XI. Importanza del dominio di Padova per i veneziani. Forze degli avversari
e fortificazioni di Padova. Assalti de' soldati di Massimiliano alle mura e
valorosa difesa de' veneziani. Ritirata dell'esercito di Massimiliano; querele
di questo contro gli alleati. Accordi fra Massimiliano e gli ambasciatori
fiorentini. Le truppe francesi si ritirano nel ducato di Milano; i veneziani
rifiutano la tregua con Massimiliano.
Non aveva mai,
né in quella età né forse in molte superiori, veduto Italia tentarsi
oppugnazione che fusse di maggiore espettazione e più negli occhi degli uomini,
per la nobiltà di quella città e per gli effetti importanti che dal perderla o
vincerla resultavano. Conciossiaché Padova, nobilissima e antichissima città e
famosa per l'eccellenza dello studio, cinta da tre ordini di mura e per la
quale corrono i fiumi di Brenta e di Bachiglione, è di circuito tanto grande
quanto forse sia alcuna altra delle maggiori città d'Italia; situata in paese
abbondantissimo, ove è aria salubre e temperata, e benché stata allora più di
cento anni depressa sotto l'imperio de' viniziani, che ne spogliorno quegli
della famiglia di Carrara, ritiene ancora superbi e grandi edifici e molti
segni memorabili di antichità, da' quali si comprende la pristina sua grandezza
e splendore: e dallo acquisto e difesa di tanta città dipendeva non solamente
lo stabilimento o debolezza dello imperio de' tedeschi in Italia ma ancora
quello che avesse a succedere della città propria di Vinegia. Perché difendendo
Padova poteva facilmente sperare quella republica, piena di grandissime
ricchezze e unita con animi prontissimi in se medesima né sottoposta alle
variazioni alle quali sono sottoposte le cose de' prìncipi, avere in tempo non
molto lungo a recuperare grande parte del suo dominio; e tanto più che la
maggiore parte di quegli che avevano desiderato le mutazioni, non vi avendo
trovato dentro effetti corrispondenti a' suoi pensieri, e conoscendosi per la
comparazione quanto fusse diverso il reggimento moderato de' viniziani da
quello de' tedeschi alieno da' costumi degli italiani e disordinato
maggiormente per le confusioni e danni della guerra, cominciavano a voltare gli
occhi all'antico dominio: e per contrario, perdendosi Padova, perdevano i
viniziani interamente la speranza di reintegrare lo splendore della sua
republica; anzi era grandissimo pericolo che la città medesima di Vinegia,
spogliata di tanto imperio e vota di molte ricchezze per la diminuzione delle
entrate publiche e per la perdita di tanti beni che i privati possedevano in
terra ferma, o non potesse difendersi dalle armi de' prìncipi confederati o
almeno non diventasse, in progresso di tempo, preda non meno de' turchi (co'
quali confinano per tanto spazio, e hanno sempre con loro o guerra o pace infedele
e male sicura) che de' prìncipi cristiani.
Ma non era
minore l'ambiguità degli uomini: perché gli apparati potentissimi che da
ciascuna delle parti si dimostravano tenevano molto sospesi i giudici comuni,
incertissimi quale avesse ad avere effetto più felice, o l'assalto o la difesa.
Perché nell'esercito di Cesare, oltre alle settecento lancie del re di Francia
le quali governava la Palissa, erano dugento uomini d'arme mandatigli in aiuto
dal pontefice, dugento altri mandatigli dal duca di Ferrara sotto il cardinale
da Esti, benché ancora non fussino composte le differenze tra loro, e sotto
diversi condottieri secento uomini d'arme italiani soldati da lui. Né era
minore il nerbo del peditato che de' cavalli, perché aveva diciottomila
tedeschi seimila spagnuoli seimila venturieri di diverse nazioni e duemila
italiani menatigli e pagati dal cardinale da Esti nel medesimo nome.
Seguitavalo apparato stupendo di artiglierie e copia grande di munizioni, della
quale una parte gli avea mandata il re di Francia. E benché i soldati suoi
propri la più parte del tempo non ricevessino danari, nondimeno, per la
grandezza e autorità di tanto capitano, e per la speranza di pigliare e
saccheggiare Padova e d'avere poi in preda tutto quello che ancora possedevano
i viniziani, non per questo l'abbandonavano; anzi continuamente augumentava
ogni dì il numero, sapendosi massime per ciascuno che egli, di natura
liberalissimo e pieno di umanità co' suoi soldati, mancava di pagargli non per
avarizia e volontà ma per impotenza. Era così potente l'esercito cesareo,
benché raccolto non solo delle forze sue ma eziandio degli aiuti e forze
d'altri; ma non era manco potente, per quanto fusse necessario alla difesa di
Padova, l'esercito che per i viniziani si ritrovava in quella città. Perché vi
erano seicento uomini d'arme mille cinquecento cavalli leggieri mille
cinquecento stradiotti, sotto famosi ed esperti capitani: il conte di
Pitigliano preposto a tutti, Bernardino dal Montone, Antonio de' Pii, Luzio
Malvezzo, Giovanni Greco e molti condottieri minori. Aggiugnevansi a questa
cavalleria dodicimila fanti de' più esercitati e migliori di Italia, sotto
Dionigi di Naldo, il Zitolo da Perugia, Lattanzio da Bergamo, Saccoccio da
Spoleto e molti altri conestabili; diecimila fanti tra schiavoni greci e
albanesi, tratti da le loro galee, ne' quali benché fusse molta turba inutile e
quasi collettizia ve ne era pure qualche parte utile. Oltre a questi, la
gioventù viniziana con quegli che l'aveano seguitata; la quale benché fusse più
chiara per la nobiltà e per la pietà verso la patria, nondimeno, per offerirsi
prontamente a' pericoli e per l'esempio che faceva agli altri, non era di
piccolo momento. Abbondavanvi, oltra alle genti, tutte l'altre provisioni
necessarie: numero grandissimo d'artiglierie, copia maravigliosa di vettovaglie
d'ogni sorte (non essendo stati meno solleciti i paesani a ridurle quivi per
sicurtà loro che gli ufficiali viniziani in provedere e comandare che
assiduamente ve ne entrassino) e moltitudine quasi innumerabile di contadini, i
quali condotti a prezzo non cessavano mai di lavorare; talmente che quella
città, fortissima per la virtù e per tanto numero di difensori, era stata
riparata e fortificata maravigliosamente a quello circuito delle mura che circonda
tutta la città; avendo alzata, a grande altezza per tutto il fosso, l'acqua che
corre intorno alle mura di Padova, e fatti a tutte le porte della terra e in
altri luoghi opportuni molti bastioni, dalla parte di fuora ma congiunti alle
mura e che avevano l'entrata dalla parte di dentro; co' quali pieni di
artiglierie si percotevano quegli che fussino entrati nel fosso: e nondimeno,
acciò che la perdita de' bastioni non potesse portare pericolo alla terra, a
tutti, dalla parte di sotto, avevano fatto una cava con bariglioni pieni di
molta polvere, per potergli disfare e gittare in aria quando non si potessino
più difendere. Né confidandosi totalmente alla grossezza e bontà del muro
antico, con tutto che prima l'avessino diligentemente riveduto e dove era di
bisogno riparato, e tagliato tutti i merli, fatti dal lato di dentro, per
quanto gira la città tutta, steccati con alberi e altri legnami distanti dal
muro quanto era la sua grossezza, empierono questo vano, insino all'altezza del
muro, di terra consolidatavi con grandissima diligenza. La quale opera
maravigliosa e di fatica inestimabile, e nella quale si era esercitata
moltitudine infinita d'uomini, non assicurando ancora alla sodisfazione intera
di chi era disposto a difendere quella città, avevano, dopo il muro così
ingrossato e raddoppiato, cavato uno fosso alto e largo sedici braccia; il
quale, ristringendosi nel fondo e avendo per tutto casematte e torrioncelli
pieni di artiglieria, pareva impossibile a pigliare: ed erano quegli edifici, a
esempio de' bastioni, con avere la cava di sotto, disposti in modo da potersi
facilmente con la forza del fuoco rovinare. E nondimeno, per essere più
preparati a ogni caso, alzorono dopo il fosso uno riparo della medesima o
maggiore larghezza, che si distendeva quanto tutto il circuito della terra, da
pochi luoghi infuora a' quali si conosceva essere impossibile piantare
l'artiglieria; innanzi al quale riparo feciono uno parapetto di sette braccia,
che proibiva che quegli che fussino a difesa del riparo non potessino essere
offesi dall'artiglierie degli inimici. E perché a tanti apparati e
fortificazioni corrispondessino prontamente gli animi de' soldati e degli
uomini della terra, il conte di Pitigliano, convocatigli in su la piazza di
Santo Antonio e confortatigli con gravi e virili parole alla salute e onore
loro, astrinse se medesimo con tutti i capitani e con tutto l'esercito e i
padovani a giurare solennemente di perseverare insino alla morte fedelmente
nella difesa di quella città.
Con tanto
apparato adunque, e contro a tanto apparato, condottosi l'esercito di Cesare
sotto le mura di Padova, si distese dalla porta del Portello insino alla porta
d'Ognisanti che va a Trevigi, e dipoi si allargò insino alla porta di Codalunga
che va a Cittadella, contenendo per lunghezza di tre miglia. Egli, alloggiato
nel monasterio di beata Elena distante per uno quarto di miglio dalle mure
della città, e quasi in mezzo della fanteria tedesca, avendo distribuito a
ciascuno secondo la diversità degli alloggiamenti e delle nazioni quel che
avessino a fare, cominciò a fare piantare l'artiglierie; le quali per essere
tante di numero e alcuna di smisurata e quasi stupenda grandezza, e per essere
molto infestato dalle artiglierie di dentro tutto il campo e specialmente i
luoghi dove si cercava di piantare, non si potette fare senza lunghezza di
tempo e difficoltà: con tutto che egli invitto di animo, e di corpo
pazientissimo alle fatiche, scorrendo il dì e la notte per tutto e intervenendo
personalmente a tutte le cose, stimolasse con grandissima sollecitudine che le
opere si conducessino alla perfezione. Era piantata il quinto dì quasi tutta
l'artiglieria, e il dì medesimo i franzesi e i fanti tedeschi, da quella parte
alla quale era preposto la Palissa, dettono uno assalto a uno rivellino della
porta, ma più per tentare che per combattere ordinatamente; onde, vedendo che
era difeso animosamente, si ritirorno senza molta dilazione agli alloggiamenti.
Tirava il dì seguente per tutto ferocemente l'artiglieria; la maggiore parte
della quale, per la grossezza sua e per la quantità grande della polvere che se
gli dava, passati i ripari, ruinava le case prossime alle mura; e già in molte
parti era gittato in terra spazio grandissimo di muraglia, e quasi spianato uno
bastione fatto alla porta di Ognisanti: né per ciò appariva segno alcuno di
timore in quegli di dentro, i quali infestavano con l'artiglierie tutto
l'esercito; e gli stradiotti, i quali alloggiati animosamente ne' borghi aveano
recusato di ritirarsi ad alloggiare nella città, e i cavalli leggieri, correndo
continuamente per tutto, ora correvano, quando dinanzi quando di dietro, insino
in su gli alloggiamenti degl'inimici, ora assalivano le scorte del saccomanno e
delle vettovaglie, ora, scorrendo e predando per tutto il paese, rompevano
tutte le vie, eccetto quella che va da Padova al monte di Abano. E nondimeno il
campo era copioso di vettovaglie, delle quali si trovavano piene le case e le
campagne per tutto; perché né il timore de' paesani né la sollecita diligenza
de' viniziani né i danni infiniti de' soldati, da ogni parte, aveano potuto
essere pari alla abbondanza grande di quello bellissimo e fertilissimo contado.
Uscì ancora fuora di Padova in quei dì Lucio Malvezzo con molti cavalli, per
condurre dentro quarantamila ducati mandati da Vinegia; il quale, benché il suo
retroguardo fusse assaltato dagli inimici nel ritornare, gli condusse salvi,
benché con perdita di qualcuno de' suoi uomini d'arme. Avevano, il nono dì,
l'artiglierie fatto tanto progresso che non pareva fusse necessario procedere
con esse più oltre. Però il dì seguente si messe in battaglia, per accostarsi
alle mura, tutto l'esercito; ma essendosi accorti che la notte medesima quegli
di dentro avevano rialzata l'acqua del fosso che innanzi era stata abbassata,
non volendo Cesare mandare le genti a manifestissimo pericolo, ritornò ciascuno
agli alloggiamenti. Abbassossi di nuovo l'acqua; e il dì seguente si dette, ma
con piccolo successo, uno assalto al bastione che era fatto alla punta della
porta di Codalunga: onde Cesare, avendo deliberato di fare somma diligenza di
sforzarlo, vi voltò l'artiglieria che era piantata dalla parte de' franzesi, i
quali alloggiavano tra le porte di Ognisanti e di Codalunga; con la quale
avendone rovinata una parte, vi fece dare dopo due dì l'assalto dai fanti
tedeschi e spagnuoli accompagnati da alcuni uomini d'arme a piede, i quali
ferocemente combattendo salirono in sul bastione, e vi rizzorono due bandiere.
Ma era tale la fortezza del fosso, tale la virtù de' difensori (tra' quali il
Zitolo da Perugia combattendo con somma laude fu ferito gravemente), tale la
copia degli instrumenti da difendersi, non solo di artiglierie ma di sassi e di
fuochi lavorati, che e' furono necessitati impetuosamente scenderne, essendo feriti
e morti molti di loro: donde l'esercito, che era ordinato per dare, come si
credeva, subito che il bastione fusse spugnato, la battaglia alla muraglia, si
disarmò senza avere tentato cosa alcuna.
Perdé Cesare
per questa esperienza interamente la speranza della vittoria; e però,
deliberato di partirsene, condotta che ebbe l'artiglieria in luogo sicuro, si
ritirò con tutto l'esercito alla terra di Limini che è verso Trevigi, il
settimo decimo dì dapoi che si era accampato a Padova, e poi continuamente si
condusse in più alloggiamenti a Vicenza; ove ricevuto il giuramento della
fedeltà dal popolo vicentino, e dissoluto quasi tutto l'esercito, andò a
Verona: disprezzato, perché non erano successi ma molto più perché erano, e
nello esercito e per tutta Italia, biasimati maravigliosamente i consigli suoi,
e non meno le esecuzioni delle cose deliberate. Perché non era dubbio che e il
non avere acquistato Trevigi e l'avere perduto Padova era proceduto per colpa
sua; similmente, che la tardità del suo venire innanzi avea fatta difficile
l'espugnazione di Padova, perché da questo era nato che i viniziani avevano
avuto tempo a provedersi di soldati, a empiere Padova di vettovaglie e a fare
quelle riparazioni e fortificazioni maravigliose. Né egli negava questa essere
stata la cagione che si fusse difesa quella città, ma rimovendo la colpa dalla
varietà e da' disordini suoi e trasferendola in altri si lamentava del
pontefice e del re di Francia che, con l'avere l'uno di loro concesso l'andare
a Roma agli oratori viniziani l'altro avere tardato a mandare il soccorso delle
sue genti, avevano dato cagione di credere a ciascuno che si fussino alienati
da lui, onde avere preso animo i villani delle montagne di Vicenza a
ribellarsi; e che avendo consumato nel domargli molti dì aveva poi trovato per
la medesima cagione le medesime difficoltà nella pianura, e che per aprirsi e
assicurarsi le vettovaglie e liberarsi da molte molestie era stato necessitato
a pigliare tutte le terre del paese: né solamente avergli nociuto in questo la
tarda venuta de' franzesi, ma che se fussino venuti al tempo conveniente non
sarebbe seguitata la ribellione di Padova; e che questo e l'avere il re di
Francia e il re d'Aragona licenziate l'armate di mare aveva poi data facoltà a'
viniziani, liberati d'ogni altro timore, di potere meglio provedere e
fortificare Padova: querelandosi, oltre a questo, che al re d'Aragona erano
grate le sue difficoltà per indurlo più facilmente [a] consentire che a lui
restasse l'amministrazione del regno di Castiglia. Le quali querele non
miglioravano le sue condizioni, né gli accrescevano l'autorità perduta per non
avere saputo usare sì rare occasioni; anzi, che tale opinione fusse comunemente
conceputa di lui era gratissimo al re di Francia, né molesto al pontefice
perché, sospettoso e diffidente di ciascuno e considerando quanto sempre fusse
bisognoso di danari e importuno a dimandarne, non vedeva volentieri crescere in
Italia il nome suo.
A Verona
ricevette similmente il giuramento della fedeltà: e in quella città
gl'imbasciadori fiorentini, tra' quali fu Piero Guicciardini mio padre,
convennono con lui in nome della loro republica, indotta a questo, oltre
all'altre ragioni, da' conforti del re di Francia, di pagargli in brevi tempi quarantamila
ducati; per la quale promessa ottennono da lui privilegi in forma amplissima
della confermazione così della libertà di Firenze come del dominio e
giurisdizione delle terre e stati tenevano, con la quietazione di tutto quello
gli dovessino per il tempo passato. E avendo Cesare deliberato di tornarsene in
Germania, per ordinarsi, secondo diceva, a fare la guerra alla prossima
primavera, chiamò a sé Ciamonte per trattare delle cose presenti: al quale,
venuto a lui nella villa di Arse nel veronese, dimostrò il pericolo che i
viniziani non recuperassino Cittadella e Bassano, i quali luoghi molto
importanti, insuperbiti per la difesa di Padova, si preparavano per assaltare;
e che 'l medesimo non intervenisse poi di Monselice di Montagnana e di Esti. Essere
necessario pensare oltre alla conservazione di queste terre non meno alla
recuperazione di Lignago, e che essendo egli per sé solo impotente a fare le
provisioni necessarie a questi effetti bisognava fusse aiutato dal re; le cose
del quale, non si sostenendo le sue, si mettevano in pericolo. Alle quali
dimande non potendo Ciamonte dargli certa risoluzione si rimesse a darne
notizia al re, dandogli speranza che la risposta sarebbe conforme al suo
desiderio. Da questo parlamento Massimiliano, lasciato a guardia di Verona il
marchese di Brandiborgh, andò alla Chiusa. E poco dipoi la Palissa, il quale
era rimasto con cinquecento lancie nel veronese, allegando difficoltà degli
alloggiamenti e molte incomodità, ottenuta quasi per importunità licenza da lui,
si ritirò ne' confini del ducato di Milano; perché la intenzione del re era che
avendo a stare le sue genti oziosamente alle guarnigioni stessino nello stato
suo, ma che tornassino a servire Massimiliano per fare qualunque impresa gli
piacesse, e specialmente quella di Lignago: la quale, desiderata e sollecitata
sommamente da lui, si differì per le sue solite difficoltà tanto che essendo
sopravenute per la stagione del tempo le pioggie grandi non si poteva più
campeggiare in quello paese, che per la bassezza sua è molto soprafatto dalle
acque. Però Cesare, ridotto in queste difficoltà, desiderò di fare per qualche
mese tregua co' viniziani: ma essi, pigliando animo da i suoi disordini e
vedendolo aiutato così freddamente da' collegati, non giudicorno essere a loro
proposito il sospendere l'armi.
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