X. Accanimento del pontefice per prendere Ferrara. Fazione franco veneziana
presso Montagnana. I francesi minacciano Modena. Il duca di Ferrara occupa
Cento e altre terre; quindi accorre ad impedire a' veneziani il passaggio del
Po. Le armi spirituali usate dal pontefice contro il duca di Ferrara e i suoi
aderenti. Decisioni del clero gallicano; cardinali dissidenti dal pontefice.
Entrò il
pontefice in Bologna alla fine di settembre, disposto ad assaltare con tutte le
forze sue e de' viniziani Ferrara, per terra e per acqua. Però i viniziani,
ricercatine da lui, mandorono due armate contro a Ferrara; le quali entrate nel
fiume del Po, l'una per le Fornaci l'altra per il porto di Primaro, facevano
nel ferrarese gravissimi danni: non mancando nel tempo medesimo le genti del
pontefice di scorrere e predare per tutto il paese, ma non si accostando a
Ferrara, nella quale città oltre alle genti del duca erano dugento cinquanta
lancie franzesi. Perché, se bene gli ecclesiastici fussino pagati per ottocento
uomini d'arme secento cavalli leggieri e seimila fanti, nondimeno, oltre a
essere la maggiore parte gente collettizia, il numero (come i pontefici
comunemente sono malserviti nelle cose della guerra) era molto minore; e si
aggiugneva che, avendo Ciamonte dopo la perdita di Modona mandate tra Reggio e
Rubiera dugento cinquanta lancie e dumila fanti, erano per comandamento del
pontefice andati con l'esercito alla guardia di Modena Marcantonio Colonna e
Giovanni Vitelli, con dugento uomini d'arme e ottocento fanti. Però il
pontefice faceva instanza che dell'esercito viniziano, il quale, essendo molto
diminuite a Verona e per tutto le forze di Cesare, aveva senza difficoltà
recuperato quasi tutto il Friuli, ne passasse una parte nel ferrarese, che di
nuovo avea recuperato il Polesine di Rovigo, abbandonato per le molestie che il
duca aveva intorno a Ferrara. Aspettava similmente il pontefice trecento lancie
spagnuole, quali dimandate da lui per l'obligo della investitura gli erano
mandate dal re d'Aragona, sotto Fabrizio Colonna; disegnando che, unite queste
con l'esercito suo, assaltassino da una parte Ferrara e dall'altra
l'assaltassino le genti de' viniziani; e persuadendosi che 'l popolo di
Ferrara, subito che l'esercito si accostasse alle mura, piglierebbe l'armi
contro al duca: con tutto che i capitani suoi gli dimostrassino, il presidio
che vi era dentro essere tale che facilmente poteva difendere la città contro
agli inimici e contenere il popolo, quando bene avesse inclinazione di
tumultuare. Perciò, con incredibile sollecitudine, soldava in molti luoghi
quantità grande di fanti. Ma tardavano a venire, più che non arebbe voluto, le
genti de' viniziani; perché avendo condotto per il Po in mantovano molte barche
per gittare il ponte, il duca di Ferrara con le genti franzesi, assaltatele
allo improviso, le tolse loro. Prese anche in certi canali del Pulesine molte
barche e altri legni, insieme col proveditore viniziano. Nel quale tempo
essendo venuto a luce uno trattato che avevano in Brescia per farla ribellare
al re di Francia, vi fu decapitato il conte Giovanmaria da Martinengo. Ma molto
più tardavano a venire le lancie spagnuole; le quali condotte in su' confini
del regno di Napoli recusavano, per comandamento del re loro, di passare il
fiume del Tronto se prima non si consegnava allo imbasciadore suo la bolla
della investitura conceduta: la quale il papa, sospettando che ricevuta la
bolla le genti promesse non venissino, faceva difficoltà di concedere se prima
non giugnevano a Bologna. E nondimeno, né per le ragioni allegate da' capitani
né per queste difficoltà, diminuiva della speranza di ottenere con le sue genti
sole Ferrara; attendendo con maraviglioso vigore a tutte l'espedizioni della
guerra: non ostante che gli fusse sopravenuta nel tempo medesimo grave
infermità, la quale, reggendosi contro al consiglio de' medici, non meno che
l'altre cose disprezzava; promettendosi la vittoria di quella come della
guerra, perché affermava essere volontà divina che per opera sua Italia si
riducesse in libertà. Procurò similmente che 'l marchese di Mantova, il quale
chiamato a Bologna da lui era stato onorato del titolo di gonfaloniere della
Chiesa, si conducesse con titolo di capitano generale agli stipendi de'
viniziani, partecipando il pontefice in questa condotta con cento uomini d'arme
e con mille dugento fanti, ma con patto che questa cosa si tenesse occulta;
ricercando così il marchese, sotto colore di essere necessario che prima
riordinasse e provedesse il paese suo, acciò che i franzesi avessino minore
facilità di offenderlo, ma in verità perché il marchese, sottomettendosi a
questo peso non per volontà ma per necessità delle promesse fatte, cercava di
interporre tempo all'esecuzione per potere, con qualche occasione che
sopravenisse, liberarsene.
Ma l'ardore che
aveva il pontefice di offendere altri si convertì in necessità di difendere le
cose proprie, la quale sarebbe stata ancora più presta e maggiore se nuovi
accidenti non avessino costretto Ciamonte a differire le sue deliberazioni.
Perché, poi che l'esercito viniziano si era levato d'intorno a Verona,
Ciamonte, il quale era venuto a Peschiera per andare a soccorrere quella città,
deliberò voltarsi subito con l'esercito alla recuperazione di Modena, dove le
genti che erano a Rubiera avevano presa la terra di Formigine di assalto; il
che se avesse fatto arebbe facilmente, come si crede, ottenutala, perché dentro
erano piccole forze, la terra non fortificata né tutti amatori del dominio
della Chiesa: ma accadde che, quando era per muoversi, i fanti tedeschi che
erano in Verona, per essere mal pagati da Cesare, tumultuorno; onde Ciamonte,
perché non rimanesse abbandonata quella città, fu costretto a soprasedere
insino a tanto avesse fermato gli animi loro, per la qual cosa pagò novemila
ducati per lo stipendio presente e promesse di pagargli medesimamente per il
mese seguente. Ma non rimediato prima a questo disordine, sopravenne subito un
altro accidente. Perché essendosi le genti de' viniziani ritirate verso Padova,
La Grotta che in suo nome era governatore di Lignago, parendogli avere
occasione di saccheggiare la terra di Montagnana, vi spinse tutte le lancie e
quattrocento fanti; da' quali mentre che gli uomini della terra, impauriti del
sacco, si difendono, sopravenneno molti cavalli leggieri de' viniziani, e,
trovandogli disordinati, facilmente gli ruppono con gravissimo danno, perché
era stata impedita la fuga per la rottura fatta dagli inimici di uno ponte: per
il quale caso, essendo spogliato quasi Lignago di gente, non è dubbio che se vi
si fussino volte subito le genti viniziane l'arebbeno preso; la quale
opportunità passò presto perché Ciamonte, inteso il caso, vi mandò con
grandissima celerità nuova gente. Ma tolsono a lui questi impedimenti
l'occasione di recuperare Modena, nella quale in questo spazio di tempo erano
entrati molti fanti e fatte sollecitamente molte reparazioni. E nondimeno, per
la venuta sua a Rubiera, fu costretto il pontefice mandare a Modena l'esercito
destinato contro a Ferrara: dove, essendo unite tutte le forze sue sotto il
duca di Urbino capitano generale, e legato il cardinale di Pavia, e condottieri
di autorità Giampaolo Baglione Marcantonio Colonna e Giovanni Vitelli, faceva
instanza che si combattesse cogli inimici; cosa molto detestata da' capitani,
perché erano senza dubbio maggiori le forze de' franzesi e di numero e di
virtù, perché la fanteria ecclesiastica era raccolta subitamente e
nell'esercito non era né ubbidienza né ordine conveniente, e tra 'l duca di
Urbino e il cardinale di Pavia discordia manifesta. La quale procedette tanto
oltre che il duca, accusandolo di infedeltà appresso al pontefice, o di propria
autorità o per comandamento avuto da lui, lo condusse come prigione a Bologna;
ma purgate con la presenza sola tutte le calunnie, rimase appresso a lui in
maggiore grado e autorità che prima.
Mentre che
queste genti stanno a fronte l'una dell'altra, Ciamonte alloggiato con la
cavalleria a Rubiera, i fanti a Marzaglia, gli ecclesiastici a Modena nel borgo
verso Rubiera, facendosi tra loro spesse correrie e scaramuccie, il duca di
Ferrara, il quale aveva prima senza resistenza recuperato il Polesine di
Rovigo, con Ciattiglione e con le lancie franzesi, riprese senza ostacolo il
Finale; e dipoi entrato nella terra di Cento, occupata prima dal pontefice, per
la rocca la quale si teneva per lui, la saccheggiò e abbruciò, e si preparava
per andare a unirsi con Ciamonte: per il quale timore le genti della Chiesa si
ritirorno in Modona, avendo messo una parte delle fanterie nel borgo che è
volto alla montagna. Ma essendo il duca appena mosso, fu necessitato di
fermarsi a difendere le cose proprie; perché le genti viniziane, in numero di
trecento uomini d'arme molti cavalli leggieri e quattromila fanti, erano venute
per acquistare il passo del Po e dipoi unirsi colle genti del pontefice, a
campo a Ficheruolo, castello in sul Po, piccolo e debole ma celebrato molto
nella guerra che ebbeno i viniziani con Ercole duca di Ferrara, per la lunga
oppugnazione di Ruberto da San Severino e per la difesa di Federigo duca di
Urbino, capitani famosissimi di quella età. Ottennonlo i viniziani per accordo
avendolo prima battuto con l'artiglierie, e dipoi presono la terra della
Stellata che è in su la riva opposita; e avendo libero il passo del Po, non
mancava a passare altro che gittare il ponte. Il quale Alfonso, che dopo la
perdita della Stellata si era con lo esercito ridotto al Bondino, impediva si
gittasse, con artiglierie piantate in su una punta donde facilmente si batteva
quel luogo; e scorreva oltre a questo il fiume del Po con due galee. Le quali
presto si ritirorono, perché l'armata viniziana, impedita da principio di
entrare nel Po perché le bocche del fiume erano guardate per ordine del duca,
venuta per l'Adice contr'acqua vi entrò: in modo che dalle due armate de'
viniziani era infestato gravemente il paese di Ferrara. Ma cessò presto questa
molestia, perché il duca uscito di Ferrara assaltò quella che, entrata per
Primaro, si era condotta a Adria con due galee due fuste e molte barche minori;
e rottala senza difficoltà si voltò a quella che non avendo se non fuste e
legni minori, entrata per le Fornaci, era venuta alla Pulisella. La quale,
volendo per uno rivo vicino ridursi nello Adice, fu impedita di entrarvi per la
bassezza dell'acque; donde assaltata e battuta dall'artiglierie degli inimici,
la gente che vi era non potendo difenderla l'abbandonò, attendendo a salvare sé
e l'artiglierie.
In questi
movimenti dell'armi temporali cominciavano a risentirsi da ogni parte l'armi
spirituali. Perché il pontefice avea sottoposti publicamente alle censure
Alfonso da Esti e insieme tutti quegli che si erano mossi o moveano in aiuto
suo, e nominatamente Ciamonte e tutti i principali dell'esercito franzese: e in
Francia la congregazione de' prelati, trasferita da Orliens a Torsi, aveva,
benché più per non si opporre alla volontà del re, che molte volte intervenne
con loro, che per propria volontà o giudicio, consentito a molti articoli
proposti contro al pontefice; modificato solamente che, innanzi se gli levasse
la obbedienza, si mandassino oratori a fargli noti gli articoli che aveva
determinati il clero gallicano e ad ammunirlo che in futuro gli osservasse, e
che in caso che dipoi contravenisse fusse citato al concilio; al quale si
facesse instanza con gli altri prìncipi che concorressino tutte le nazioni de'
cristiani. Concesseno ancora al re facoltà di fare grande imposizione di danari
sopra le chiese di Francia; e poco poi, in una altra sessione che fu tenuta il
vigesimo settimo dì di settembre, intimorono il concilio per al principio di
marzo prossimo a Lione: nel qual dì entrò in Torsi il vescovo di Gursia,
ricevuto con sì raro ed eccessivo onore che apparì quanto la sua venuta fusse
stata lungamente desiderata e aspettata. Scoprivasi ancora già la divisione de'
cardinali contro al pontefice. Perché i cardinali di Santa Croce e di Cosenza
spagnuoli, e i cardinali di Baiosa e San Malò franzesi, e Federigo cardinale di
Sanseverino, lasciato il pontefice che per la via di Romagna andò a Bologna,
visitando per il cammino il tempio di Santa Maria dell'Oreto nobilissimo per
infiniti miracoli, andorono con sua licenza per la Toscana; ma condotti a
Firenze e ottenuto salvocondotto da' fiorentini, non per alcuno tempo
determinato ma per insino a tanto che lo revocassino e quindici dì dappoi che
la revocazione fusse intimata, soprasedevano con varie scuse lo andare più
innanzi: del soprastare de' quali insospettito il pontefice, dopo molte
instanze fatte che andassino a Bologna, scrisse uno breve al cardinale di San
Malò e a quello di Baiosa e al cardinale di Sanseverino che sotto pena della
sua indignazione si trasferissino alla corte; e procedendo con più mansuetudine
col cardinale di Cosenza e col cardinale di Santa Croce, cardinale chiaro per
nobiltà per lettere e per costumi, e per le legazioni che in nome della sedia
apostolica aveva esercitate, gli confortò con uno breve a fare il medesimo. I
quali, disposti a non ubbidire, avendo invano tentato che i fiorentini
concedessino, non solo a loro ma a tutti i cardinali che vi volessino venire,
salvocondotto fermo per lungo tempo, se ne andorono per la via di Lunigiana a
Milano.
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