XIV. Discussione e deliberazioni de' capitani francesi e del duca di
Ferrara. Parere del Triulzio. Il pontefice consegna Modena al re de' romani.
Morte di Ciamonte e giudizio dell'autore su di lui. Insuccesso de' pontifici.
Eransi le genti
viniziane, non comportando la propinquità degli inimici assaltare Ferrara,
fermate al Bondino, e tra Cento e il Finale l'ecclesiastiche e le spagnuole; le
quali, con tutto che fusse passato il termine de' tre mesi, soprasedevano a'
prieghi del pontefice. Da altra parte Ciamonte, raccolto l'esercito, superiore
agli inimici di fanti, superiore ancora per la virtù degli uomini da cavallo ma
inferiore di numero, consultava quello fusse da fare; e proponevano i capitani
franzesi che, congiunte all'esercito le genti del duca di Ferrara, si andasse a
trovare gli inimici, i quali benché fussino alloggiati in luoghi forti si
doveva sperare con la virtù dell'armi e coll'impeto dell'artiglierie avergli
facilmente a costrignere a ritirarsi; e succeduto questo, non solamente
rimaneva Ferrara liberata da ogni pericolo ma si ricuperava interamente la
riputazione perduta insino a quel dì. Allegavasi, per la medesima opinione, che
nel passare con l'esercito per il mantovano si rimoverebbono le scuse del
marchese, e gli impedimenti da' quali affermava essere stato ritenuto a non
pigliare l'armi come feudatario di Cesare e soldato del re; e che la
dichiarazione sua era molto utile alla sicurtà di Ferrara e molto nociva in
questa guerra agli inimici, perdendone comodità non piccole gli eserciti de'
viniziani di vettovaglie di ponti e di passi di fiumi, e perché il marchese
incontinente rivocherebbe i soldati che aveva nel campo della Chiesa. Ma in
contrario consigliava il Triulzio, il quale ne' dì medesimi che la Mirandola si
perdette era ritornato di Francia; dimostrando essere pericoloso il cercare di
assaltare nella fortezza de' suoi alloggiamenti l'esercito degli inimici,
pernicioso il sottomettersi a necessità di procedere dì per dì secondo i
processi loro. Più utile e più sicuro essere il voltarsi verso Modona o verso
Bologna: perché se gli inimici, temendo di non perdere qualcuna di quelle
città, si movessino, si conseguiterebbe il fine che si cercava, di liberare
Ferrara dalla guerra; non si movendo, si poteva facilmente acquistare o l'una o
l'altra, il che succedendo, maggiore necessità gli tirerebbe a difendere le
cose proprie; e forse che, uscendo di sito sì forte, s'arebbe occasione di
ottenere qualche preclara vittoria. Questa era la sentenza del Triulzo:
nondimeno, per la inclinazione di Ciamonte e degli altri capitani franzesi a
detrarre alla sua autorità, fu approvato l'altro consiglio; affaticandosene
oltre a questo sommamente Alfonso da Esti, perché sperava che gli inimici
sarebbono necessitati a discostarsi dal suo stato, il quale afflitto e
consumato diceva essere impossibile che sostenesse più lungamente sì grave
peso; perché temeva che se i franzesi s'allontanavano non entrassino le genti
inimiche nel Polesine di Ferrara, onde la infermità di quella città, privata di
tutto lo spirito che gli rimaneva, irrimediabilmente s'aggravava.
Andò adunque
l'esercito franzese per il cammino di Lucera e di Gonzaga ad alloggiare a
Razzuolo e alla Moia, ove soggiornò per l'asprezza del tempo tre dì; rifiutando
il consiglio di chi proponeva s'assaltasse la Mirandola, perché era impossibile
alloggiare alla campagna, e alla partita del pontefice erano stati abbruciati i
borghi e tutte le case all'intorno. Non piacque similmente l'assaltare la
Concordia lontana cinque miglia, per non perdere tempo in cosa di piccola
importanza. Però venne a Quistelli, e passato il fiume della Secchia in su uno
ponte fatto colle barche alloggiò il dì prossimo a Revere, in sul fiume del Po:
il quale alloggiamento fu cagione che Andrea Gritti, che, ricuperato prima il
Pulesine di Rovigo e lasciata una parte de' soldati viniziani sotto Bernardino
dal Montone a Montagnana per resistere alle genti che guardavano Verona, si era
con trecento uomini d'arme mille cavalli leggieri e mille fanti accostato al
fiume del Po per andare a unirsi con l'esercito della Chiesa, si ritirò a
Montagnana; avendo prima saccheggiata la terra di Guastalla. Da Revere andorno
i franzesi a Sermidi, distendendosi, ma ordinatamente, per le ville
circostanti: i quali come furono alloggiati, andò Ciamonte con alcuni de'
capitani, ma senza il Triulzo, a [la terra della Stellata], nel quale luogo
l'aspettava Alfonso da Esti, per deliberare con qual modo s'avesse a procedere
contro agli inimici, i quali tutti si erano ridotti ad alloggiare al Finale; e
fu deliberato che, unite le genti d'Alfonso colle franzesi intorno al Bondino,
andassino tutti ad alloggiare in certe ville vicine a tre miglia al Finale, per
procedere dipoi secondo la natura de' luoghi e quel che facessino gl'inimici.
Ma a Ciamonte, come fu tornato a Sermidi, fu detto essere molto difficile il
condursi a quello alloggiamento, perché per l'impedimento dell'acque, delle
quali era pieno il paese intorno al Finale, non si poteva andarvi se non per la
strada e per gli argini del canale, il quale gli inimici aveano tagliato in più
luoghi e messevi le guardie per impedire non si passasse; il che pareva dovesse
riuscire molto difficile, aggiunta l'opposizione loro a' tempi tanto sinistri:
onde stando Ciamonte molto dubbio, Alfonso, avendo appresso a sé alcuni
ingegneri e uomini periti del paese, e dimostrando il sito e la disposizione
de' luoghi, si ingegnava di persuadere il contrario; affermando che con la
forza dell'artiglierie sarebbeno costretti quegli che guardavano i passi
tagliati ad abbandonargli, e che perciò sarebbe molto facile gittare, ove fusse
necessario, i ponti per passare. Le quali cose essendo referite da Ciamonte e
disputate nel consiglio, era approvato il parere di Alfonso, più tosto non
impugnando che consentendo il Triulzio: e forse che la taciturnità sua mosse
più gli uomini che non arebbe fatto la contradizione. Perché considerandosi più
dappresso che le difficoltà si dimostravano maggiori, e che quel capitano,
vecchio e di sì lunga esperienza, aveva sempre riprovata tale andata, e che se
ne intervenisse alcuno sinistro sarebbe imputato dal re chi contro al parere
suo ne fusse stato autore, Ciamonte, richiamato l'altro dì sopra la medesima
deliberazione il consiglio, pregò efficacemente il Triulzio che non con
silenzio, come aveva fatto il dì precedente, ma con aperto parlare esprimesse
la sua sentenza. Egli incitato da questa instanza, e molto più dall'essere
deliberazione di tanto peso, stando tutti attentissimi a udirlo, parlò così:
- Io tacetti
ieri perché per esperienza molte volte ho veduto essere tenuto piccolo conto
del consiglio mio, il quale se si fusse seguitato da principio non saremmo al
presente in questi luoghi, né aremmo perduto invano tanti giorni che si
potevano spendere con più profitto; e sarei oggi nella medesima sentenza di
tacere se non mi spronasse la importanza della cosa, perché siamo in procinto
di volere mettere sotto il punto incertissimo di uno dado questo esercito, lo
stato del duca di Ferrara e il ducato di Milano, posta troppo grande senza
ritenersi niente in mano: e mi invita oltre a questo a parlare il parermi
comprendere che Ciamonte desideri che il primo a consigliare sia io quello che
già comincia a andare a lui per l'animo, cosa che non mi è nuova, perché altre
volte ho compreso essere manco disprezzati i consigli miei quando si tratta di
ritirare qualche cosa forse non troppo maturamente deliberata che quando si
fanno le prime deliberazioni. Noi trattiamo di andare a combattere con gli
inimici; e io ho sempre veduto essere fondamento immobile de' grandi capitani,
il quale io medesimamente ho con l'esperienza imparato, che mai debbe tentare
la fortuna della battaglia chi non è invitato da molto vantaggio o stretto da
urgente necessità; oltre che è secondo la ragione della guerra che agli inimici
che sono gli attori, poiché si muovono per acquistare Ferrara, tocchi il
cercare di assaltare noi, e non che a noi, a' quali basta il difendersi, tocchi
contro a tutte le regole della disciplina militare sforzarci d'assaltare loro.
Ma vediamo quale sia il vantaggio o la necessità che ci induce. A me pare ed è,
se io non mi inganno del tutto, cosa molto evidente che non si possa tentare
quel che propone il duca di Ferrara se non con grandissimo disavvantaggio
nostro; perché non possiamo andare a quello alloggiamento se non per uno argine
e per una stretta e pessima strada, dove non si possono spiegare tutte le forze
nostre, e dove loro possono con poche forze resistere a numero molto maggiore.
Bisognerà che per l'argine camminiamo cavallo per cavallo, che per la
strettezza dell'argine conduciamo l'artiglierie i carriaggi le carra e i ponti:
e chi non sa che, nel cammino stretto e cattivo, ogni artiglieria ogni carro
che inciampi fermerà almanco per una ora tutto l'esercito? e che, essendo
inviluppati in tante incomodità, ogni mediocre sinistro potrà facilmente
disordinarci? Alloggiano i nimici al coperto, provisti di vettovaglie e di
strami; noi alloggieremo quasi tutti allo scoperto e ci bisognerà portarci
dietro gli strami, né potremo se non con gran fatica condurne la metà del
bisogno. Non abbiamo a rapportarci a quel che dichino gl'ingegneri e i villani
pratichi del paese, perché le guerre si fanno con le armi de' soldati e col
consiglio de' capitani; fannosi combattendo in su la campagna, non co' disegni
che dagli uomini imperiti della guerra si notano in su le carte, o si dipingono
col dito o con una bacchetta nella polvere. Non mi presuppongo io i nimici sì deboli,
non le cose loro in tale disordine, né che abbino nello alloggiarsi e nel
fortificarsi saputo sì poco valersi dell'opportunità dell'acque e de' siti, che
io mi prometta che subito che saremo giunti nello alloggiamento che si disegna,
quando bene vi ci conducessimo agevolmente, abbia a essere in potestà nostra
l'assaltargli. Potranno molte difficoltà sforzarci a soprasedervi due o tre dì,
e, se non altra difficoltà, le nevi e le pioggie, in sì sinistra e sì rotta
stagione: in che grado saremo delle vettovaglie e degli strami se ci accadrà
soprastarvi? E quando pure fusse in potestà nostra l'assalirgli, chi è quello
che si prometta tanto facile la vittoria? chi è quello che non consideri quanto
sia pericoloso l'andare a trovare gli inimici alloggiati in luogo forte, e
l'avere in uno tempo medesimo a combattere con loro e con le incomodità del
sito del paese? Se non gli costrigniamo a levarsi subito di quello
alloggiamento saremo necessitati a ritirarci; e questo con quante difficoltà si
farà, per il paese che tutto ci è contrario, e ove diventerebbe grandissimo
ogni piccolissimo disfavore? Meno veggo la necessità di mettere tutto lo stato
del re in questo precipizio; perché ci siamo mossi principalmente non per altro
che per soccorrere la città di Ferrara, nella quale se mettiamo a guardia più
genti, possiamo starne sicurissimi, quando bene noi dissolvessimo l'esercito; e
se si dicesse che è tanto consumata che, rimanendogli addosso l'esercito degli
inimici, è impossibile che in breve tempo non caggia per se stessa, non abbiamo
noi il rimedio della diversione, rimedio potentissimo nelle guerre, con la
quale, senza mettere pure uno cavallo in pericolo, gli necessitiamo ad
allargarsi da Ferrara? Io ho sempre consigliato, e consiglio più che mai, che
noi ci voltiamo o verso Modona o verso Bologna, pigliando il cammino largo e
lasciando Ferrara, per questi pochi dì, che per più non sarà necessario, bene
proveduta. Piacemi ora più l'andare a Modena, alla qual cosa ci stimola il
cardinale da Esti, persona tale, e che afferma avervi dentro intelligenza,
proponendo lo acquisto molto facile: e conquistando uno luogo sì importante,
gli inimici sarebbeno costretti a ritirarsi subito verso Bologna; e quando bene
non si pigliasse Modona, il timore di quella e delle cose di Bologna gli
costrignerà a fare il medesimo; come indubitatamente arebbono fatto, già molti
dì, se da principio si fusse seguitato questo parere. -
Conobbeno tutti
per le efficaci ragioni del savio capitano, quando le difficoltà erano già
presenti, quello che egli, quando erano ancora lontane, aveva conosciuto. Però
approvato da tutti il suo parere, Ciamonte, lasciato al duca di Ferrara per
sicurtà sua maggiore numero di gente, si mosse coll'esercito per il cammino
medesimo verso Carpi; non avendo né anche conseguito che il marchese di Mantova
si dichiarasse, che era stata una delle cagioni allegata principalmente da
coloro che aveano consigliato contro all'opinione del Triulzo. Perché il
marchese, desiderando conservarsi in queste turbolenze neutrale, come
s'approssimava il tempo nel quale aveva data speranza di dichiararsi, pregava
con varie scuse che gli fusse permesso il differire ancora qualche dì: al
pontefice dimostrando il pericolo evidente che gli soprastava dall'esercito
franzese; a Ciamonte supplicando che non gli interrompesse la speranza che
aveva, che 'l papa, in brevissimo spazio di tempo, gli renderebbe il figliuolo.
Ma né anche il disegno di occupare Modona procedette felicemente, facendo
maggiore impedimento l'astuzia e i consigli occulti del re d'Aragona che l'armi
del pontefice. Era stato molesto a Cesare che il pontefice avesse occupato
Modona, città stata riputata lunghissimo tempo di giurisdizione dello imperio,
e tenuta moltissimi anni dalla famiglia da Esti co' privilegi e investiture de'
Cesari; e con tutto che con molte querele avesse fatta instanza che la gli
fusse conceduta, il pontefice, che delle ragioni di quella città o sentiva o
pretendeva altrimenti, era stato da principio renitente, massimamente mentre
sperò dovergli essere facile l'occupare Ferrara. Ma scoprendosi poi
manifestamente in favore da Esti l'armi franzesi, né potendo sostenere Modona
se non con gravi spese, aveva cominciato a gustare il consiglio del re d'Aragona;
il quale lo confortò che, per fuggire tante molestie, mitigare l'animo di
Cesare e tentare di fare nascere alterazione tra il re di Francia e lui, lo
consentisse, atteso massimamente che quando in tempo più comodo desiderasse di
riaverla gli sarebbe sempre facile, dando a Cesare quantità mediocre di danari:
il quale ragionamento era stato prolungato molti dì, perché secondo la
variazione delle speranze si variava la deliberazione del pontefice; ma sempre
era stata ferma questa difficoltà, che Cesare ricusava riceverla se
nell'instrumento della consegnazione non s'esprimeva chiaramente quella città
essere appartenente all'imperio, il che al pontefice pareva durissimo
consentire. Ma come, occupata che ebbe la Mirandola, vedde Ciamonte uscito
potente alla campagna, e che a lui ritornavano le medesime difficoltà e spese
della difesa di Modona, omessa la disputazione delle parole, consentì che nello
instrumento si dicesse, restituirsi Modona a Cesare della cui giuridizione era:
la possessione della quale come Vitfrust, oratore di Cesare appresso al papa,
ebbe ricevuta, persuadendosi dovere essere sicura per l'autorità cesarea,
licenziò Marcantonio Colonna e le genti con le quali l'avea prima guardata in
nome della Chiesa: e a Ciamonte significò, Modona non appartenere più al
pontefice ma essere giustamente ritornata sotto il dominio di Cesare. Non
credette Ciamonte questo essere vero, e però stimolava il cardinale da Esti
all'esecuzione del trattato che diceva avere in quella città: per ordine del
quale, i soldati franzesi che Ciamonte aveva lasciati alla guardia di Rubiera,
essendosi una notte accostati più tacitamente potettono a uno miglio appresso a
Modona, si ritirorno la notte medesima a Rubiera, non corrispondendo gli ordini
dati da quegli di dentro, o per qualche difficoltà sopravenuta o perché i
franzesi si fussino mossi innanzi al tempo. Uscirono dipoi un'altra notte di
Rubiera per accostarsi pure a Modona, ma dalla grossezza e furore dell'acque
furno impediti di passare il fiume della Secchia che corre innanzi a Rubiera.
Dalle quali cose insospettito Vitfrust, avendo fatti incarcerare alcuni
modonesi, incolpati che macchinassino col cardinale da Esti, impetrò dal
pontefice che Marcantonio Colonna col medesimo presidio vi ritornasse; il che
non arebbe ritenuto Ciamonte, che già era venuto a Carpi, di andarvi a campo,
se la qualità del tempo non gli avesse impedito il condurre l'artiglierie, per
quella via, non più lunga di dieci miglia, che è tra Ruolo e Carpi, la quale è
peggiore di tutte le strade di Lombardia; le quali, la invernata, sfondate
dall'acque e piene di fanghi, sono pessime. Certificossi oltre a questo ogni dì
più Ciamonte, Modona essere stata data veramente a Cesare; perciò convenne con
Vitfrust di non offendere Modona né 'l suo contado, ricevuta all'incontro
promessa da lui che ne' movimenti tra 'l pontefice e il re cristianissimo non
favorisse né l'una né l'altra parte.
Sopravenne
pochi dì poi infermità grave a Ciamonte, il quale portato a Coreggio finì dopo
quindici giorni l'ultimo dì della vita sua; avendo innanzi morisse dimostrato
con divozione grande di pentirsi sommamente dell'offese fatte alla Chiesa, e
supplicato per instrumento publico al pontefice che gli concedesse
l'assoluzione: la quale, conceduta che ancora viveva, non potette, sopravenendo
la morte, pervenire alla sua notizia. Capitano, mentre visse, di grande
autorità in Italia, per la potenza somma del cardinale di Roano e per
l'amministrazione quasi assoluta del ducato di Milano e di tutti gli eserciti del
re, ma di valore inferiore molto a tanto peso: perché, costituito nel grado
infimo degli uomini non sapeva da se stesso l'arti della guerra né prestava
fede a quegli che le sapevano. Di maniera che, non essendo dopo la morte del
zio sostentata più la insufficienza dal favore, era negli ultimi tempi venuto
quasi in dispregio de' soldati; a' quali perché non rapportassino male dì lui
al re, permetteva grandissima licenza: in modo che 'l Triulzo, capitano nutrito
nella antica disciplina, affermava spesso con sacramento, non volere mai più
andare negli eserciti franzesi se non vi fusse o il re proprio o egli superiore
a tutti. Aveva nondimeno il re destinato, prima, di dargli successore...
monsignore di Lungavilla, benché illegittimo, del sangue regio; non seguitando
tanto la virtù quanto, per la nobiltà e per le ricchezze, l'autorità e
l'estimazione della persona.
Per la morte di
Ciamonte ricadde, secondo gli instituti di Francia, insino a nuova ordinazione
del re, il governo dell'esercito a Gianiacopo da Triulzi, uno de' quattro
mariscialli di quel reame; il quale, non sapendo se in lui avesse a continuare
o no, non ardiva di tentare cosa alcuna di momento. Ritornò nondimeno
coll'esercito a Sermidi, per andare a soccorrere la bastia del Genivolo; la
quale il pontefice molestava colle genti che erano in Romagna, avendo
similmente procurato che nel tempo medesimo vi si appressasse l'armata de'
viniziani di tredici galee sottili e molti legni minori. Ma non fu necessitato
a procedere più oltre, perché, mentre che le genti di terra vi stanno intorno
con piccola ubbidienza e ordine, ecco che all'improviso sopravengono il duca di
Ferrara e Ciattiglione coi soldati franzesi; i quali, usciti da Ferrara con
maggiore numero di genti che non aveano gli inimici, i fanti per il Po alla
seconda, i capitani co' cavalli camminando per terra in sulla riva del Po,
arrivorno in sul fiume del Santerno, in sul quale gittato il ponte che aveano
condotto seco furono in un momento addosso agl'inimici: i quali disordinati,
non facendo resistenza alcuna altri che trecento fanti spagnuoli deputati a
guardare l'artiglierie, si messono in fuga: salvandosi con difficoltà Guido
Vaina, Brunoro da Furlì e Meleagro suo fratello, condottieri di cavalli,
perdute l'insegne e l'artiglierie. Per il che l'armata viniziana, discostatasi
per fuggire il pericolo, s'allargò nel Po.
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