XVI. Fazioni sotto Verona. Incertezza del re di Francia intorno
all'opportunità di una nuova impresa contro i veneziani per la conquista di
tutta la terraferma. Politica del re per acquietare l'animo del pontefice.
Condizioni con cui il pontefice concede l'assoluzione ai veneziani.
Séguita, in
questa ambiguità di cose, l'anno mille cinquecento dieci; nel principio del
quale procedevano da ogni parte, come anche era conforme alla stagione, le cose
dell'armi freddamente. Perché l'esercito viniziano, alloggiato a San Bonifazio
in veronese, teneva quasi come assediata Verona; onde essendo usciti alla
scorta Carlo Baglione, Federigo da Bozzole e Sacramoro Visconte, assaltati
dagli stradiotti, furono rotti e fatti prigioni Carlo e Sacramoro, perché
Federigo si salvò per opera de' franzesi che al soccorso loro erano usciti da
Verona; e poco dipoi ruppono un'altra compagnia di cavalli franzesi, tra' quali
fu preso monsignore di Clesì; e da altra parte dugento lancie franzesi, uscite
di Verona con tremila fanti, sforzorono per assalto uno bastione verso Soave
guardato da seicento fanti, e nel ritorno ruppono una moltitudine grande di
villani.
Ma in questa
freddezza dell'armi erano angustiati da gravissimi pensieri gli animi de'
prìncipi, e principalmente quello del re de' romani. Il quale, non conoscendo
come potesse riportare la vittoria della guerra contro a' viniziani, e
traportando, come era solito, le cose sue di dieta in dieta, aveva chiamato la
dieta in Augusta; e sdegnato col pontefice, perché gli elettori dello imperio,
mossi dalla sua autorità, facevano instanza che prima si trattasse nella dieta
della concordia co' viniziani che delle provisioni della guerra, aveva fatto
partire il vescovo di Pesero suo nunzio da Augusta; e considerando avere
incertitudine lunghezza e molte difficoltà le deliberazioni delle diete anzi il
più delle volte il fine dell'una partorire il principio di un'altra, e che il
re di Francia dalle dimande interrotte e dalle imprese che gli erano proposte
ogni dì si escusava, ora con lo allegare l'asprezza della stagione ora col
dimandare assegnamento certo di quello che spendesse ora ricordando non essere
solo obligato ad aiutarlo, per i capitoli di Cambrai, ma essere ancora nelle
medesime obligazioni il pontefice e il re di Aragona, co' quali era conveniente
si procedesse comunemente, secondo che erano comuni la confederazione e la
obligazione, si risolveva niuno rimedio essere più pronto alle cose sue che
indurre il re di Francia ad abbracciare la impresa di pigliare Padova, Vicenza
e Trevigi con le forze proprie, ricevendone il ricompenso conveniente: ed era
nel consiglio regio questa dimanda approvata da molti; i quali, considerando
che insino che i viniziani non erano esclusi totalmente di terra ferma il re
starebbe sempre in continue spese e pericoli, lo confortavano a liberarsene con
lo spendere una volta potentemente. Né era il re alieno totalmente da questo
consiglio, mosso dalla medesima ragione; e però inclinando a passare in persona
in Italia con esercito potente, il quale chiamava potente ogni volta che in
esso fussino più di mille seicento lancie e i suoi pensionari e gentiluomini,
nondimeno, essendo distratto da altre ragioni in diversa sentenza, stava con l'animo
sospeso: più confuso anche che il solito perché il cardinale di Roano, uomo
molto efficace e di grande animo, oppresso da lunga e grave infermità, non
vacava più a' negozi i quali solevano totalmente espedirsi col suo consiglio.
Riteneva il re l'essere per natura molto alieno dallo spendere, la cupidità
ardente di conseguire Verona, alla quale cosa gli pareva migliore mezzo
l'essere il re de' romani implicato in continui travagli; e appunto, essendo
egli impotente a pagare le genti tedesche che erano alla guardia di quella
città, gli aveva il re prestato di nuovo diciottomila ducati, e obligatosi a
prestargliene insino alla somma di cinquantamila: con patto che non solo
tenesse, per sicurtà di riavergli, la cittadella, ma che eziandio gli fusse
consegnato Castelvecchio e una porta vicina della città, per avere libera
l'entrata e l'uscita; e che non gli essendo restituiti i danari infra uno anno
gli rimanesse in governo perpetuo la terra di Valeggio, con facoltà di
fortificare quella e la cittadella a spese di Cesare.
Tenevano
perplesso lo animo del re questi rispetti, ma molto più lo riteneva il timore
di non alterare totalmente la mente del pontefice, se conducesse o mandasse
nuovo esercito in Italia. Perché il pontefice, pieno di sospetto, e malcontento
ancora che egli si impadronisse di Verona, oltre al perseverare nel volere
assolvere i viniziani dalle censure, faceva ogni opera per congiugnersi i
svizzeri, per il che aveva rimandato al paese il vescovo di Sion con danari per
la nazione e con promessa per lui del cardinalato; e cercava con grandissima
diligenza di alienare dal re di Francia l'animo del re di Inghilterra: il
quale, se bene avesse auto per ricordo dal padre, nello articolo della morte,
che per quiete e sicurtà sua continuasse l'amicizia col regno di Francia, per
la quale gli erano pagati ciascuno anno cinquantamila ducati, nondimeno, mosso
dalla caldezza della età e dalla pecunia grandissima lasciatagli dal padre, non
pareva che avesse manco in considerazione i consigli di quegli che, cupidi di
cose nuove e concitati dall'odio che quella nazione ha comunemente grandissimo
contro al nome de' franzesi, lo confortavano alla guerra che la prudenza ed
esempio del padre; il quale, non discordante de' franzesi, ancora che fatto re
d'uno regno nuovo e perturbatissimo, aveva con grande obedienza e con
grandissima quiete governato e goduto il suo regno. Le quali cose angustiando
gravemente l'animo del re di Francia, il quale per essere più propinquo alle
cose d'Italia si era trasferito a Lione, e temendo che il passare suo in
Italia, detestato palesemente dal pontefice, non suscitasse per sua opera cose
nuove, e dissuadendolo dal medesimo il re d'Aragona, ma dimostrando
dissuadernelo come amico e come amatore della quiete comune, non ebbe in queste
ambiguità che lo strignevano da ogni parte più certo e determinato consiglio
che di cercare con ogni studio e diligenza di quietare l'animo del pontefice,
talmente che almeno s'assicurasse di non l'avere opposito e inimico: alla qual
cosa pareva lo favorisse assai l'occasione, perché si credeva che la morte del
cardinale di Roano, la infermità del quale era sì grave che si poteva sperare
poco di lunga vita, avesse a essere causa di levargli quella sospizione per la
quale principalmente si pensavano gli uomini essere nate le sue alterazioni. E
avendo il re notizia che il cardinale di Aus nipote di Roano e gli altri che
trattavano le cose sue nella corte di Roma avevano temerariamente, e con parole
e con fatti, atteso più a esacerbare che a mitigare come sarebbe stato
necessario la mente del pontefice, non volendo usare più l'opera loro, mandò in
poste a Roma Alberto Pio conte di Carpi, persona di grande spirito e destrezza;
al quale furono date amplissime commissioni, non solo di offerirgli in tutti i
casi e desideri suoi le forze e autorità del re, e usare seco tutti i rispetti
e i riguardi che fussino più secondo la mente e la natura sua, ma oltre a
questo di comunicargli sinceramente lo stato di tutte le cose che si trattavano
e le richieste fattegli dal re de' romani, e di rimettere finalmente in
arbitrio suo il passare o non passare in Italia, l'aiutare più lentamente o più
prontamente le cose di Cesare.
Fu commesso al
medesimo che dissuadesse l'assoluzione de' viniziani; ma questa, alla venuta
sua, era già deliberata e promessa dal pontefice, avendo i viniziani, poi che
tra i deputati dal pontefice e gli oratori loro fu disputato molti mesi,
consentito alle condizioni sopra le quali si faceva la difficoltà, perché non vedevano
altro rimedio alla salute loro che l'essere congiunti seco. Furono, il
vigesimoquarto dì di febbraio, lette nel concistorio le condizioni colle quali
si doveva concedere l'assoluzione, presenti gli oratori viniziani e
confermandole, col mandato autentico della loro republica, per instrumento. Non
conferissino o in qualunque modo concedessino benefici o degnità
ecclesiastiche, né facessino resistenza o difficoltà alle provisioni che sopra
essi venissino dalla corte romana; non impedissino che nella corte predetta si
agitassino le cause beneficiali o appartenenti alla giurisdizione
ecclesiastica; non ponessino decime o alcuna specie di gravezza in su' beni
delle chiese e de' luoghi esenti dal dominio temporale; rinunziassino
all'appellazione interposta dal monitorio, a tutte le ragioni acquistate in
qualunque modo in sulle terre della Chiesa, e specialmente alle ragioni che e'
pretendessino di potere tenere il bisdomino in Ferrara; che i sudditi della
Chiesa e i legni loro avessino libera la navigazione del golfo, e con facoltà
sì ampia che eziandio le robe d'altre nazioni portate in su' legni loro non
potessino essere molestate, né fatta dichiarazione che fussino obligate alle
gabelle; non potessino in modo alcuno intromettersi di Ferrara o delle terre di
quello stato che avessino dependenza dalla Chiesa; fussino annullate tutte le
convenzioni che in pregiudicio ecclesiastico avessino fatto con alcuno suddito
o vassallo della Chiesa; non ricettassino duchi baroni o altri sudditi o
vassalli della Chiesa che fussino ribelli o inimici della sedia apostolica; e
fussino obligati a restituire tutti i danari esatti da' beni ecclesiastici, e
ristorare le chiese di tutti i danni che avessino fatto loro. Le quali
obligazioni colle promesse e rinunzie debite ricevute nel concistorio, gli
imbasciadori viniziani, il dì che fu determinato, seguitando gli esempli
antichi, si condussono nel portico di San Piero; dove gittatisi in terra
innanzi a' piedi del pontefice, il quale presso alle porte di bronzo sedeva in
su la sedia pontificale assistendogli tutti i cardinali e numero grande di
prelati, gli dimandorono umilmente perdono, riconoscendo la contumacia e i
falli commessi; e dipoi, lettesi secondo il rito della Chiesa certe orazioni e
fatte solennemente le cerimonie consuete, il pontefice ricevutigli a grazia gli
assolvé, imponendo loro per penitenza che andassino a visitare le sette chiese.
Assoluti, entrorno nella chiesa di San Piero, introdotti dal sommo
penitenziere; dove avendo udita la messa, che prima era stata denegata, furono
onoratamente, non più come scomunicati o interdetti ma come buoni cristiani e
divoti figliuoli della sedia apostolica, da molti prelati e altri della corte
accompagnati insino alle loro abitazioni. Dopo la quale assoluzione si
ritornorno a Vinegia, lasciato a Roma Ieronimo Donato uomo dottissimo, uno del
numero loro; il quale, per le virtù sue e per la destrezza dello ingegno
divenuto molto grato al pontefice, fu di grandissimo giovamento alla sua patria
nelle cose che si ebbono poi a trattare appresso a lui.
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