X. Preparativi de' veneziani per la difesa di Padova; orazione del doge in
senato. I giovani della nobiltà veneziana accorrono alla difesa di Padova.
Massimiliano corre il contado, mentre la città viene sempre più fortificata e
approvvigionata.
Ma espettazione
di cose molto maggiori occupava in questo tempo gli animi di tutti gli uomini:
perché Cesare, raccogliendo tutte le forze che per se stesso poteva e che gli
erano concedute da molti, si preparava per andare con esercito potentissimo a
campo a Padova; e da altra parte il senato viniziano, giudicando consistere
nella difesa di quella città totalmente la salute sua, attendeva con somma
diligenza alle provisioni necessarie a difenderla, avendovi fatto entrare, da
quelle genti in fuora che erano deputate alla guardia di Trevigi, l'esercito
loro con tutte quelle forze che da ogni parte aveano potute raccorre, e
conducendovi numero infinito d'artiglierie di qualunque sorte, vettovaglie
d'ogni ragione bastanti a sostentargli molti mesi, moltitudine innumerabile di
contadini e di guastatori; co' quali, oltre all'avere con argini e con copia
grande di legnami e di ferramenti riparato per non essere privati dell'acque
che appresso alla terra di Limini si divertono a Padova, aveano fatto alle mura
della città e faceano continuamente maravigliose fortificazioni. E con tutto
che le provisioni fussino tali che quasi maggiori non si potessino desiderare,
nondimeno in caso tanto importante era inestimabile la sollecitudine e la
ansietà di quel senato, non cessando dì e notte i senatori di pensare, di
ricordare e di proporre le cose che credevano che fussino opportune. Delle
quali trattandosi continuamente nel senato, Lionardo Loredano loro doge, uomo
venerabile per l'età e per la degnità di tanto grado, nel quale era già seduto
molti anni, levatosi in piedi parlò in questa sentenza:
- Se, come è
manifestissimo a ciascuno, prestantissimi senatori, nella conservazione della
città di Padova consiste non solamente ogni speranza di potere mai recuperare
il nostro imperio ma ancora di conservare la nostra libertà, e per contrario se
dalla perdita di Padova ne seguita, come è certissimo, l'ultima desolazione di
questa patria, bisogna di necessità confessare che le provisioni e preparazioni
fatte insino a ora, ancorché grandissime e maravigliose, non siano sufficienti,
né per quello che si conviene per la sicurtà di quella città né per quello che
si appartiene alla degnità della nostra republica; perché in una cosa di tanta
importanza e di tanto pericolo non basta che i provedimenti fatti siano tali
che si possa avere grandissima speranza che Padova s'abbia a difendere, ma
bisogna sieno tanto potenti che, per quel che si può provedere con la diligenza
e industria umana, si possa tenere per certo che abbino ad assicurarla da tutti
gli accidenti che improvisamente potesse partorire la sinistra fortuna, potente
in tutte le cose del mondo ma sopra tutte l'altre in quelle della guerra. Né è
deliberazione degna della antica fama e gloria del nome viniziano che da noi
sia commessa interamente la salute publica, e l'onore e la vita propria e della
moglie e figliuoli nostri, alla virtù di uomini forestieri e di soldati
mercenari, e che non corriamo noi spontaneamente e popolarmente a difenderla
co' petti e con le braccia nostre; perché se ora non si sostiene quella città
non rimane a noi più luogo d'affaticarci per noi medesimi, non di dimostrare la
nostra virtù, non di spendere per la salute nostra le nostre ricchezze: però,
mentre che ancora non è passato il tempo di aiutare la nostra patria, non
debbiamo lasciare indietro opera o sforzo alcuno, né aspettare di rimanere in
preda di chi desidera di saccheggiare le nostre facoltà, di bere con somma
crudeltà il nostro sangue. Non contiene la conservazione della patria solamente
il publico bene, ma nella salute della republica si tratta insieme il bene e la
salute di tutti i privati, congiunta in modo con essa che non può stare questa
senza quella; perché cadendo la republica e andando in servitù, chi non sa che
le sostanze l'onore e la vita de' privati rimangono in preda dell'avarizia
della libidine e della crudeltà degli inimici? Ma quando bene nella difesa
della republica non si trattasse altro che la conservazione della patria, non è
questo premio degno de' suoi generosi cittadini? pieno di gloria e di splendore
nel mondo e meritevole appresso a Dio? Perché è sentenza insino de' gentili,
essere nel cielo determinato uno luogo particolare il quale felicemente godino
in perpetuo tutti coloro che aranno aiutato conservato e accresciuto la patria
loro. E quale patria è giammai stata che meriti di essere più aiutata e
conservata da' suoi figliuoli che questa? la quale ottiene e ha ottenuto per
molti secoli il principato intra tutte le città del mondo, e dalla quale i suoi
cittadini ricevono grandissime e innumerabili comodità utilità e onori:
ammirabile se si considerano o le doti ricevute dalla natura, o le cose che
dimostrano la grandezza quasi perpetua della prospera fortuna, o quelle per le
quali apparisce la virtù e la nobiltà degli animi degli abitatori. Perché è
stupendissimo il sito suo; posta, unica nel mondo, tra l'acque salse, e
congiunte in modo tutte le parti sue che in uno tempo medesimo si gode la
comodità dell'acqua e il piacere della terra; e sicura, per non essere posta in
terra ferma, dagli assalti terrestri; sicura, per non essere posta nella
profondità del mare, dagli assalti marittimi. E quanto sono maravigliosi gli
edifici publici e privati! edificati con incredibile spesa e magnificenza, e
pieni di ornatissimi marmi forestieri e di pietre singolari condotte in questa
città da tutte le parti del mondo; e quanto ci sono eccellenti le pitture le
statue le sculture gli ornamenti de' musaici e di tante bellissime colonne e
d'altre cose simiglianti! E quale città si truova al presente ove sia maggiore
concorso delle nazioni forestiere? che vengono qui, parte per abitare in questa
libera e quasi divina stanza sicuramente, parte per esercitare i loro commerci;
onde Vinegia è piena di grandissime mercatanzie e faccende, onde crescono
continuamente le ricchezze de' nostri cittadini, onde la republica ha tanta
entrata del circuito solo di questa città quanta non hanno molti re degli
interi regni loro. Lascio andare la copia de' letterati in ogni scienza e
facoltà, la qualità degli ingegni e la virtù degli uomini, dalla quale
congiunta con le altre condizioni è nata la gloria delle cose fatte, maggiori
da questa republica e dagli uomini nostri che da' romani in qua abbia fatto
patria alcuna. Lascio andare quanto sia maraviglioso vedere in una città nella
quale non nasca cosa alcuna, e che sia pienissima di abitatori, abbondare ogni
cosa. Fu il principio della città nostra ristretto in su questi soli scogli
sterili e ignudi, e nondimeno, distesasi la virtù degli uomini nostri prima ne'
mari più vicini e nelle terre circostanti, dipoi ampliatasi con felici successi
ne' mari e nelle provincie più lontane, e corsa insino nell'ultime parti dello
Oriente, acquistò per terra e per mare tanto imperio, e tennelo sì lungamente,
e ampliò in modo la sua potenza che, stata tempo lunghissimo formidabile a
tutte l'altre città d'Italia, sia stato necessario che ad abbatterla siano
concorse le fraudi e le forze di tutti i prìncipi cristiani: cose certamente
procedute con l'aiuto del sommo Dio, perché è celebrata per tutto il mondo la
giustizia che si esercita indifferentemente in questa città; per il nome solo
della quale molti popoli si sono spontaneamente sottoposti al nostro dominio.
Già a quale città, a quale imperio cede di religione e di pietà verso il sommo
Dio la patria nostra? ove sono tanti monasteri, tanti templi, pieni di
ricchissimi e preziosissimi ornamenti di tanti stupendi vasi e apparati
dedicati al culto divino, ove sono tanti ospedali e luoghi pii ne' quali, con
incredibile spesa e incredibile utilità de poveri, si esercitano assiduamente
le opere della carità? È meritamente per tutte queste cose preposta la patria
nostra a tutte l'altre, ma oltre a queste ce n'è una per la quale sola trapassa
tutte le laudi e la gloria di se medesima. Ebbe la patria nostra in uno tempo
medesimo l'origine sua e la sua libertà, né mai nacque né morì in Vinegia
cittadino alcuno che non nascesse e morisse libero, né mai è stata turbata la
sua libertà; procedendo tanta felicità dalla concordia civile, stabilita in
modo negli animi degli uomini che in uno tempo medesimo entrano nel nostro
senato e ne' nostri consigli e depongono le private discordie e contenzioni. Di
questo è causa la forma del governo che, temperato di tutti i modi migliori di
qualunque specie di amministrazione publica e composta in modo a guisa di
armonia, proporzionato e concordante tutto a se medesimo, è durato già tanti
secoli, senza sedizione civile senza armi e senza sangue tra i suoi cittadini,
inviolabile e immaculato; laude unica della nostra republica, e della quale non
si può gloriare né Roma né Cartagine né Atene né Lacedemone, né alcuna di
quelle republiche che sono state più chiare e di maggiore grido appresso agli
antichi: anzi appresso a noi si vede in atto tale forma di republica quale
quegli che hanno fatto maggiore professione di sapienza civile non seppeno mai
né immaginarsi né descrivere. Adunque a tanta e a sì gloriosa patria, stata
moltissimi anni antimuro della fede, splendore della republica cristiana,
mancheranno le persone de' suoi figliuoli e de' suoi cittadini? e ci sarà chi
rifiuti di mettere in pericolo la propria vita e de' figliuoli per la salute di
quella? la quale contenendosi nella difesa di Padova, chi sarà quello che neghi
di volere personalmente andare a difenderla? E quando bene fussimo certissimi
essere bastanti le forze che vi sono, non appartiene egli all'onore nostro, non
appartiene egli allo splendore del nome viniziano, che e' si sappia per tutto
il mondo che noi medesimi siamo corsi prontissimamente a difenderla e
conservarla? Ha voluto il fato di questa città che in pochi dì sia caduto delle
mani nostre tanto imperio: nella quale cosa non abbiamo da lamentarci tanto
della malignità della fortuna (perché sono casi comuni a tutte le republiche a
tutti i regni) quanto abbiamo cagione di dolerci che, dimenticatici della
costanza nostra stata insino a quel dì invitta, che perduta la memoria di tanti
generosi e gloriosi esempli de' nostri maggiori, cedemmo con troppo subita
disperazione al colpo potente della fortuna; né fu per noi rappresentata a'
figliuoli nostri quella virtù che era stata rappresentata a noi da' padri
nostri. Torna ora a noi l'occasione di recuperare quello ornamento, non perduto,
se noi vorremo essere uomini, ma smarrito; perché andando incontro alla
avversità della fortuna, offerendoci spontaneamente a' pericoli, cancelleremo
la infamia ricevuta; e vedendo non essere perduta in noi l'antica generosità e
virtù, si ascriverà più tosto quel disordine a una certa fatale tempesta (alla
quale né il consiglio né la costanza degli uomini può resistere) che a colpa e
vergogna nostra. Però, se fusse lecito che tutti popolarmente andassimo a
Padova, che senza pregiudicio di quella difesa e delle altre urgentissime
faccende publiche si potesse per qualche giorno abbandonare questa città, io
primo, senza aspettare la vostra deliberazione, piglierei il cammino; non
sapendo in che meglio potere spendere questi ultimi dì della mia vecchiezza che
nel partecipare, colla presenza e con gli occhi, di vittoria tanto preclara, o
quando pure (l'animo aborrisce di dirlo) morendo insieme con gli altri non
essere superstite alla ruina della patria. Ma perché né Vinegia può essere
abbandonata da' consigli publici, ne' quali, col consigliare provedere e
ordinare, non manco si difende Padova che la difendino con l'armi quegli che
sono quivi, e la turba inutile de' vecchi sarebbe più di carico che di presidio
a quella città, né anche, per tutto quello che potesse occorrere, è a proposito
spogliare Vinegia di tutta la gioventù, però consiglio e conforto che, avendo
rispetto a tutte queste ragioni, si elegghino dugento gentiluomini de'
principali della nostra gioventù, de' quali ciascuno, con quella quantità di amici
e di clienti atti all'arme che tollereranno le sue facoltà, vadia a Padova, per
stare quanto sarà necessario alla difesa di quella terra: due miei figliuoli,
con grande compagnia, saranno i primi a eseguire quel che io, padre loro
principe vostro, sono stato il primo a proporre; le persone de' quali in sì
grave pericolo offerisco alla patria volentieri. Così si renderà più sicura la
città di Padova, così i soldati mercenari che vi sono, veduta la nostra
gioventù pronta alle guardie e a tutti i fatti militari, ne riceveranno
inestimabile allegrezza e animosità; certi che, essendo congiunti con loro i
figliuoli nostri, non abbia a mancare da noi provisione o sforzo alcuno: la
gioventù e gli altri che non andranno, si accenderanno tanto più con questo
esempio a esporsi, sempre che sarà di bisogno, a tutte le fatiche e pericoli.
Fate voi, senatori, le parole e i fatti de' quali sono in esempio e negli occhi
di tutta la città, fate, dico, a gara, ciascuno di voi che ha facoltà
sufficienti, di fare descrivere in questo numero i vostri figliuoli acciò che
sieno partecipi di tanta gloria; perché da questo nascerà non solo la difesa
sicura e certa di Padova ma si acquisterà questa fama appresso a tutte le
nazioni: che noi medesimi siamo quegli che col pericolo della propria vita
difendiamo la libertà e la salute della più degna patria e della più nobile che
sia in tutto il mondo. -
Fu udito con
grandissima attenzione e approvazione, e messo con somma celerità in
esecuzione, il consiglio del principe; per il quale il fiore de' nobili della
gioventù viniziana, raccolti ciascuno quanti più amici e familiari atti allo
esercizio dell'armi potette, andò a Padova, accompagnati insino che entrorno
nelle barche da tutti gli altri gentiluomini e da moltitudine innumerabile, e
celebrando ciascuno con somme laudi e con pietosi voti tanta prontezza in
soccorso della patria: né con minore letizia e giubilo di tutti furono ricevuti
in Padova, esaltando i capitani e i soldati insino al cielo che questi giovani
nobili, non esperimentati né alle fatiche né a' pericoli della milizia,
preponessino l'amore della patria alla vita propria; e in modo che confortando
l'uno l'altro aspettavano con lietissimi animi la venuta di Cesare.
Il quale,
attendendo a raccorre le genti che da molte parti gli concorrevano, era venuto
al ponte alla Brenta lontano tre miglia da Padova; e preso per forza Limini e
interrotto il corso delle acque, aspettava l'artiglierie le quali, terribili
per quantità e per qualità, venivano di Germania. Delle quali essendo condotta
una parte a Vicenza, ed essendo andati Filippo Rosso e Federigo Gonzaga da
Bozzole con dugento cavalli leggieri per fargli scorta, assaltati da
cinquecento cavalli leggieri (che guidati dai villani, i quali in tutta la
guerra feciono a' viniziani utilità maravigliosa, erano usciti di Padova) furno
rotti presso a Vicenza cinque miglia, e Filippo fatto prigione; e Federigo, con
grande fatica, per beneficio della notte, a piede e in camicia si era salvato.
Dal ponte alla Brenta Massimiliano si allargò dodici miglia verso il Pulesine
di Rovigo per aprirsi meglio la comodità delle vettovaglie, e preso di assalto
e saccheggiato il castello di Esti andò a campo a Monselice; dove, essendo
abbandonata la terra che è in piano, spugnò il secondo dì la fortezza situata
in su la cima d'uno alto sasso. Ebbe dipoi per accordo Montagnano; donde
ritornato verso Padova si fermò al ponte di Bassanello vicino a Padova, dove
invano tentò di divertire la Brenta o il Bachiglione, che di quivi si conduce a
Padova. Nel quale luogo essendo giunte tutte l'artiglierie e le munizioni che
aspettava, e raccolte tutte le genti che erano distribuite in diversi luoghi,
si accostò alla terra con tutto l'esercito; e avendo messi quattromila fanti
nel borgo che si dice di Santa Croce aveva in animo di assaltarla da quella
parte: ma essendo dipoi certificato che la terra in quel luogo era più forte di
sito e di muraglia e statevi fatte maggiori fortificazioni, e ricevendo ancora
in quello alloggiamento dalle artiglierie di Padova molto danno, deliberò
trasferirsi con tutto lo esercito alla porta del Portello che è volta verso
Vinegia, perché gli era riferito la terra esservi più debole, e per impedire i
soccorsi che per terra o per acqua venissino a Padova da Vinegia. Ma non
potendo, per lo impedimento de' paludi e di certe acque che inondano il paese,
andarvi se non con lungo circuito, venne al ponte di Bovolenta lontano da
Padova sette miglia, dove è una tenuta situata in sul fiume del Bachiglione
verso la marina tra Padova e Vinegia: nel qual luogo, per essere circondato
dalle acque e nella parte più sicura del padovano, si erano ridotti tremila
villani con numero grandissimo di bestiami; i quali, sforzati dalla vanguardia
de' fanti spagnuoli e italiani, furono quasi tutti morti o presi. Né si attese,
per due dì seguenti, ad altro che a correre tutto il paese insino al mare,
pieno di quantità infinita di bestiami; e furono prese nella Brenta molte
barche, che cariche di vettovaglie andavano a Padova: tanto che, finalmente, il
quintodecimo dì del mese di settembre, avendo consumato tanto tempo inutilmente
e dato spazio agli inimici di fortificarla ed empierla di vettovaglie, si
accostò alle mura di Padova allato alla porta del Portello.
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