V. Cresce sempre più l'odio del pontefice contro il re di Francia per la
protezione di questo al duca di Ferrara. Nuove manifestazioni dell'avversione
del pontefice al duca ed al re. Sospetti e gelosia di Ferdinando d'Aragona per
il re di Francia.
Aveva il
pontefice propostosi nell'animo, e in questo fermati ostinatamente tutti i
pensieri suoi, non solo di reintegrare la Chiesa di molti stati, i quali
pretendeva appartenersegli, ma oltre a questo di cacciare il re di Francia di
tutto quello possedeva in Italia; movendolo o occulta e antica inimicizia che
avesse contro a lui o perché il sospetto avuto tanti anni si fusse convertito
in odio potentissimo, o la cupidità della gloria di essere stato, come diceva
poi, liberatore di Italia da' barbari. A questi fini aveva assoluto dalle
censure i viniziani, a questi fini fatta la intelligenza e stretta congiunzione
co' svizzeri; simulando di procedere a queste cose più per sicurtà sua che per
desiderio di offendere altri: a questi fini, non avendo potuto rimuovere il
duca di Ferrara dalla divozione del re di Francia, aveva determinato di fare
ogni opera per occupare quello ducato, pretendendo di muoversi solamente per le
differenze delle gabelle e de' sali. E nondimeno, per non manifestare
totalmente, insino che avesse le cose meglio preparate, i suoi pensieri,
trattava continuamente con Alberto Pio di concordarsi col re di Francia; il
quale, persuadendosi non avere seco altra differenza che per causa della
protezione del duca di Ferrara e desideroso sopramodo di fuggire la sua
inimicizia, consentiva, di fare con lui nuove convenzioni, riferendosi a
capitoli di Cambrai, ne' quali si esprimeva che nessuno de' confederati potesse
ingerirsi nelle cose appartenenti alla Chiesa, e inserendovi tali parole e tali
clausule che al pontefice fusse lecito procedere contro al duca quanto
apparteneva alle particolarità de' sali e delle gabelle, a' quali fini
solamente pensava il re distendersi i pensieri suoi: interpretando talmente
l'obligo che avea della protezione del duca, che e' paresse quasi potesse
convenire in questo modo lecitamente. Ma quanto più il re si accostava alle
dimande del pontefice tanto più egli si discostava: non lo piegando in parte
alcuna la morte succeduta del cardinale di Roano, perché a quegli che, arguendo
essere finito il sospetto, lo confortavano alla pace rispondeva vivere il
medesimo re e però durare il medesimo sospetto; allegando in confermazione di
queste parole, sapersi che l'accordo fatto dal cardinale di Pavia era stato
violato del re per propria sua deliberazione, contro alla volontà e consiglio
del cardinale di Roano: anzi, a chi più perspicacemente considerò i progressi
suoi, parve se ne accrescessino il suo animo e le speranze. Né senza cagione:
perché, essendo tali le qualità del re che aveva più bisogno di essere retto
che e' fusse atto a reggere, non è dubbio che la morte di Roano indebolì molto
le cose sue; conciossiaché in lui oltre alla lunga esperienza fusse nervo
grande e valore, e tanta autorità appresso al re che quasi non mai si
discostasse dal consiglio suo, donde egli confidando nella grandezza sua ardiva
spesse volte risolvere e dare forma alle cose per se stesso; condizione che non
militando in alcuno di quegli che succedettono nel governo, non ardivano non
che deliberare ma né pure di parlare al re di cose che gli fussino moleste, né
egli prestava la medesima fede a' consigli loro; ed essendo più persone e
avendo rispetto l'uno a l'altro, né confidandosi all'autorità ancora nuova,
procedevano più lentamente e più freddamente che non ricercava la importanza
delle cose presenti e che non sarebbe stato necessario contro alla caldezza e
impeto del pontefice. Il quale, non accettando niuno dei partiti proposti dal
re, lo ricercò alla fine apertamente che rinunziasse, non con condizione o
limitazione ma semplicemente e assolutamente, alla protezione presa del duca di
Ferrara; e cercando il re di persuadergli essergli di troppa infamia una tale
rinunziazione, rispose in ultimo che, poi che il re recusava di renunziare
semplicemente, non voleva convenire seco né anche essergli opposito, ma
conservandosi libero da ogni obligazione con ciascuno, attenderebbe a guardare
quietamente lo stato della Chiesa: lamentandosi più che mai del duca di Ferrara
che, confortato da amici suoi a soprasedere di fare il sale, aveva risposto non
potere seguitare questo consiglio per non pregiudicare alle ragioni dello
imperio, al quale apparteneva il dominio diretto di Comacchio. Ma fu oltre a
questo dubitazione e opinione di molti, la quale in progresso di tempo si
augumentò, che Alberto Pio imbasciadore del re di Francia, non procedendo
sinceramente nella sua legazione, attendesse a concitare il pontefice contro al
duca di Ferrara; movendolo il desiderio ardentissimo, nel quale continuò insino
alla morte, che Alfonso fusse spogliato del ducato di Ferrara: perché avendo
Ercole padre di Alfonso ricevuto, non molti anni avanti, da Giberto Pio la metà
del dominio di Carpi, datogli in ricompenso il castello di Sassuolo con alcune
altre terre, dubitava Alberto di non avere (come bisogna spesso che 'l vicino
manco potente ceda alla cupidità del più potente) a cedergli alla fine l'altra
metà che apparteneva a sé. Ma quel che di questo sia la verità, il pontefice,
dimostrando segni più implacabili contro ad Alfonso e avendo già in animo di
muovere l'armi, si preparava di procedergli contro con le censure, attendendo
di giustificare i fondamenti, e specialmente avendo trovato, secondo diceva,
nelle scritture della camera apostolica la investitura fatta da' pontefici alla
casa da Esti della terra di Comacchio.
Questi erano
palesemente gli andamenti del pontefice; ma occultamente trattava di cominciare
movimenti molto maggiori, parendogli avere fondato le cose sue con l'amicizia
de' svizzeri, con l'essere in piede i viniziani e ubbidienti a' cenni suoi,
vedere inclinato a' medesimi fini o almeno non congiunto col re di Francia
sinceramente il re di Aragona, deboli in modo le forze e l'autorità di Cesare
che non gli dava causa di temerne, né essendo senza speranza di potere
concitare il re di Inghilterra. Ma sopratutto gli accresceva l'animo quello che
arebbe dovuto mitigarlo, cioè il conoscere che il re di Francia, aborrente di
fare la guerra con la Chiesa, desiderava sommamente la pace; in modo che gli pareva
che sempre dovesse essere in potestà sua il fare concordia seco, eziandio
poiché gli avesse mosso contro l'armi. Per le quali cose diventando ogni dì più
insolente, e moltiplicando scopertamente nelle querele e nelle minaccie contro
al re di Francia e contro al duca di Ferrara, recusò il dì della festività di
san Piero, nel quale dì secondo l'antica usanza si offeriscono i censi dovuti
alla sedia apostolica, accettare il censo dal duca di Ferrara; allegando che la
concessione di Alessandro sesto, che nel matrimonio della figliuola l'aveva da
quattromila ducati ridotto a cento, non era valida in pregiudicio di quella
sedia: e nel dì medesimo, avendo prima negato licenza di ritornarsene in
Francia al cardinale di Aus e agli altri cardinali franzesi, inteso che quello
di Aus era uscito con reti e con cani in campagna, avendo sospetto vano che
occultamente non si partisse, mandato precipitosamente a pigliarlo, lo ritenne
prigione in Castel Santo Agnolo. Così, già scoprendosi in manifesta contenzione
col re di Francia, e però costretto tanto più a fare fondamenti maggiori,
concedette al re cattolico la investitura del regno di Napoli, col censo
medesimo col quale l'avevano ottenuta i re di Aragona; avendo prima negato di
concederla se non col censo di quarantottomila ducati, col quale l'avevano
ottenuta i re franzesi: seguitando il pontefice in questa concessione non tanto
l'obligazione la quale, secondo il consueto dell'antiche investiture, gli fece
quel re di tenere ciascuno anno per difesa dello stato della Chiesa, qualunque
volta ne fusse ricercato, trecento uomini d'arme, quanto il farselo benevolo: e
la speranza che questi aiuti potessino, in qualche occasione, essere cagione di
condurlo a inimicizia aperta col re di Francia. Della quale erano già sparsi i
semi, perché il re cattolico, insospettito della grandezza del re di Francia, e
ingelosito della sua ambizione, poiché non contento a' termini della lega di
Cambrai cercava di tirare sotto il dominio suo la città di Verona, mosso ancora
dalla antica emulazione, desiderava non mediocremente che qualche impedimento
s'opponesse alle cose sue; e perciò non cessava di confortare la concordia tra
Cesare e i viniziani, molto desiderata dal pontefice: nelle quali cose benché
occultissimamente procedesse non era possibile che del tutto si coprissino i
pensieri suoi; onde essendo sorta in Sicilia la sua armata, destinata ad
assaltare l'isola delle Gerbe (è questa appresso a' latini la Sirte maggiore),
faceva sospetto al re e metteva negli animi degli uomini, consci della astuzia
sua, diverse dubitazioni.
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