LIBRO NONO.
I. Attività del pontefice per suscitare nemici al re di Francia. Difficoltà
di accordi fra il re e gli svizzeri. Intimazioni del pontefice al duca di
Ferrara per la lavorazione del sale a Comacchio.
Dell'assoluzione
de' viniziani, fatta con animo tanto costante del pontefice, si perturbò molto
Cesare al quale questa cosa principalmente apparteneva. Ma non se ne perturbò
quasi meno il re di Francia, perché per l'utilità propria desiderava che la
grandezza de' viniziani non risorgesse. Non si accorgeva perciò interamente
quali fussino gli ultimi fini del pontefice; ma nutrendosi, nelle difficoltà
che se gli preparavano, con vane speranze, si persuadeva che 'l pontefice si
movesse per sospetto dell'unione sua con Cesare, e che temporeggiando con lui e
non gli dando causa di maggiore timore, contento della assoluzione fatta, non
procederebbe più oltre. Ma il pontefice, confermandosi più l'un dì che l'altro
nelle sue deliberazioni, dette licenza, con tutto che molto contradicessino gli
oratori de' confederati, a' feudatari e sudditi della Chiesa che si
conducessino agli stipendi de' viniziani; i quali soldorno Giampaolo Baglione
con titolo di governatore delle loro genti, rimaste per la morte del conte di
Pitigliano senza capitano generale, e Giovanluigi e Giovanni Vitelli figliuoli
già di Giovanni e di Cammillo, e Renzo da Ceri per capitano di tutti i fanti
loro; e avendo così scopertamente preso il patrocinio de' viniziani, procurava
di concordargli con Cesare, sperando per questo mezzo non solo di separarlo dal
re di Francia ma che, unito seco e co' viniziani, gli moverebbe la guerra; la
qual cosa perché, per le necessità di Cesare, gli succedesse più facilmente
interponeva l'autorità sua con gli elettori dello imperio e colle terre franche
che nella dieta di Augusta non gli deliberassino alcuna sovvenzione. Ma quanto
più si maneggiava questa materia tanto più si trovava dura e difficile; perché
Cesare non voleva concordia alcuna se non ritenendosi Verona, e i viniziani,
ne' quali il papa avea sperato dovere essere maggiore facilità, promettendosi
in qualunque caso d'avere a difendere Padova e che tenendo quella città dovesse
il tempo porgere loro molte occasioni, dimandavano ostinatamente la
restituzione di Verona, offerendo di pagare, in ricompenso di quella, quantità
grandissima di danari. Né cessava il pontefice di stimolare occultamente il re
di Inghilterra a muovere guerra contro al re di Francia, rinnovando la memoria
delle inimicizie antiche tra quegli regni, dimostrando l'occasione d'avere
successi felicissimi, perché se egli pigliava l'armi contro al re, molt'altri,
a' quali era o sospetta o odiosa la sua potenza, le piglierebbono; e
confortandolo ad abbracciare con quella divozione che era stata propria de' re
di Inghilterra la gloria che se gli offeriva, di essere protettore e
conservatore della sedia apostolica, la quale altrimenti era per l'ambizione
del re di Francia in manifestissimo pericolo: alla qual cosa lo confortava
medesimamente, ma molto occultamente, il re d'Aragona.
Ma quel che
importava più, il pontefice continuando co' svizzeri le pratiche cominciate per
mezzo del vescovo di Sion (la cui autorità era grande in quella nazione, e il
quale non cessava con somma efficacia di orare a questo effetto ne' consigli e
di predicare nelle chiese), avea finalmente ottenuto che i svizzeri accettando
pensione di fiorini mille di Reno l'anno per ciascuno cantone, si fussino
obligati alla protezione sua e dello stato della Chiesa, permettendogli di
soldare, per difendersi da chi lo molestasse, certo numero de' fanti loro: la
qual cosa gli avea renduta più facile la discordia che cominciava a nascere tra
loro e il re di Francia. Perché i svizzeri, insuperbiti per l'estimazione che
universalmente si faceva di loro, e presumendo che tutte le vittorie che il re
presente e il re Carlo suo antecessore aveano ottenute in Italia fussino
principalmente procedute per la virtù e per il terrore dell'armi loro, e perciò
dalla corona di Francia meritare molto, aveano dimandato, ricercandogli il re
di rinnovare insieme la confederazione che finiva, che accrescesse loro le
pensioni; le quali erano di sessantamila franchi l'anno, cominciate dal re
Luigi undecimo e continuate insino a quel tempo, oltre alle pensioni che
secretamente si davano a molti uomini privati: le quali cose dimandando
superbamente, il re sdegnato della insolenza loro e che da villani nati nelle
montagne (così erano le parole sue) gli fusse così imperiosamente posta la
taglia, cominciò, più secondo la degnità reale che secondo l'utilità presente,
con parole alterate a ribattergli e dimostrare quasi di disprezzargli. Alla
qual cosa gli dava maggiore animo, che nel tempo medesimo, per opera dì Giorgio
Soprasasso, i vallesi sudditi di Sion, che si reggono in sette comunanze
chiamate da loro le corti, corrotti da' donativi e da promesse dì pensioni, in
publico e in privato si erano confederati con lui, obligandosi di dare il passo
alle sue genti, negarlo agli inimici suoi e andare al soldo suo con quel numero
di fanti che comportavano le forze loro; e in simigliante modo si erano
confederati seco i signori delle tre leghe che si chiamano i grigioni; e benché
una parte de' vallesi non avesse ancora ratificato, sperava il re indurgli co'
mezzi medesimi alla ratificazione: onde si persuadeva non gli essere più tanto
necessaria l'amicizia de' svizzeri; avendo determinato, oltre a' fanti che gli
concederebbono i vallesi e i grigioni, di condurre nelle guerre fanti tedeschi;
temendo medesimamente poco de' movimenti loro, perché non credeva potessino
assaltare il ducato di Milano se non per la via di Bellinzone e altre molte
anguste, per le quali venendo molti potevano facilmente essere ridotti in
necessità di vettovaglie da pochi, venendo pochi basterebbono similmente pochi
a fargli ritirare. Così stando ostinato a non augumentare le pensioni, non si
otteneva ne' consigli de' svizzeri di rinnovare seco la confederazione, con
tutto che confortata da molti di loro, a' quali privatamente ne perveniva
grandissima utilità; e per la medesima cagione più facilmente consentirono alla
confederazione dimandata dal pontefice.
Per la quale
nuova confederazione parendogli avere fatto fondamento grande a' pensieri suoi,
e oltre a questo procedendo per natura in tutte le cose come se fusse superiore
a tutti e come se tutti fussino necessitati a ricevere le leggi da lui,
seminava origine di nuovo scandolo col duca di Ferrara: o mosso veramente dalla
cagione che venne in disputa tra loro o per lo sdegno conceputo contro di lui
che, ricevuti da sé tanti benefici e onori, dependesse più dal re di Francia
che da lui. Quale si fusse la cagione, cercando principio di controversie,
comandò imperiosamente ad Alfonso che desistesse da fare lavorare sali a
Comacchio, perché non era conveniente che quel che non gli era lecito fare
quando i viniziani possedevano Cervia gli fusse lecito possedendo la sedia
apostolica, di cui era il diretto dominio di Ferrara e di Comacchio: cosa di
grande utilità, perché dalle saline di Cervia, quando non si lavorava a
Comacchio, si diffondeva il sale in molte terre circostanti. Ma più confidava
Alfonso nella congiunzione che aveva col re di Francia e nella sua protezione
che non temeva delle forze del pontefice; e lamentandosi d'avere a essere
costretto di non ricôrre il frutto il quale nella casa propria con pochissima
fatica gli nasceva, anzi avere per uso de' popoli suoi a comperare da altri
quello di che poteva riempiere i paesi forestieri, né dovere passare in esempio
quello a che i viniziani non con la giustizia ma con l'armi l'aveano indotto a
consentire, recusava di ubbidire a questo comandamento: onde il pontefice mandò
a protestargli, sotto gravi pene e censure, non gli era lecito fare quando i
viniziani possedevano Cervia gli fusse lecito possedendo la sedia apostolica,
di cui era il diretto dominio di Ferrara e di Comacchio: cosa di grande
utilità, perché dalle saline di Cervia, quando non si lavorava a Comacchio, si
diffondeva il sale in molte terre circostanti. Ma più confidava Alfonso nella
congiunzione che aveva col re di Francia e nella sua protezione che non temeva
delle forze del pontefice; e lamentandosi d'avere a essere costretto di non
ricôrre il frutto il quale nella casa propria con pochissima fatica gli
nasceva, anzi avere per uso de' popoli suoi a comperare da altri quello di che
poteva riempiere i paesi forestieri, né dovere passare in esempio quello a che
i viniziani non con la giustizia ma con l'armi l'aveano indotto a consentire,
recusava di ubbidire a questo comandamento: onde il pontefice mandò a
protestargli, sotto gravi pene e censure, che desistesse.
|