VIII. Rapida riconquista da parte de' veneziani delle terre precedentemente
perdute. Vano tentativo contro Verona. Liberazione dalla prigionia del marchese
di Mantova.
Ma maggiore
sarebbe stato il pericolo de' franzesi se in uno tempo medesimo fussino
concorse contro a loro le offese disegnate dal pontefice. Ma come fu prima
l'assalto di Genova che il movimento de' svizzeri così tardò a farsi innanzi,
più che non era disegnato, l'esercito de' viniziani; ancora che avessino avuto
molto opportuna occasione. Perché essendo molto diminuite le genti de' tedeschi
che alla partita di Ciamonte erano restate in vicentino, con le quali erano i
fanti spagnuoli e le cinquecento lancie franzesi, l'esercito viniziano, uscito
di Padova, recuperò senza fatica Esti, Monselice, Montagnana, Morostico,
Bassano; e fattisi innanzi, ritirandosi continuamente i tedeschi alla volta di
Verona, entrorno in Vicenza abbandonata da loro: e così avendo ricuperato, da
Lignago in fuora, tutto quello che con tanta spesa e travaglio de' franzesi
avevano perduto in tutta la state, vennono a San Martino a cinque miglia di
Verona; nella quale città si ritirorno gli inimici. La ritirata de' quali non
fu senza pericolo se (come affermano i viniziani) in Luzio Malvezzo, il quale
allora, per la partita di Giampagolo Baglione dagli stipendi veneti, governava
le genti loro, fusse stato maggiore ardire: perché essendo i viniziani venuti
alla villa della Torre, gli inimici lasciate nello alloggiamento molte
vettovaglie si indirizzorono verso Verona, seguitandogli tutto l'esercito
veneto e infestandogli continuamente i cavalli leggieri; e nondimeno sostenendo
i franzesi, massime con l'artiglierie, valorosamente il retroguardo, passato il
fiume Arpano si condussono senza danno a Villanuova, alloggiando i viniziani
propinqui a mezzo miglio; e il seguente dì non gli seguitando sollecitamente i
viniziani, perché allegavano i fanti non potere pareggiare la prestezza de'
cavalli, si ritirorno in Verona.
Da San Martino,
poiché vi furono stati alquanti dì, accostatisi a Verona, non senza biasimo che
il differire fusse stato inutile, cominciorno a battere con l'artiglierie
piantate in sul monte opposito il castello di San Felice e la muraglia vicina:
eletto forse quel luogo perché vi si può difficilmente riparare, e perché non
vi possono se non molto incomodamente adoperare i cavalli. Erano nell'esercito
veneto ottocento uomini d'arme tremila cavalli leggieri, la maggiore parte
stradiotti, e diecimila fanti, oltre a quantità grandissima di villani; e in
Verona erano trecento lancie spagnuole, cento tra tedesche e italiane, più di
quattrocento lancie franzesi, millecinquecento fanti pagati dal re, e
quattromila tedeschi, non più sotto il principe di Analt morto non molti giorni
avanti; e il popolo veronese di mala disposizione contro a' tedeschi aveva
l'armi in mano, cosa nella quale aveano sperato molto i viniziani: la
cavalleria leggiera de' quali, nel tempo medesimo, passando l'Adice a guazzo
sotto Verona, scorreva per tutto il paese. Batteva con grande impeto la
muraglia l'artiglieria de' viniziani, ancora che l'artiglieria piantata dentro
da' franzesi e coperta co' suoi ripari facesse a quegli di fuora, che non erano
riparati, gravissimo danno: da uno colpo della quale essendo state levate le
natiche a Lattanzio da Bergamo, uno de' più stimati colonnelli de' fanti
viniziani, morì fra pochi giorni. Finalmente, avendo fatto maraviglioso
progresso l'artiglieria di fuora e rovinata una parte grande del muro insino al
principio della scarpa e battute tutte le cannoniere in modo che l'artiglierie
di dentro non potevano più fare effetto alcuno, non stavano i tedeschi senza
timore di perdere il castello, ancora che bene riparato; alla perdita del quale
perché non fusse congiunta la perdita della città, disegnavano, in caso di
necessità, ritirarsi a certi ripari i quali avevano fatti in luogo propinquo,
per battere subito co' loro cannoni, quali già v'avevano tutti piantati, la
facciata di dentro del castello, sperando aprirla in modo che gli inimici non
potessino fermarvisi. Ma era molto superiore la virtù delle genti che erano in
Verona, perché nell'esercito viniziano non erano altri fanti che italiani; e
quegli, pagati per l'ordinario ogni quaranta dì, stavano a quel servizio più
per trovare in altri luoghi piccola condizione che per altre cagioni:
conciossiaché la fanteria italiana, non assueta all'ordinanze oltramontane né
stabile in campagna, fusse allora quasi sempre rifiutata da coloro che avevano
facoltà di servirsi di fanti forestieri, massimamente di fanti svizzeri di
tedeschi e di spagnuoli. Però, essendo con maggiore virtù sostentata la difesa
che fatta l'offesa, usciti una notte ad assaltare l'artiglieria circa mille
ottocento fanti con alcuni cavalli de' franzesi, e messi in fuga facilmente i
fanti che vi erano alla guardia, ne chiavorono due pezzi; e sforzandosi di
condurgli dentro, ed essendo già levato il romore per tutto il campo, soccorse
con molti fanti il Zitolo da Perugia, il quale combattendo valorosamente finì
la vita con molta gloria: ma sopragiugnendo Dionigi di Naldo e la maggiore
parte dello esercito, furno costretti quegli di dentro, lasciata quivi
l'artiglieria, a ritirarsi; ma con laude non piccola, avendo da principio rotti
i fanti che la guardavano, ammazzato parte di quegli che primi vennono al
soccorso e tra gli altri il Zitolo colonnello molto stimato di fanti, e preso
Maldonato capitano spagnuolo, e ultimamente ritiratisi salvi quasi tutti.
Finalmente, i capitani viniziani, inviliti da questo accidente né sentendo
farsi per il popolo movimento alcuno, giudicando anche non solo inutile ma
pericoloso il soprastarvi perché l'alloggiamento era male sicuro, essendo
alloggiati i fanti in sul monte e i cavalli nella valle assai lontani da'
fanti, deliberorono di ritirarsi allo alloggiamento vecchio di San Martino: la
quale deliberazione fece accelerare il presentirsi che Ciamonte, essendo già
partiti i svizzeri, inteso il pericolo di Verona veniva a soccorrerla. Nel
levarsi il campo entrorono i saccomanni di Verona, accompagnati da grossa
scorta, nella Valle Pollienta contigua al monte di San Felice; ma, essendo
venuti al soccorso molti cavalli leggieri de' viniziani, i quali presono la
bocca della valle, furono tutti quegli che erano usciti di Verona o ammazzati o
fatti prigioni. Da San Martino, per la fama della venuta di Ciamonte,
l'esercito veneto si ritirò a San Bonifazio. Nel quale tempo le genti che erano
alla guardia di Trevigi presono per accordo la terra di Assilio propinqua al
fiume Musone, dove erano ottocento fanti tedeschi, e poi la rocca. E nel Friuli
si procedeva con le medesime variazioni e con le crudeltà consuete, non più
guerreggiando con gli inimici ma attendendosi da ogni parte alla distruzione
ultima degli edifici e del paese: i quali mali consumavano medesimamente la
Istria.
Succedette in
questo tempo, per modo molto notabile, la liberazione dalla carcere del
marchese di Mantova, trattata dal pontefice, mosso dalla affezione che prima
gli aveva e da disegno di usare l'opera sua e servirsi delle comodità del suo stato
nella guerra contro al re di Francia: e si credette per tutta Italia egli
essere stato causa della sua liberazione. Nondimeno io intesi già da autore
degno di fede, e per mano del quale passava allora tutto il governo dello stato
di Mantova, essere stata molto diversa la cagione. Perché dubitandosi, come era
la verità, che i viniziani, per l'odio che gli avevano e per il sospetto che
avevano di lui, non fussino inclinati a tenerlo perpetuamente incarcerato, ed
essendosi invano tentato molti rimedi, fu determinato nel consiglio di Mantova
di ricorrere a Baiset principe de' turchi; l'amicizia del quale il marchese,
col mandargli spessi messi e vari presenti, aveva molti anni intrattenuta. Il
quale, intesa la sua calamità, chiamato a sé il bailo de' mercatanti viniziani
che negoziavano in Pera appresso a Costantinopoli, lo ricercò gli promettesse
che 'l marchese sarebbe liberato; e recusando il bailo di promettere quel che
non era in potestà sua e offerendo scriverne a Vinegia, ove non dubitava si
farebbe deliberazione conforme al desiderio suo, Baiset replicandogli
superbamente essere la sua volontà che egli assolutamente lo promettesse, fu
necessitato a prometterlo: il che essendo significato dal bailo a Vinegia, il
senato, considerando non essere tempo a irritare principe tanto potente,
determinò di liberarlo; ma per occultare il suo disonore, e riportare qualche
frutto della sua liberazione, prestò orecchi al desiderio del pontefice. Per
mezzo del quale essendo, benché occultamente, conchiuso che, per assicurare i
viniziani che 'l marchese non si moverebbe loro contro, il figliuolo
primogenito fusse custodito in mano del pontefice, il marchese condotto a
Bologna, poiché quivi ebbe consegnato il figliuolo agli agenti del pontefice,
liberato se ne andò a Mantova: scusando sé appresso a Cesare e al re di Francia
se, per la necessità di riordinare lo stato suo, non andava ne' loro eserciti a
servirgli, come feudatario dell'uno e soldato dell'altro (perché dal re di
Francia gli era stata sempre conservata la solita condotta e provisione), ma
veramente avendo nell'animo di stare neutrale.
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