IX. Risveglio di speranze e di attività ne' veneziani; riconquista di
Padova, del contado e della fortezza di Legnago. Nuove convenzioni fra il
pontefice e il re di Francia. I veneziani occupano Isola della Scala e fanno
prigioniero il marchese di Mantova. Modeste azioni di guerra e grandiosi
progetti di Massimiliano. Vicende della lotta nel Friuli. Umile atteggiamento
degli ambasciatori veneziani in Roma e loro trattative coi cardinali.
È certo che il
re de' romani sentì con non piccola molestia l'essersi sottomessi i pisani,
perché si era persuaso o che il dominio di quella città gli avesse a essere
potente instrumento a molte occasioni o che il consentirla a' fiorentini gli
avesse a fare ottenere da loro quantità non mediocre di danari: per mancamento
de' quali lasciava cadere le amplissime occasioni che, senza fatica o industria
sua, se gli erano offerte. Le quali mentre che sì debolmente aiuta che in
Vicenza e Padova non era quasi soldato alcuno per lui, ed egli, con la sua
tardità raffreddando la caldezza degli uomini delle terre, si trasferisce con
poca gente, spesso e con presta variazione, da luogo a luogo, i viniziani non
pretermetterono l'opportunità che se gli offerse di recuperare Padova, indotti
a questo da molte ragioni: perché lo avere ritenuto Trevigi gli aveva fatto
riconoscere quanto fusse stato inutile l'avere con sì precipitoso consiglio
disperato sì subito dello imperio di terra ferma, e perché per la tardità degli
apparati di Massimiliano si temeva manco l'uno dì che l'altro di lui; stimolati
ancora non poco perché volendo condurre a Vinegia le entrate de' beni che i
particolari viniziani tenevano, molti, nel contado di Padova, era stato
dinegato dai padovani. In modo che, congiunto lo sdegno dei privati con la
utilità publica, e invitandogli il sapere Padova essere male provista di gente,
e che, per le insolenze che i gentiluomini di Padova usavano con la plebe,
molti ricordatisi della moderazione del governo viniziano cominciavano a
desiderare il primo dominio, deliberorono fare esperienza di recuperarla; e a
questo dava loro occasione non piccola che la più parte de' contadini del
padovano era ancora a loro divozione. E perciò fu stabilito che Andrea Gritti,
uno de' proveditori, lasciato a dietro l'esercito che era di quattrocento
uomini d'arme più di dumila tra stradiotti e cavalli leggieri e cinquemila
fanti, andasse a Novale nel padovano, e unitosi nel cammino con una parte de'
fanti che, accompagnati da molti contadini, erano stati mandati alla villa di
Mirano si dirizzasse verso Padova per assaltare la porta di Codalunga; e che
nel tempo medesimo dumila villani con trecento fanti e alcuni cavalli
assaltassino, per confondere più gli animi di quegli di dentro, il portello che
è nella parte opposita della città: e che, per occultare più questi pensieri,
Cristoforo Moro, l'altro proveditore, dimostrasse di andare a campo alla terra
di Cittadella. Il quale disegno bene ordinato non ebbe però maggiore ordine che
felicità. Perché i fanti, arrivati a grande ora del dì, trovorno la porta di
Codalunga mezza aperta, perché poco innanzi erano per sorte entrati dentro per
quella alcuni contadini con carri carichi di fieno; in modo che occupatala
senza alcuna difficoltà, e aspettata senza fare strepito la venuta delle altre
genti che erano vicine, furono non solo entrate prima dentro, anzi quasi
condotte in su la piazza, che in quella città, grandissima di circuito e vota
di abitatori, fusse sentito il romore: camminando innanzi a tutti il cavaliere
della Volpe co' cavalli leggieri, e il Zitolo di Perugia e Lattanzio da Bergamo
con parte de' fanti. Ma pervenuto il romore alla cittadella, il Dressina
governatore di Padova in nome di Massimiliano, con trecento fanti tedeschi che
soli erano a quella guardia, uscì in piazza, e 'l medesimo fece con cinquanta
cavalli Brunoro da Serego; aspettando se, col sostenere quivi lo impeto degli
inimici, quegli che in Padova amavano lo imperio tedesco pigliassino l'armi in
loro favore. Ma era vana questa e ogni altra speranza, perché nella città,
oppressa da sì subito tumulto e nella quale era già entrata molta gente,
nessuno faceva movimento; in modo che, abbandonati da ciascuno, furono in breve
spazio di tempo, con perdita di molti de' suoi, costretti a ritirarsi nella
rocca e nella cittadella; le quali essendo poco munite bisognò che in spazio di
poche ore si arrendessino liberamente. E così, fattesi le genti viniziane
padrone del tutto, attesono ad acquietare il tumulto e salvare la città; la
maggiore parte della quale, per la imprudenza e insolenza d'altri, era
diventata loro benevola: non avendo ricevuto danno se non le case degli ebrei e
alcune case di padovani che si erano scoperti prima inimici del nome viniziano.
Il quale dì, dedicato a santa Marina, è ogni anno in Vinegia, per deliberazione
publica, celebrato solennemente, come dì felicissimo e principio della
recuperazione del loro imperio. Commossesi alla fama di questa vittoria tutto
il paese circostante; ed era grandissimo pericolo che Vicenza non facesse per
se stessa il medesimo se Costantino di Macedonia, che a caso era quivi vicino,
non vi fusse entrato con poca gente. Recuperata Padova, i viniziani recuperorno
subito tutto il contado, avendo in favore loro la inclinazione della gente
bassa delle terre e de' contadini; recuperorono ancora col medesimo impeto la
terra e le fortezze di Lignago, terra molto opportuna a perturbare tutti i
contadi di Verona di Padova e di Vicenza. Tentorno oltre a questo di pigliare
la torre Marchesana distante otto miglia da Padova, passo opportuno a entrare
nel Pulesine di Rovigo e offendere il paese di Mantova; ma non l'ottennono,
perché il cardinale da Esti la soccorse con gente e con artiglierie.
Non ritardò il
caso di Padova, come molti aveano creduto, la ritornata del re di Francia di là
da' monti; il quale, mentre partiva, fece nella terra di Biagrassa col
cardinale di Pavia, legato del pontefice, nuove convenzioni. Per le quali il
pontefice e il re, obligatisi alla protezione l'uno dell'altro, convennono di
potere ciascuno di loro con qualunque altro principe convenire, purché non
fusse in pregiudicio della presente confederazione. Promesse il re non tenere
protezioni, né accettarne in futuro, di alcuno suddito o feudatario o che
dependesse mediatamente o immediatamente dalla Chiesa, annichilando
espressamente tutte quelle che insino a quel dì avesse ricevute: promessa poco
conveniente all'onore di tanto re, perché non molto innanzi essendo venuto a
lui il duca di Ferrara, con tutto che prima si fusse sdegnato che senza sua
saputa avesse accettato il gonfalonierato della Chiesa, riconciliatosi seco e
ricevuti trentamila ducati, l'avea ricevuto nella sua protezione. Convenneno
che i vescovadi che allora vacavano in tutti gli stati del re ne disponesse ad
arbitrio suo il pontefice, ma che quegli che in futuro vacassino si
conferissino secondo la nominazione che ne farebbe il re; al quale per
sodisfare più, mandò il pontefice per il medesimo cardinale di Pavia al vescovo
di Albi le bolle del cardinalato, promettendo dargli le insegne di quella
degnità subito che andasse a Roma. Fatta questa convenzione, il re senza
dilazione si partì d'Italia, riportandone in Francia gloria grandissima per la
vittoria tanto piena e acquistata con tanta celerità contro a' viniziani: e
nondimeno, come nelle cose che dopo lungo desiderio s'ottengono non truovano
quasi mai gli uomini né la giocondità né la felicità che prima s'aveano
immaginata, non riportò né maggiore quiete di animo né maggiore sicurtà alle
cose sue; anzi si vedeva preparata materia di maggiori pericoli e alterazioni,
e più incerto l'animo suo di quel che, negli accidenti nuovamente nati, avesse
a deliberare. Se a Cesare succedevano le cose prosperamente temeva molto più di
lui che prima non avea temuto de' viniziani. Se la grandezza de' viniziani
cominciava a risorgere era necessitato stare in continui sospetti e in continue
spese per conservare le cose tolte loro: né questo solamente, ma gli bisognava
con gente e con danari aiutare Cesare, perché abbandonandolo avea da sospettare
che non si congiugnesse co' viniziani contro a lui, con timore che al medesimo
non concorresse il re cattolico e per avventura il pontefice; né bastavano
aiuti mediocri a conservargli l'amicizia di Cesare, ma bisognava fussino tali
che ottenesse la vittoria contro a' viniziani; l'aiutarlo potentemente, oltre
che con gravissimo dispendio si faceva, lo rimetteva ne' medesimi pericoli
della grandezza di Cesare. Le quali difficoltà considerando, era stato sospeso
da principio se gli dovesse essere grata o molesta la mutazione di Padova;
benché poi, contrapesando la sicurtà che gli potesse partorire l'essere privati
i viniziani dello imperio di terra ferma con le molestie e pericoli che egli
temeva dalla grandezza del re de' romani, e con la speranza d'avere a ottenere
da lui per mezzo delle sue necessità, con danari, la città di Verona, la quale
sommamente desiderava, come opportuna a impedire i movimenti che si facessino
in Germania, riputava finalmente più sicuro e più utile per sé che le cose
rimanessino in tale stato che, dovendo verisimilmente essere lunga guerra tra
Cesare e i viniziani, l'una parte e l'altra, affaticata dalle spese continue,
ne divenisse più debole: confermato molto più in questa sentenza quando ebbe
convenuto col pontefice, perché sperò dovere avere seco, stabile confederazione
e amicizia. Lasciò nondimeno a' confini del veronese, sotto la Palissa,
settecento lancie perché seguissino la volontà di Cesare; così per la
conservazione delle cose acquistate come per ottenere quel che ancora
possedevano i viniziani: per la andata de' quali a Vicenza, secondo il
comandamento che ebbono da Cesare, si assicurò la città di Verona, la quale per
il piccolo presidio che vi era dentro stava con non mediocre sospetto; e
l'esercito de' viniziani che era andato a campo a Cittadella se ne partì.
Succedette
innanzi alla partita del re un altro accidente favorevole a' viniziani, perché
correndo continuamente i cavalli loro, che erano in Lignago, per tutto il paese
e insino in sulle porte di Verona e facendo danni grandissimi, a' quali le
genti che erano in Verona, per non vi essere più di dugento cavalli e
settecento fanti, non potevano resistere, il vescovo di Trento governatore per
Cesare in quella città, deliberando porvi il campo, chiamò il marchese di
Mantova; il quale, per aspettare le preparazioni che si facevano, fermatosi,
con la compagnia de' cavalli che aveva dal re, all'Isola della Scala, casale
grande in veronese non circondato di mura né di alcuna fortificazione, mentre
sta quivi senza sospetto, fu esempio notabile a tutti i capitani quanto in ogni
luogo e in ogni tempo debbino stare vigilanti e ordinati, e in modo possino
confidarsi delle forze proprie, non si assicurando né per la lontananza né per
la debolezza degli inimici. Perché essendosi il marchese convenuto con alcuni
stradiotti dell'esercito de' viniziani che venissino a trovarlo in quel luogo
per fermarsi agli stipendi suoi, e avendo essi, insino dal principio che furno
ricercati da lui, manifestata la cosa a' loro capitani, e però essendosi dato
ordine con questa occasione di assalirlo all'improviso, Luzio Malvezzo con
dugento cavalli leggieri e il Zitolo da Perugia con ottocento fanti, venuti
occultamente da Padova a Lignago e unitisi con le genti che erano a Lignago e
con mille cinquecento de' contadini del paese, e mandati innanzi alcuni cavalli
che con spesse voci gridassino Turco (era questo il cognome del marchese) per
fare credere che fussino gli stradiotti aspettati, si condussono non
sospettando alcuno, la mattina destinata in sul fare del dì all'Isola della
Scala; ove entrati senza resistenza, trovando senza guardia alcuna tutti i
soldati e gli altri che servivano e seguitavano il marchese a dormire, gli messono
in preda, ove tra gli altri rimase prigione Boisì luogotenente del marchese
nipote del cardinale di Roano; e il marchese, sentito il romore, essendo
fuggito quasi ignudo per una finestra e occultatosi in un campo di saggina, fu
manifestato agli inimici da uno contadino del luogo medesimo, il quale,
anteponendo il comodo de viniziani alla propria utilità, secondo l'ardore
comune degli altri del paese, mentre che simulatamente, udite l'offerte
grandissime che 'l marchese gli faceva, dimostrava di attendere a salvarlo,
fece il contrario: onde menato a Padova e poi a Vinegia, fu con allegrezza
inestimabile di tutta la città incarcerato nella torretta del palagio publico.
Non aveva
insino a ora impedito né impediva Cesare in parte alcuna i progressi de'
viniziani, non avendo avuto insieme forze bastanti ad alloggiare in sulla
campagna, ed essendo stato occupato molti dì nella montagna di Vicenza, ove i
villani affezionati al nome viniziano, confidatisi nella asprezza de' luoghi,
se gli erano manifestamente ribellati; e scendendo dipoi nella pianura, essendo
già seguita la rebellione di Padova, fu non senza suo pericolo assalito da
numero infinito di paesani che l'aspettavano a uno passo forte: onde avendogli
scacciati venne alla Scala nel vicentino, ove l'esercito de' viniziani avea
recuperata gran parte del contado di Vicenza; ed espugnata Serravalle, passo
importante, avea usata crudeltà grande contro a' tedeschi: il quale luogo
recuperando pochi dì poi Massimiliano, usò contro a' fanti italiani e contro
agli uomini del paese la medesima crudeltà. Così, non essendo ancora maggiori
le forze sue, si occupava in piccole imprese, procedendo all'espugnazione ora
di questo castello ora di quello, con poca degnità e riputazione del nome
cesareo; proponendo nel tempo medesimo agli altri confederati, come sempre
erano maggiori i concetti suoi che le forze e l'occasioni, che si attendesse
con le forze di tutti a occupare la città di Vinegia, usando oltre all'armi di
terra l'armate marittime de' re di Francia e di Aragona e le galee del
pontefice, che allora erano congiunte insieme. Alla qual cosa, non trattata
nella confederazione fatta a Cambrai, arebbe acconsentito il re di Francia,
pure che si proponessino condizioni tali che l'acquistarla risultasse in
beneficio comune; ma era cosa molesta al pontefice, e la quale, e allora e in
altro tempo che più lungamente si trattò, fu sempre contradetta dal re
cattolico, detestandola, perché gli pareva utile al re di Francia, sotto colore
di essere cosa ingiustissima e inonestissima.
Ma mentre che
dall'armi tedesche e italiane sono così vessati i contadi di Padova di Vicenza
e di Verona, era ancora più miserabilmente lacerato il paese del Friuli e
quello che in Istria ubbidiva a' viniziani. Perché essendo per commissione di
Cesare entrato nel Friuli il principe di Analt con diecimila uomini comandati,
poi che invano ebbe tentato di pigliare Montefalcone, aveva espugnata la terra
e la fortezza di Cadoro con uccisione grande di quegli che la difendevano; e
all'incontro alcuni cavalli leggieri e fanti de' viniziani, seguitati da molti
del paese, presono per forza la terra di Valdisera e per accordo Bellona, ove
non era guardia di tedeschi; e da altra parte il duca di Brunsvich mandato
medesimamente da Cesare, non avendo potuto ottenere Udine terra principale del
Friuli, era andato a campo a Civitale d'Austria, terra situata in luogo
eminente in sul fiume Natisone; a guardia della quale era Federico Contareno,
con piccolo presidio ma confidatosi nelle forze del popolo dispostissimo a
difendersi: al cui soccorso venendo con ottocento cavalli e cinquecento fanti
Giampaolo Gradanico, proveditore del Friuli, fu messo in fuga dalle genti
tedesche; e nondimeno, ancora che avessino battuta Civitale con l'artiglieria,
non potettono, né con l'assalto feroce che gli dettono né con la fama di avere
rotti coloro che venivano a soccorrerla, espugnarla. E in Istria Cristoforo
Frangiapane roppe al castello di Verme gli ufficiali de' viniziani, seguitati
dalle genti del paese; con l'occasione del quale successo prospero fece per
tutto il paese grandissimi danni e incendi, e occupò Castelnuovo e la terra di
Raspruchio. Però i viniziani mandorno Angelo Trivisano, capitano della armata
loro, con sedici galee; il quale, presa per forza nella prima giunta la terra
di Fiume, tentò di occupare la città di Triesti, ma non gli succedendo,
ricuperò per forza Raspruchio, e dipoi si ritirò colle galee verso Vinegia:
rimanendo lacrimabile lo stato del Friuli e della Istria, perché essendovi più
potenti ora i viniziani ora i tedeschi, quelle terre che prima avea preso e
saccheggiato l'uno recuperava e saccheggiava poi l'altro; accadendo molte volte
questo medesimo: di modo che, essendo continuamente in preda le facoltà e la
vita delle persone, tutto 'l paese orribilmente si consumava e distruggeva.
Ne' quali
accidenti dell'armi temporali si disputava in Roma sopra l'armi spirituali:
ove, insino innanzi alla recuperazione di Padova, erano entrati con abito e con
parole miserabili i sei oratori del senato viniziano; i quali, essendo consueti
a entrarvi con pompa e fasto grandissimo e concorrendo loro incontro tutta la
corte, non solo non erano stati né onorati né accompagnati, ma entrativi,
perché così volle il pontefice, di notte né ammessi al cospetto suo, andavano a
trattare in casa il cardinale di Napoli, con lui e con altri cardinali e
prelati deputati; opponendosi grandemente perché non ottenessino l'assoluzione
dalle censure gl'imbasciadori del re de' romani del re cristianissimo e del re
cattolico, e in contrario affaticandosi per loro palesemente l'arcivescovo
eboracense, mandato per questa cagione principalmente da Enrico ottavo,
succeduto pochi mesi avanti, per la morte di Enrico settimo suo padre, nel
regno di Inghilterra.
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