IV. Presa di Legnago da parte de' francesi. Nuove terre abbandonate da'
veneziani; guerra devastatrice e indecisa nel Friuli. Nuovi accordi fra
Massimiliano e il re di Francia. Presa di Monselice. L'esercito francese si
ritira nel ducato di Milano.
Presa Vicenza,
si mostrava maggiore la difficoltà delle altre cose che da principio non era
stato disegnato. Perché Massimiliano non solamente non si moveva contro a'
viniziani, come aveva promesso, ma le genti che aveva in Italia, per mancamento
di danari, continuamente diminuivano; in modo che Ciamonte era necessitato di
pensare non che altro alla custodia di Vicenza; e nondimeno deliberò di andare
a campo a Lignago, la quale terra se non si acquistava riuscivano di niuno
momento tutte le cose fatte insino a quel giorno. Passa per la terra di Lignago
il fiume dello Adige, rimanendo verso Montagnana la parte minore detta da loro
il Porto; ove i viniziani, confidandosi non tanto nella fortezza della terra e
nella virtù de' difensori quanto nello impedimento dell'acque, aveano tagliato
il fiume in uno luogo; dalla ripa di là è la parte maggiore, dalla quale
l'aveano tagliato in due luoghi; per le quali tagliate il fiume avendo sparso
ne' luoghi più bassi alcuni rami aveva coperto in modo il paese circostante
che, per essere stato soffocato dall'acque molti mesi, era diventato quasi
palude. Facilitò in qualche parte le difficoltà, la temerità e il disordine
degli inimici: perché venendo Ciamonte con l'esercito ad alloggiare a Minerbio
distante tre miglia da Lignago, e avendo mandati innanzi alcuni cavalli e fanti
de' suoi, scontrorono, al passare dell'ultimo ramo propinquo a mezzo miglio a
Lignago, i fanti che stavano a guardia di Porto, usciti per vietare loro il
passare; ma i fanti guasconi e spagnuoli, entrati ferocemente nell'acqua insino
al petto, gli urtorono, e poi gli seguitorno con tale impeto che alla mescolata
insieme con loro entrorono in Porto; salvatasi piccola parte di quegli fanti,
perché alcuni ne furno ammazzati nel combattere e la più parte degli altri,
studiando di ritirarsi in Lignago, era annegata nel passare lo Adice. Per il
quale successo, Ciamonte mutato il disegno di alloggiare a Minerbio, alloggiò
la sera medesima in Porto; e fatte condurre l'artiglierie grosse sotto l'acqua
(le quali il fondo del terreno reggeva), la notte medesima fece serrare da'
guastatori la tagliata del fiume: e conoscendo che dalla parte di Porto era
Lignago inespugnabile, per la larghezza del fiume sì grosso che con difficoltà
si poteva battere da quella parte (benché tra Lignago e Porto, per essere infra
gli argini, non sia sì grosso come di sotto), comandò si gittasse il ponte per
passare dalla parte di là l'artiglierie e la maggiore parte dello esercito; ma
trovato che le barche condotte da lui non erano pari alla larghezza del fiume,
fermato l'esercito appresso al fiume all'opposito di Lignago, di là dall'Adice
fece passare in sulle barche il capitano Molardo, con quattromila fanti
guasconi e con sei pezzi di artiglieria. Il quale passato, si cominciò da l'una
parte e l'altra del fiume a percuotere il bastione fatto in su l'argine alla
punta della terra, dalla banda di sopra; ed essendone già abbattuta una parte,
ancora che quegli di dentro non omettessino di riparare sollecitamente, la
notte seguente il proveditore viniziano, avendo maggiore timore delle offese
degli inimici che speranza nella difesa de' suoi, si ritirò improvisamente con
alcuni gentiluomini viniziani nella rocca: la ritirata del quale intesasi come
fu dì, il capitano de' fanti che era nel bastione si arrendé a Molardo, salvo
l'avere e le persone; e nondimeno, uscitone, fu co' fanti svaligiato da quegli
del campo. Preso il bastione, fu da Molardo saccheggiata la terra; e i fanti
che erano a guardia d'uno bastione fabricato in su l'altra punta della terra se
ne fuggirono per quegli paludi, lasciate l'armi all'entrare dell'acque: e così,
per la viltà di quegli che vi erano dentro, riuscì più facile e più presto che
non si era stimato l'acquisto di Lignago. Né fece maggiore resistenza il
castello che avesse fatto la terra; perché essendo il dì seguente levate con
l'artiglieria le difese, e cominciato a tagliare da basso co' picconi uno
cantone d'uno torrione, con intenzione di dargli poi fuoco, si arrenderono: con
patto che, rimanendo i gentiluomini viniziani in potestà di Ciamonte, i soldati
lasciate l'armi se ne andassino salvi in giubbone. Mescolò la fortuna nella
vittoria con amaro fiele l'allegrezza di Ciamonte, perché quivi ebbe avviso
della morte del cardinale di Roano suo zio, per l'autorità somma del quale
appresso al re di Francia esaltato a grandissime ricchezze e onori sperava
continuamente cose maggiori. In Lignago, per essere i tedeschi impotenti a
mettervi gente, lasciò Ciamonte a guardia cento lancie e mille fanti; e avendo
dipoi licenziato i fanti grigioni e vallesi, si preparava per ritornare col
rimanente dello esercito nel ducato di Milano per comandamento del re,
inclinato a non continuare più in tanta spesa, dalla quale, per non
corrispondere alle deliberazioni prima fatte le provisioni dalla parte di
Cesare, non risultava effetto alcuno importante. Ma gli comandò poi il re che
ancora soprasedesse per tutto giugno, perché Cesare venuto a Spruch, pieno di
difficoltà secondo il solito ma pieno di disegni e di speranze, faceva instanza
non si partisse, promettendo di passare d'ora in ora in Italia.
Nel quale
tempo, desiderando i tedeschi di recuperare Morostico, Cittadella, Basciano e
altre terre circostanti, per fare più facile a Cesare il venire da quella
parte, Ciamonte si fermò coll'esercito a Lungara in sul fiume del Bacchiglione,
per impedire alle genti de' viniziani l'entrare in Vicenza, rimasta senza
guardia, e similmente l'opporsi a' tedeschi; ma inteso quivi le genti viniziane
essersi ritirate in Padova, congiunti seco di nuovo i tedeschi, vennono alle
Torricelle, in sulla strada maestra che va da Vicenza a Padova: onde lasciata
Padova a mano destra, si condussono a Cittadella, con non piccola incomodità di
vettovaglie, impedite da i cavalli leggieri che erano in Padova e molto più da
quegli che erano a Monselice. Arrendessi Cittadella senza contrasto, e il
medesimo fece poi Morostico, Bassano e l'altre terre circostanti, abbandonate
dalle genti viniziane: però espedite le cose da quella parte, gli eserciti,
ritornati alle Torricelle, lasciato Padova in su la destra e girando alla
sinistra verso la montagna, si fermorno in su la Brenta accanto alla montagna,
a dieci miglia di Vicenza; condottisi in quel luogo perché i tedeschi
desideravano di occupare la Scala, passo opportuno per le genti che avevano a
venire di Germania, e che solo di tutte le terre da Trevigi insino a Vicenza
rimaneva in mano de' viniziani. Dal quale alloggiamento partito il principe di Analt,
co' tedeschi e con cento lancie franzesi, si dirizzò alla Scala lontana venti
miglia; ma non potendo passare innanzi, perché i villani pieni di incredibile
affezione verso i viniziani, e in tanto che. fatti prigioni, eleggevano più
tosto di morire che di rinnegare o bestemmiare il nome loro, avevano occupato
molti passi nella montagna, ottenuto per accordo Castelnuovo, passo
medesimamente della montagna, se ne ritornò allo alloggiamento della Brenta;
avendo mandato molti fanti per altra via verso la Scala: i quali, secondo
l'ordine avuto da lui, schifando la via di Bassano per sfuggire il Covolo,
passo forte in quelle montagne, girorno più basso per il cammino di Feltro; e
trovato in Feltro pochissima gente e saccheggiatolo e abbruciatolo, si condusseno
al passo della Scala, il quale insieme con quello del Covolo trovorno
abbandonato da ciascuno. Né erano in questo tempo minori ruine nel paese del
Friuli, perché assaltato ora da' viniziani ora da' tedeschi, ora difeso ora
predato da' gentiluomini del paese, e facendosi ora innanzi questi ora
ritirandosi quegli secondo l'occasione, non si sentiva per tutto altro che
morti, sacchi e incendi; accadendo che spesso uno luogo medesimo saccheggiato
prima da una parte fu poi saccheggiato e abbruciato dall'altra: e da pochissimi
luoghi, che erano forti, in fuora, sottoposto tutto il resto a questa
miserabile distruzione. Le quali cose non avendo avuto in sé fatto alcuno
memorabile, sarebbe superfluo raccontare particolarmente e fastidioso a
intendere tanto varie rivoluzioni, le quali non partorivano effetto alcuno alla
somma e importanza della guerra.
Ma
approssimandosi il tempo determinato alla partita dell'esercito franzese, fu di
nuovo convenuto tra Cesare e il re di Francia che l'esercito suo soprasedesse
per tutto 'l mese seguente, ma che le spese straordinarie (cioè quelle che
corrono oltre al pagamento delle genti), le quali aveva insino ad allora pagate
il re, si pagassino per l'avvenire da Cesare, e similmente i fanti per il mese
predetto; ma, perché Cesare non aveva danari, che, fatto il calcolo quel che
importassino queste spese, il re gli prestasse, computate queste spese, insino
in cinquantamila ducati; e che se Cesare non restituiva, infra uno anno
prossimo, questi e gli altri cinquantamila che gli erano stati prestati prima,
il re avesse, insino ne fusse rimborsato, a tenere in mano Verona con tutto il
suo territorio.
Avuto Ciamonte
il comandamento dal re di soprasedere, voltò l'animo all'espugnazione di
Monselice; e perciò, subito che furno unite co' tedeschi quattrocento lancie
spagnuole guidate dal duca di Termini, le quali mandate dal re cattolico in
aiuto di Massimiliano avevano, secondo le consuete arti loro, camminato
tardissimamente, gli eserciti, passato il fiume della Brenta e dipoi alla villa
della Purla il fiume del Bacchiglione, presso a cinque miglia di Padova,
arrivorono a Monselice; avendo in questo tempo patito molto nelle vettovaglie e
ne' saccomanni, per le correrie de' cavalli che erano in Padova e in Monselice:
da' quali anche fu preso Sonzino Benzone da Crema condottiere del re di
Francia, che con pochi cavalli andava a rivedere le scorte; il quale, perché
era stato autore della ribellione di Crema, Andrea Gritti, avendo più in
considerazione l'essere suddito de' viniziani che l'essere soldato
degl'inimici, fece subito impiccare. Sorge nella terra di Monselice, posta
nella pianura, come uno monte di sasso (dal quale è detta Monselice) che si
distende molto in alto; nella sommità del quale è una rocca, e per il dosso del
monte, che tuttavia si ristrigne, sono tre procinti di muraglia, il più basso
de' quali abbraccia tanto spazio che a difenderlo da esercito giusto sarebbeno
necessari duemila fanti. Abbandonorno gli inimici subitamente la terra; nella
quale alloggiati i franzesi piantorno l'artiglieria contro al primo procinto,
con la quale essendosi battuto assai e da più lati, i fanti spagnuoli e
guasconi cominciorono senza ordine ad accostarsi alla muraglia, tentando di
salire dentro da molte parti. Eranvi a guardia settecento fanti; i quali,
pensando fusse battaglia ordinata né essendo sufficienti per il numero a potere
resistere quando fussino assaltati da più luoghi, fatta leggiera difesa
cominciorono a ritirarsi, per deliberazione fatta, secondo si credé, prima tra
loro: ma lo feciono tanto disordinatamente che gli inimici che erano già
cominciati a entrare dentro, scaramucciando con loro e seguitandogli per la
costa, entrorno seco mescolati negli altri due procinti e dipoi insino nel
castello della fortezza; dove essendo ammazzata la maggiore parte di loro, gli
altri, ritiratisi nella torre e volendo arrendersi salve le persone, non erano
accettati da' tedeschi: i quali dettono alla fine fuoco al mastio della torre,
in modo che di settecento fanti con cinque conestabili, e principale di tutti
Martino dal Borgo a San Sepolcro di Toscana, se ne salvorono pochissimi; avendo
ciascuno minore compassione della loro calamità per la viltà che avevano usata.
Né si dimostrò minore la crudeltà tedesca contro agli edifici e alle mura,
perché non solo, per non avere gente da guardarla, rovinorono la fortezza di
Monselice ma abbruciorono la terra. Dopo il qual dì non feceno più questi
eserciti cosa alcuna importante, eccetto che una correria di quattrocento lancie
franzesi insino in su le porte di Padova.
Partì in questo
tempo medesimo dal campo il duca di Ferrara e con lui Ciattiglione, mandato da
Ciamonte con dugento cinquanta lancie per la custodia di Ferrara, dove era non
piccola sospezione per la vicinità delle genti del pontefice: e nondimeno i
tedeschi stimolavano Ciamonte che, secondo che prima si era trattato tra loro,
andasse a campo a Trevigi, dimostrando essere di piccola importanza le cose
fatte con tanta spesa se non si espugnava quella città, perché di potere
spugnare Padova non s'avea speranza alcuna. Ma in contrario replicava Ciamonte:
non essere passato Cesare contro a' viniziani con quelle forze che avea
promesse, quegli che erano congiunti seco essere ridotti a piccolo numero, in
Trevigi essere molti soldati, la città munita con grandissime fortificazioni,
non si trovare più nel paese vettovaglie ed essere molto difficile il condurne
di luoghi lontani al campo per le assidue molestie de' cavalli leggieri e degli
stradiotti de' viniziani; i quali, avvisati per la diligenza de' villani di
ogni piccolo loro movimento ed essendo tanto numero, apparivano sempre dovunque
potessino danneggiargli. Levò queste disputazioni nuovo comandamento venuto di
Francia a Ciamonte che, lasciate quattrocento lancie e mille cinquecento fanti
spagnuoli, pagati dal re, in compagnia de' tedeschi, oltre a quegli che erano
alla guardia di Lignago, ritornasse subito coll'esercito nel ducato di Milano:
perché già, per opera del pontefice, si cominciavano a scoprire molte molestie
e pericoli. Però Ciamonte, lasciato Persis al governo di queste genti, seguitò
il comandamento del re; e i tedeschi, diffidando di potere fare più effetto
alcuno importante, si fermorono a Lunigo.
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