso del Mutolo), quello sotto la confidenza di chi era stato
tenuto il trattato e vi morì anche d'una artiglieria Paolo da Parrano capitano
di una compagnia di cavalli leggieri de' fiorentini. La quale speranza mancata,
né entrando più in Pisa se non piccolissima quantità di grani, e quegli
occultamente e con grandissimo pericolo di quei che ve gli conducevano, né
comportando i fiorentini che di Pisa uscissino bocche disutili, perché facevano
vari supplìci a coloro che ne uscivano, si comperavano con prezzo smisurato le
cose necessarie al vivere umano; e non ve ne essendo tante che bastassino a
tutti, molti già si morivano per non avere da alimentarsi. E nondimeno era
maggiore di tanta necessità l'ostinazione di quegli cittadini che erano capi
del governo; i quali, disposti a vedere prima l'ultimo esterminio della patria
che cedere a sì orribile necessità, andavano di giorno in giorno differendo il
convenire, ingegnandosi di dare alla moltitudine ora una speranza ora un'altra;
e sopratutto che, aspettandosi a ogni ora Cesare in Italia, sarebbono i
fiorentini necessitati a discostarsi dalle loro mura. Ma una parte de'
contadini, e quegli massime che, stati a Piombino, avevano compreso quale fusse
l'animo loro, fatta sollevazione gli costrinse a introdurre nuove pratiche co'
fiorentini: le quali trattate con Alamanno Salviati, commissario di quella
parte dello esercito che alloggiava a San Piero in Grado, dopo varie dispute,
usando continuamente quegli medesimi ogni possibile diligenza per interrompere,
si conchiuse. E nondimeno la concordia fu fatta con condizioni molto favorevoli
per i pisani: conciossiaché fussino rimessi loro non solo tutti i delitti fatti
ma ancora concesse molte esenzioni, rimessi tutti i debiti publici e privati, e
assoluti dalla restituzione de' beni mobili de' fiorentini che avevano rapiti
quando si ribellorono. Tanto era il desiderio che avevano i fiorentini di
insignorirsene, tanto il timore che da Massimiliano, che aveva nella lega di
Cambrai nominato i pisani, benché dal re di Francia non fusse accettata la
nominazione, o da altro luogo, non sopravenisse qualche insperato impedimento
che, ancora che fussino certi che i pisani erano necessitati fra pochissimi dì
cedere alla fame, vollono più presto assicurarsene con inique condizioni che,
per ottenerla senza convenzione alcuna, rimettere niente della certezza alla
fortuna. La quale concordia, benché cominciata a trattarsi nel campo, fu dipoi
dagli imbasciadori pisani trattata e conchiusa in Firenze: e in questo fu
memorabile la fede de' fiorentini che, ancorché pieni di tanto odio ed
esacerbati da tante ingiurie, non furono manco costanti nell'osservare le cose
promesse che facili e clementi nel concederle.
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