XII. Dissenso fra il pontefice e il re di Francia. Cause di dissenso fra
tutti i collegati per la benevolenza del pontefice verso i veneziani.
Discussioni fra il pontefice e gli ambasciatori veneziani.
Ritornossene
alla fine Cesare a Trento, lasciate in pericolo grave le cose sue, e lo stato
di Italia in non piccola sospensione, perché era nata tra 'l pontefice e il re
di Francia nuova contenzione, il principio della quale benché paresse procedere
da cagioni leggiere si dubitava non avesse occultamente più importanti cagioni.
Quel che allora si dimostrava era che essendo vacato uno vescovado di Provenza,
per la morte del vescovo suo nella corte di Roma, il papa l'aveva conferito
contro alla volontà del re di Francia; il quale pretendeva questo essere
contrario alla capitolazione fatta tra loro per mezzo del cardinale di Pavia,
nella quale, se bene nella scrittura non fusse stato nominatamente espresso che
il medesimo si osservasse ne' vescovadi che vacassino nella corte di Roma che
in quegli che vacavano negli altri luoghi, nondimeno il cardinale avergliene
promesso con le parole: il che negando il cardinale essere vero (forse più per
timore che per altra cagione) e il re affermando il contrario, il pontefice
diceva non sapere quello che tacitamente fusse stato trattato, ma che avendo
nella ratificazione sua riferitosi a quello che appariva per scrittura, con
inserirvi nominatamente capitolo per capitolo, né comprendendo questo il caso
quando i vescovi morivano in corte di Roma, non essere tenuto più oltre. E
perciò crescendo la indignazione, il re, disprezzato contro alla sua
consuetudine il consiglio del cardinale di Roano, stato sempre autore della
concordia col pontefice, fece sequestrare i frutti di tutti i benefici che
tenevano nello stato di Milano i cherici residenti nella corte di Roma; e il
papa da altra parte ricusava di dare le insegne del cardinalato ad Albi, il
quale per riceverle, secondo la promessa fatta al re, era andato a Roma. E con
tutto che il pontefice, vinto da' prieghi di molti, disponesse alla fine del
vescovado di Provenza secondo la volontà del re e con lui convenisse di nuovo
come s'avesse a procedere ne' benefici che nel tempo futuro vacassino nella corte
di Roma, e che perciò dall'una parte si liberassino i sequestri fatti,
dall'altra concedute le insegne del cardinalato ad Albi, nondimeno non
bastavano queste cose a mollificare l'animo del pontefice, esacerbato per molte
cose, ma specialmente perché avendo insino dal principio del pontificato
conceduta malvolentieri al cardinale di Roano la legazione del regno di
Francia, come dannosa alla corte di Roma, e con indegnità sua, gli era
molestissimo essere costretto, per non irritare tanto l'animo del re di
Francia, consentire la continuasse; e perché, persuadendosi che quel cardinale
tendesse con tutti i suoi pensieri e arti al pontificato, sospettava d'ogni
progresso e d'ogni movimento de' franzesi.
Queste erano le
cagioni apparenti degli sdegni suoi: ma per quello che si manifestò poi de'
suoi pensieri, avendo nell'animo più alti fini, desiderava ardentissimamente, o
per cupidità di gloria o per occulto odio contro al re di Francia o per
desiderio della libertà de' genovesi, che 'l re perdesse quel che possedeva in
Italia; non cessando di lamentarsi senza rispetto di lui e del cardinale, ma in
modo che e' pareva che la sua mala sodisfazione procedesse principalmente da
timore. E nondimeno, come era di natura invitto e feroce, e che alla
disposizione dell'animo accompagnava il più delle volte le dimostrazioni
estrinseche, ancora che s'avesse proposto nella mente fine di tanto momento e
tanto difficile a conseguire, rifidandosi in sé solo e nella riverenza e
autorità che conosceva avere appresso a' prìncipi la sedia apostolica, non
dependente né congiunto con alcuno anzi dimostrando con le parole e con le
opere di tenere poco conto di ciascuno, né si congiugneva con Cesare né si
ristrigneva col re cattolico, ma salvatico con tutti non dimostrava
inclinazione se non a' viniziani; confermandosi ogni dì più nella volontà di
assolvergli, perché giudicava il non gli lasciare perire essere molto a
proposito della salute di Italia e della sicurtà e grandezza sua. Alla quale
cosa molto efficacemente contradicevano gli oratori di Cesare e del re di
Francia; concorrendo con loro in publico al medesimo l'oratore del re
d'Aragona, benché, temendo per l'interesse del regno di Napoli della grandezza
del re di Francia né confidandosi in Cesare per la sua instabilità procurasse
occultissimamente il contrario col pontefice. Allegavano non essere conveniente
che il pontefice facesse tanto beneficio a coloro i quali era tenuto a
perseguitare con l'armi, atteso che, per la confederazione fatta a Cambrai, era
ciascuno de' collegati obligato ad aiutare l'altro insino a tanto che avesse
interamente acquistate tutte le cose nominate nella sua parte; dunque, non
avendo mai Cesare acquistato Trevigi, non essere ancora alcuno di loro liberato
da questa obligazione: oltre che, con giustizia si poteva dinegare
l'assoluzione a' viniziani perché né volontari né infra 'l tempo determinato
nel monitorio aveano restituite alla Chiesa le terre della Romagna; anzi non
avere insino a quest'ora ubbidito interamente, imperocché erano stati ammuniti
di restituire oltre alle terre i frutti presi, il che non aveano adempiuto. Ma
a queste cose rispondeva il pontefice che, poi che si erano ridotti a penitenza
e dimandato con umiltà grande l'assoluzione, non era ufficio del vicario di
Cristo perseguitargli più con l'armi spirituali, in pregiudicio della salute di
tante anime, avendo conseguite le terre e così cessando la cagione per la quale
erano stati sottoposti alle censure; perché la restituzione de' frutti presi
era cosa accessoria e inserita più per aggravare la inubbidienza che per altro,
e che non era conveniente venisse in considerazione di tanta cosa. Diversa
esser la causa del perseguitargli con l'armi temporali; alle quali, perché
aveva nell'animo di perseverare nella lega di Cambrai, si offeriva parato di
concorrere insieme cogli altri: benché da questo potesse ciascuno de'
confederati giustamente discostarsi, perché dal re de' romani era mancato il
non avere Trevigi avendo rifiutato le prime offerte fattegli da' viniziani
(quando gli mandorno imbasciadore Antonio Giustiniano) di lasciargli tutto
quello possedevano in terra ferma, e perché dipoi gli aveano offerto molte
volte di dargli in cambio di Trevigi conveniente ricompensa.
E così, non lo
ritenendo le contradizioni degli imbasciadori, lo ritardava solamente la
generosità del suo animo; per la quale, ancora che riputasse l'assoluzione de'
viniziani utile a sé e opportuna a' fini propostisi, aveva deliberato non la
concedere se non con degnità grande della sedia apostolica, e in modo che le
cose della Chiesa si liberassino totalmente dalle loro oppressioni: e perciò,
recusando i viniziani di cedere a due condizioni le quali oltre a molte altre
aveva proposte, differiva l'assolvergli. L'una era che lasciassino libera a'
sudditi della Chiesa la navigazione del mare Adriatico, la quale vietavano a
tutti quegli che per le robe conducevano non pagavano loro certe gabelle;
l'altra, che non tenessino più in Ferrara, città dependente dalla Chiesa, il
magistrato del bisdomino. Allegavano i viniziani questo essere stato consentito
da' ferraresi, non repugnando Clemente sesto pontefice romano che a quel tempo
risedeva con la corte nella città d'Avignone; e la superiorità e custodia del
golfo avere conceduta loro con amplissimi privilegi Alessandro quarto
pontefice, mosso perché coll'armi e colla virtù e con molte spese l'aveano
difeso da' saracini e da' corsali, e renduta sicura quella navigazione a'
cristiani. Alle quali cose si replicava per la parte del pontefice non avere
potuto i ferraresi, in pregiudicio della superiorità ecclesiastica,
acconsentire che da altri fusse tenuto un magistrato o esercitata giurisdizione
in Ferrara, né averlo consentito volontariamente ma sforzati da lunga e grave
guerra; e dopo avere ricercato invano l'aiuto del pontefice, le censure del
quale dispregiavano i viniziani, avere accettata la pace con quelle condizioni
che era paruto a chi poteva contro a loro più coll'armi che colla ragione. Né
della concessione d'Alessandro pontefice apparire né in istorie né in
iscritture memoria o fede alcuna, eccetto il testimonio de' viniziani, il quale
in causa propria e sì ponderosa era sospetto; e quando pure ne apparisse cosa
alcuna, essere più verisimile che da lui, il quale dicevano averlo conceduto in
Vinegia, fusse stato conceduto per minaccie o per timore che uno pontefice
romano, a cui sopra tutti gli altri apparteneva il patrocinio della giustizia e
il ricorso degli oppressi, avesse conceduto una cosa tanto imperiosa e
impotente in detrimento di tutto il mondo.
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