XV. Massimiliano si ritira dal Veneto. Posizione di Verona. Vane trattative
di tregua tra Massimiliano e i veneziani. Accordi tra Massimiliano e il re
d'Aragona per il regno di Castiglia. Nuovi sospetti del pontefice verso il re
di Francia. Morte del conte di Pitigliano.
Ma dalla parte
di Padova succedevano per i viniziani più presto le cose prospere che
altrimenti. Perché trovandosi Cesare nel vicentino con quattromila fanti, una
parte non molto grande delle genti dei viniziani, con aiuto de' villani del
paese, presono quasi in su gli occhi suoi il passo della Scala, e appresso il
Cocollo e Basciano, luogo importante per impedire chi della Magna volesse
passare in Italia; ed egli, lamentandosi che per la partita della Palissa
fussino succeduti molti disordini, se ne andò a Bolzano, per trasferirsi alla
dieta che per ordine suo si aveva a tenere in Spruch. Il cui esempio seguitando
Ciamonte, omessi i pensieri caldi che aveva avuto di fare la impresa di Vicenza
e di Lignago, considerato ancora i luoghi essere bene proveduti e la stagione
del tempo molto contraria, si ritirò a Milano, lasciata bene guardata Brescia,
Peschiera e Valeggio, e in Verona, per difesa di quella città (la quale Cesare
per se stesso era impotente a difendere), seicento lancie e quattromila fanti:
i quali, separati dai soldati di Cesare, alloggiavano nel borgo di San Zeno,
avendo anche in potestà loro, per essere più sicuri, la cittadella. La città di
Verona, nobile e antica città, è divisa dal fiume dello Adice, fiume profondo e
grossissimo; il quale, nato ne' monti della Magna, come è condotto al piano si
torce in su la mano sinistra rasente i monti, ed entrando in Verona, come ne è
uscito, discostandosi da' monti si allarga per bella e fertile pianura. Quella
parte della città che è situata nella costa, con alquanto piano, è da l'Adice
in là verso la Magna; il resto della terra, che è tutto in piano, è posto dallo
Adice in qua verso Mantova. In sul monte, alla porta di San Giorgio, è posta la
rocca di San Piero; e due balestrate distante da quella, più alta in su la cima
del poggio, è quella di San Felice: forte l'una e l'altra assai più di sito che
di muraglia. E nondimeno, perdute quelle, perché soprafanno, tanto la città,
resterebbe Verona in grave pericolo. Queste erano guardate da' tedeschi. Ma
nell'altra parte, separata da questa parte dal fiume, è Castelvecchio di verso
Peschiera, posto quasi in mezzo della città e che attraversa il fiume con uno
ponte; e tre balestrate distante da quello, verso Vicenza, è la cittadella e
tra l'una e l'altra si congiungono le mura della città dalla parte di fuora,
che rendono figura di mezzo tondo. Ma dal lato di dentro si congiugne loro uno
muro edificato in mezzo di due fossi grandissimi, e lo spazio tra l'uno muro e
l'altro è chiamato il borgo di San Zeno; che insieme con la guardia della
cittadella fu assegnato per alloggiamento de' franzesi.
Dove mentre che
stanno quasi quiete l'armi, Massimiliano continuamente trattava di fare tregua
co' viniziani; interponendosene molto il pontefice, per mezzo di Achille de
Grassis vescovo di Pesero, suo nunzio. Per la qual cosa si convennono allo
Spedaletto sopra la Scala a trattare gli oratori suoi e Giovanni Cornaro e
Luigi Mocenigo, oratori de' viniziani, ma per le dimande alte di Cesare riuscì
pratica vana; con molto dispiacere del pontefice, che desiderava liberare i
viniziani da tutte le molestie. E perché tra loro e sé non fusse materia da
contendere, aveva operato rendessino al duca di Ferrara la terra di Comacchio
la quale avevano prima abbruciata, e a sé promettessino di non molestare più lo
stato del duca di Ferrara; del quale, credendo che avesse a essere grato de'
benefici che per mezzo suo aveva conseguito ed era per conseguire, teneva
allora singolare protezione, sperando che avesse a dipendere più da lui che dal
re di Francia: contro al quale, stando in continui pensieri di farsi fondamenti
di grandissima importanza, avea segretamente mandato uno uomo al re
d'Inghilterra e cominciato a trattare con la nazione de' svizzeri, la quale
allora cominciava a venire in qualche controversia col re di Francia; per il
che essendo venuto a lui il vescovo di Sion (diconlo i latini sedunense),
inimico del re e che aspirava per questi mezzi al cardinalato, l'avea ricevuto
con animo lietissimo.
Succedette alla
fine di questo anno concordia tra 'l re de' romani e il re cattolico, discordi
per causa del governo de' regni di Castiglia. La quale, trattata lungamente
nella corte del re di Francia e avendo molte difficoltà, fu per poco consiglio
del cardinale di Roano (che non considerò quanto questa congiunzione fusse male
a proposito delle cose del suo re) condotta a perfezione; perché, parendogli
forse che il farsene autore gli potesse giovare a pervenire al pontificato, se
ne interpose con grandissima diligenza e fatica: con la quale e con l'autorità
sua indusse Massimiliano a consentire che il re cattolico, in caso non avesse
figliuoli maschi, fusse governatore di quegli reami insino che Carlo nipote
comune pervenisse all'età di venticinque anni, né pigliasse il nipote titolo
regio vivente la madre, che aveva titolo di reina, perché in Castiglia non sono
le femmine escluse da' maschi; pagasse il re cattolico a Cesare ducati
cinquantamila, aiutasselo secondo i capitoli di Cambrai insino a tanto avesse
acquistato e recuperato le cose sue, e a Carlo pagasse ciascuno anno
quarantamila ducati. Per la quale convenzione stabilito il re di Aragona nel
governo del regno di Castiglia, e avuta facoltà di acquistare fede appresso a
Cesare, per essere levate via le differenze tra loro e per essere in tutti due
il medesimo interesse del nipote comune, potette con maggiore animo attendere a
impedire la grandezza del re di Francia, la quale per l'interesse del reame di
Napoli gli era sempre sospetta.
Ebbe in questi
medesimi dì sospetto il pontefice che 'l protonotario de' Bentivogli, che era a
Cremona, non trattasse di ritornare furtivamente in Bologna, per il quale
sospetto fece per alcuni dì ritenere nel palazzo di Bologna Giuliano de'
Medici; e riferendo ogni cosa alla mala volontà del re di Francia dimostrava di
temere che e' non passasse in Italia per soggiogarla, e per fare violentemente
eleggere il cardinale di Roano per pontefice: e nondimeno, nel tempo medesimo,
detraeva senza rispetto all'onore di Cesare, come di persona incapace di tanta
degnità, e che per l'incapacità sua avesse ridotto in grande disprezzo il nome
dello imperio.
Morì nella fine
di questo anno il conte di Pitigliano, capitano generale de' viniziani, uomo
molto vecchio e nell'arte militare di lunga esperienza; e nella fede del quale
si confidavano assai i viniziani, né temevano che temerariamente mettesse in
pericolo il loro imperio.
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