III. Resa di Vicenza e di altre terre alle milizie francesi e tedesche.
Discorso del capo della legazione de' vicentini. Inumana risposta del principe
di Analt. Intercessione benevola di Ciamonte; crudeltà dei tedeschi.
Le quali cose
mentre che si agitavano, Ciamonte con mille cinquecento lancie e con diecimila
fanti di varie nazioni, tra' quali erano alcuni svizzeri, condotti privatamente
non per concessione de' cantoni, seguitandolo copia grande d'artiglierie e
tremila guastatori e co' ponti preparati per passare i fiumi, ed essendogli
congiunto il duca di Ferrara con dugento uomini d'arme cinquecento cavalli
leggieri e duemila fanti, e avendo senza ostacolo occupato (perché i viniziani
l'abbandonorno) il Pulesine di Rovigo, e presa la torre Marchesana posta in su
la ripa dell'Adice di verso Padova, venuto a Castel Baldo, ebbe con semplici
messi le terre di Montagnana ed Esti, appartenenti l'una ad Alfonso da Esti per
donazione di Massimiliano, l'altra impegnatagli da lui per sicurtà di danari
prestati; i quali luoghi recuperato che ebbe Alfonso, sotto pretesto di certe
galee de' viniziani che venivano su per il Po, ne rimandò la più parte delle
sue genti. Unissi con Ciamonte il principe di Anault luogotenente di Cesare, uscito
di Verona con trecento lancie franzesi dugento uomini d'arme e tremila fanti
tedeschi, seguitandolo sempre dietro uno alloggiamento; e lasciatosi addietro
Monselice tenuto da' viniziani, vennono in quel di Vicenza, dove Lunigo e tutto
il paese senza contradizione se gli arrendé: perché l'esercito viniziano, che
si diceva essere di seicento uomini d'arme quattromila tra cavalli leggieri e
stradiotti e ottomila fanti, sotto Giampaolo Baglione governatore e Andrea
Gritti proveditore, partitosi prima da Soave e andatosi continuamente
ritirando, secondo i progressi degli inimici, ne' luoghi sicuri, finalmente
messa sufficiente guardia in Trevigi, e a Mestri posto mille fanti, si era
ritirato alle Brentelle luogo vicino a tre miglia di Padova, in alloggiamento molto
forte, perché il paese è pieno di argini e quel luogo circondato dall'acque di
tre fiumi, Brenta, Brentella e Bacchiglione. Per la ritirata del quale, i
vicentini del tutto abbandonati e impotenti per se stessi a difendersi, non
rimanendo loro altra speranza che la misericordia del vincitore, e confidando
potere più facilmente ottenerla per mezzo di Ciamonte, mandorono a dimandargli
salvocondotto per mandare imbasciadori a lui e al principe di Anault; il quale
ottenuto, si presentorono in abito miserabile e pieni di mestizia e di spavento
innanzi all'uno e l'altro di loro, che erano al Ponte a Barberano propinquo a
dieci miglia a Vicenza. Ove, presenti tutti i capitani e persone principali
degli eserciti, il capo della legazione parlò, secondo si dice, così:
- Se fusse noto
a ciascuno quello che la città di Vicenza, invidiata già per le ricchezze e
felicità sua da molte città vicine, ha patito, poiché, più per errore e
stoltizia degli uomini e forse più per una certa fatale disposizione che per
altra cagione, ritornò sotto il dominio de' viniziani, e i danni infiniti e
intollerabili che ha ricevuto, ci rendiamo certissimi, invittissimi capitani,
che ne' petti vostri sarebbe maggiore la pietà delle nostre miserie che lo
sdegno e l'odio per la memoria della ribellione: se ribellione merita d'essere
chiamata lo errore di quella notte, nella quale, essendo spaventato il popolo
nostro, perché lo esercito inimico aveva per forza espugnato il borgo della
Postierla, non per ribellarsi né per fuggire lo imperio mansueto di Cesare ma
per liberarsi dal sacco e dagli ultimi mali delle città, uscirono fuora
imbasciadori ad accordarsi con gli inimici; movendo sopratutto gli uomini
nostri, non assuefatti all'armi e a' pericoli della guerra, l'autorità del
Fracassa; il quale, capitano esperimentato in tante guerre e soldato di Cesare,
o per fraude o per timore (il che a noi non appartiene di ricercare), ci
consigliò che mediante l'accordo provedessimo alla salute delle donne e
figliuoli nostri e della nostra afflitta patria. In modo che si conosce che non
alcuna malignità ma solo il timore, accresciuto per l'autorità di tale
capitano, fu cagione non che si deliberasse ma più tosto che in breve spazio di
tempo, in tanto tumulto in tanti strepiti d'arme in tanti tuoni d'artiglierie
nuovi agli orecchi nostri, si precipitasse ad arrenderci a viniziani; la
felicità de' quali e la potenza non era tale che ci dovesse per se stessa
invitare a questo: e quanto sieno diversi i falli nati dal timore e dallo
errore da quegli peccati che sono mossi dalla fraude e dalla mala intenzione è
manifestissimo a ciascuno. Ma quando bene la nostra fusse stata non paura ma
volontà di rebellarsi, e fusse stato consiglio e consentimento universale di
tutti, non, in tanta confusione, più presto movimento e ardire di pochi non
contradetto dagli altri, e che i peccati di quella infelice città fussino del
tutto inescusabili, le nostre calamità da quel tempo in qua sono state tali che
si potrebbe veramente dire che la penitenza fusse senza comparazione stata
maggiore che il peccato: perché dentro alle mura, per le rapine de' soldati
stati alla guardia nostra, siamo stati miserabilmente spogliati di tutte le
facoltà; e chi non sa quel che, di fuora, per la guerra continua abbiamo
patito? e che rimane più in questo misero paese che sia salvo? Arse tutte le
case delle nostre possessioni, tagliati tutti gli alberi, perduti gli animali,
non condotte al debito fine già due anni le ricolte, impedite in grande parte
le semente, senza entrate e senza frutti, senza speranza che mai più possa
risorgere questo distruttissimo paese, siamo ridotti in tante angustie, in
tanta miseria che, avendo consumato per sostentare la vita nostra, per
resistere a infinite spese che per necessità abbiamo fatte, tutto quello che
occultamente ci avanzava, non sappiamo più come in futuro possiamo pascere noi
medesimi e le famiglie nostre. Venga qualunque più inimico animo e più crudele,
ma che in altri tempi abbia veduto la patria nostra, a vederla di presente;
siamo certi non potrà contenere le lagrime, considerando che quella città che,
benché piccola di circuito, soleva essere pienissima di popolo, superbissima di
pompe, illustre per tante magnifiche e ricche case, ricetto continuo di tutti i
forestieri, quella città dove non si attendeva ad altro che a conviti a giostre
e a piaceri, sia ora quasi desolata di abitatori, le donne e gli uomini vestiti
vilissimamente, non vi essere più aperta casa alcuna, non vi essere alcuno che
possa promettersi di avere modo di sostentare sé e la famiglia sua pure per uno
mese, e in cambio di magnificenze, di feste e di piaceri non si vedere e
sentire altro che miserie, lamentazioni publiche di tutti gli uomini, pianti
miserabili per tutte le strade di tutte le donne: le quali sarebbono ancora
maggiori se non ci ricordassimo che dalla volontà tua, gloriosissimo principe
di Anault, depende o l'ultima desolazione di quella afflittissima nostra patria
o la speranza di potere, sotto l'ombra di Cesare, sotto il governo della sapienza
e clemenza tua, non diciamo respirare o risorgere, perché questo è impossibile,
ma, consumando la vita per ogni estremità, fuggire almeno l'ultimo eccidio.
Speriamo, perché ci è nota la benignità e umanità tua, perché è verisimile che
tu vogli imitare Cesare, degli esempli, della clemenza e mansuetudine del quale
è piena tutta l'Europa. Sono consumate le sostanze nostre, sono finite tutte le
nostre speranze, non ci è più altro che le vite e le persone: nelle quali
incrudelire, che frutto sarebbe a Cesare? che laude a te? Supplichiamti con
umilissimi prieghi, (i quali immaginati essere mescolati con pianti miserabili
d'ogni sesso, d'ogni età, d'ogni ordine della nostra città) che tu voglia che
Vicenza infelice sia esempio a tutti gli altri della mansuetudine dello imperio
tedesco, sia simile alla clemenza e alla magnanimità de' vostri maggiori; che
trovandosi vittoriosi in Italia conservorono le città vinte, eleggendole molti
di loro per propria abitazione: donde, con gloria grande del sangue germanico, discesono
tante case illustri in Italia, quegli da Gonzaga quegli da Carrara quegli dalla
Scala, antichi già signori nostri. Sia esempio, in uno tempo medesimo, Vicenza,
che i viniziani nutriti e sostentati da noi ne' minori pericoli l'abbino ne'
maggiori pericoli, ne' quali erano tenuti a difenderla, vituperosamente
abbandonata; e che i tedeschi, che avevano qualche causa di offenderla,
l'abbino gloriosamente conservata. Piglia il patrocinio nostro tu, invittissimo
Ciamonte, e commemora l'esempio del tuo re, nel quale fu maggiore la clemenza
verso i milanesi e verso i genovesi, che senza causa o necessità alcuna si
erano spontaneamente ribellati, che non fu il fallo loro; a' quali avendo del
tutto perdonato, essi, ricomperati da tanto beneficio, gli sono stati sempre
divotissimi e fedelissimi. Vicenza conservata, o principe di Analt, se non sarà
a Cesare a comodità sarà almeno a gloria, rimanendo come esempio della sua
benignità; distrutta non potrà essergli utile a cosa alcuna, e la severità
usata contro a noi sarà molesta a tutta Italia, la clemenza farà appresso a
tutti più grato il nome di Cesare: e così, come nelle opere militari e nel
guidare gli eserciti si riconosce in lui la similitudine dello antico Cesare,
sarà riconosciuta similmente la clemenza; dalla quale fu più esaltato insino al
cielo e fatto divino il nome suo, più perpetuata appresso a' posteri la sua
memoria, che da l'armi. Vicenza, città antica e chiara, e già piena di tanta
nobiltà, è in mano tua; da te aspetta la sua conservazione o la sua
distruzione, la sua vita o la sua morte. Muovati la pietà di tante persone
innocenti, di tante infelici donne e piccoli fanciulli i quali, quella
calamitosa notte e piena di insania e di errori, non intervennono a cosa
alcuna; e i quali ora con pianti e lamenti miserabili aspettano la tua
deliberazione. Manda fuora quella voce, tanto desiderata, di misericordia e di
clemenza; per la quale, risuscitata, la infelicissima patria nostra ti chiamerà
sempre suo padre e suo conservatore. -
Non potette
orazione sì miserabile, né la pietà verso la infelice città, mitigare l'animo
del principe di Analt in modo che, pieno di insolenza barbara e tedesca
crudeltà, non potendo temperarsi che le parole fussino manco feroci che i
fatti, non facesse inumanissima risposta; la quale per suo comandamento fu
pronunziata da uno dottore suo auditore, in questa sentenza:
- Non crediate,
o ribelli vicentini, che le lusinghevoli parole vostre sieno bastanti a
cancellare la memoria dei delitti commessi in grandissimo vilipendio del nome
di Cesare: alla cui grandezza e alla benignità con la quale vi aveva ricevuto
non avendo rispetto alcuno, comunicato insieme da tutta la città di Vicenza il
consiglio, chiamaste dentro l'esercito viniziano; il quale avendo con
grandissima difficoltà sforzato il borgo, diffidando di potere vincere la
città, pensava già di levarsi; chiamastelo contro alla volontà del principe che
rappresentava l'imperio di Cesare, costrignestelo a ritirarsi nella fortezza; e
pieni di rabbia e di veleno saccheggiaste l'artiglierie e la munizione di
Cesare, laceraste i suoi padiglioni, spiegati da lui in tante guerre e gloriosi
per tante vittorie. Non feciono queste cose i soldati viniziani ma il popolo di
Vicenza, scoprendo sete smisurata del sangue tedesco. Non mancò per la perfidia
vostra che l'esercito viniziano, se conosciuta l'occasione avesse seguitato la
vittoria, non pigliasse Verona. Né furono questi i consigli o conforti di
Fracassa, il quale circonvenuto dalle vostre false calunnie ha giustificata
chiaramente la sua innocenza; fu pure la vostra malignità, fu l'odio che senza
cagione avete al nome tedesco. Sono i peccati vostri inescusabili, sono sì
grandi che non meritano rimessione; sarebbe non solo di gravissimo danno ma eziandio
vituperabile quella clemenza che si usasse con voi, perché si conosce
chiaramente che in ogni occasione fareste peggio. Né sono stati errori i vostri
ma sceleratezze; né i danni che voi avete ricevuti sono stati per penitenza de'
delitti ma perché contumacemente avete voluto perseverare nella rebellione: e
ora chiedete la pietà e la misericordia di Cesare, il quale avete tradito,
quando abbandonati da' viniziani non avete modo alcuno di difendervi. Aveva
deliberato il principe di non vi udire: così era la mente e la commissione di
Cesare; non ha potuto negarlo perché così è stata la volontà di Ciamonte; ma
non per questo si altererà quella sentenza che, dal dì della vostra rebellione,
è stata sempre fissa nella mente di Cesare: non vi vuole il principe altrimenti
che a discrezione delle facoltà, della vita e dell'onore. Né sperate che questo
si faccia per avere facoltà di dimostrare più la sua clemenza, ma si fa per
potere più liberamente farvi esempio a tutto il mondo della pena che si
conviene contro a coloro che sì sceleratamente hanno mancato al principe suo
della loro fede. -
Attoniti per sì
atroce risposta i vicentini, poiché per alquanto spazio furono stati immobili,
come privi di tutti i sentimenti, cominciorno di nuovo con lagrime e con
lamenti a raccomandarsi alla misericordia del vincitore; ma essendo ribattuti
dal medesimo dottore, che gli riprese con parole più inumane e più barbare che
le prime, non sapevano né che rispondere né che pensare. Se non che Ciamonte
gli confortò che ubbidissino alla necessità, e col rimettersi liberamente nello
arbitrio del principe cercassino di placare la sua indegnazione: la
mansuetudine di Cesare essere grandissima, né doversi credere che il principe,
nobile di sangue ed eccellente capitano, avesse a fare cosa indegna della sua
nobiltà e della sua virtù: né dovergli spaventare l'acerbità della risposta,
anzi essere da desiderare che gli animi generosi e nobili si traportino con le
parole, perché spesso, avendo sfogato parte dello sdegno in questo modo,
alleggieriscono l'asprezza de' fatti: offersesi intercessore a mitigare l'ira
del principe, ma che essi prevenissino col rimettersi in lui liberamente. Il
consiglio del quale e la necessità seguitando i vicentini, distesisi in terra,
rimesseno assolutamente sé e la loro città alla potestà del vincitore. Le
parole de' quali ripigliando Ciamonte, confortò il principe che nel punirgli
avesse più rispetto alla grandezza e alla fama di Cesare che al delitto loro;
né facesse esempio, agli altri che fussino caduti o per potere cadere in simili
errori, tale che, disperata la misericordia, avessino a perseverare insino
all'ultima ostinazione. Sempre la clemenza avere dato a' prìncipi benivolenza e
riputazione; la crudeltà, dove non fusse necessario, avere sempre fatto effetti
contrari, né rimosso, come molti imprudentemente credevano, gli ostacoli e le
difficoltà ma accresciutele, e fattele maggiori. Con l'autorità del quale, e
co' prieghi di molti altri e le miserabili lamentazioni de' vicentini, fu contento
finalmente Analt promettere loro la salute delle persone, restando libera allo
arbitrio e volontà sua la disposizione di tutte le sostanze: preda maggiore in
opinione che in effetti, perché già la città era rimasta quasi vota di persone
e di robe. Le quali ricercando la ferità tedesca, inteso che in certo monte
vicino a Vicenza erano ridotti molti della città e del contado con le loro
robe, in due caverne dette la grotta di Masano, ove per la fortezza del luogo e
difficoltà dello entrarvi si reputavano essere sicuri, i tedeschi andati per
pigliargli, combattuta invano e non senza qualche loro danno la caverna
maggiore, andati alla minore né potendo sforzarla altrimenti, fatti fuochi
grandissimi la ottennono con la forza del fumo; dove è fama morissino più di
mille persone.
|