XVII. I francesi, occupata Concordia, si portano vicino a Bologna. Il
pontefice abbandona Bologna per Ravenna. Eccitazione degli animi in Bologna. Il
legato del papa abbandona la città, ove vengono chiamati i Bentivoglio.
Ritirata e perdite degli eserciti ecclesiastico e veneziano. I francesi in
attesa di istruzioni del re. Consegna della fortezza di Bologna ai cittadini;
terre ricuperate dal duca di Ferrara.
Per la partita
di Gurgense, perturbate le speranze della pace, ancora che il pontefice gli
avesse quattro dì poi mandato dietro il vescovo di Moravia, oratore appresso a
sé del re di Scozia, per trattare della pace col re di Francia, si rimossono le
cagioni che aveano ritardato Gianiacopo da Triulzi; il quale ardeva di onesta
ambizione di fare qualche opera degna della virtù e antica gloria sua, e donde
al re si dimostrasse con quanto danno proprio si commetta il governo delle
guerre (cosa tra tutte l'azioni umane la più ardua e la più difficile, e che
ricerca maggiore prudenza ed esperienza) non a capitani veterani ma a giovani inesperti,
e della virtù de' quali niuna altra cosa fa testimonianza che il favore. Però,
continuando nelle prime deliberazioni, ancora che non fussino arrivati i fanti
grigioni, perché il generale di Normandia dal quale dipendevano l'espedizioni,
sperando nella pace e cercando di farsi più grato al re con la parsimonia dello
spendere, aveva differito il mandare a soldargli, pose al principio del mese di
maggio, con mille dugento lancie e settemila fanti, il campo alla Concordia; la
quale ottenne il dì medesimo, perché avendo gli uomini della terra, impauriti
perché aveano già cominciato a tirare l'artiglierie, mandato imbasciadori a lui
per arrendersi, ed essendo perciò allentata la diligenza delle guardie, i fanti
dell'esercito saltati dentro la saccheggiorno. Presa la Concordia, per non dare
occasione agli emuli suoi di calunniarlo che attendesse più alla utilità
propria che a quella del re, lasciata indietro la Mirandola si dirizzò verso
Buonporto, villa posta in sul fiume del Panaro, per accostarsi tanto agli
inimici che con l'impedire loro le vettovaglie gli costrignesse a diloggiare, o
a combattere fuora della fortezza del loro alloggiamento. Entrato nel contado
di Modena e alloggiato alla villa del Cavezzo, inteso che a Massa presso al
Finale alloggiava Giampaolo, Manfrone con trecento cavalli leggieri de'
viniziani, mandò là Gastone di Fois con trecento fanti e cinquecento cavalli;
contro a' quali Giampaolo, sentito il romore, si messe sopra uno ponte in
battaglia: ma non corrispondendo la virtù de' suoi all'ardire e animosità sua,
abbandonato da loro, restò con pochi compagni prigione. Accostossi poi
l'esercito a Buonporto, avendo in animo il Triulzio gittare il ponte dove il
canale, derivato di sopra a Modona dal fiume del Panaro, si unisce col fiume. Ma
già l'esercito inimico, per impedirgli il passo del fiume, era venuto ad
alloggiare in luogo tanto vicino che si offendevano con l'artiglierie: da uno
colpo delle quali fu ammazzato, passeggiando lungo l'argine del fiume, il
capitano Perault spagnuolo, soldato dello esercito ecclesiastico. Sono in
quello luogo le ripe del fiume altissime, e perciò era agli inimici facilissimo
lo impedirlo; onde il Triulzio, preso nuovo consiglio, gittò il ponte più alto,
uno miglio solamente sopra al canale. Passato il canale si dirizzò verso
Modena, camminando lungo lo argine del Panaro, cercando luogo dove fusse più
facile il gittare il ponte; e avendo sempre vista de' cavalli e de' fanti degli
inimici, i quali erano alloggiati vicini a Castelfranco in su la strada Romea,
ma in uno alloggiamento cinto da argini e da acque, entrò in su la medesima
strada al ponte di Fossalta presso a due miglia a Modena; e piegatosi a mano
destra verso la montagna, passò senza contrasto il Panaro a guazzo, che in quel
luogo ha il letto largo e senza ripa: il quale passato, alloggiò nel luogo dove
si dice la Ghiara di Panaro, distante tre miglia dallo esercito ecclesiastico.
Camminò il dì seguente verso Piumaccio, accomodato di vettovaglie, con
consentimento di Vitfrust, da' Modonesi; e nel medesimo dì l'esercito
ecclesiastico, non avendo ardire di opporsi alla campagna, e giudicando essere
necessario l'accostarsi a Bologna perché in quella città non si facesse
movimento, atteso che i Bentivogli seguitavano l'esercito franzese, andò ad alloggiare
al ponte a Casalecchio tre miglia di sopra a Bologna, in quel luogo medesimo
nel quale, nell'età de' proavi nostri, Giovan Galeazzo Visconte potentissimo
duca di Milano, superiore molto di forze agli inimici, ottenne contro a'
fiorentini bolognesi e altri confederati una grandissima vittoria; ma
alloggiamento di sito molto sicuro tra 'l fiume del Reno e il canale, e che ha
la montagna alle spalle, e per il quale si impedisce che Bologna non sia
privata della comodità del canale che, derivato dal fiume, passa per quella
città. Arrendessi il dì seguente al Triulzio Castelfranco. Il quale, soprastato
tre dì nello alloggiamento di Piumaccio, per le pioggie e per ordinarsi delle
vettovaglie delle quali non aveano molta copia, venne ad alloggiare in su la strada
maestra tra la Samoggia e Castelfranco; nel quale luogo stette sospeso quello
avesse a fare, per molte difficoltà le quali in qualunque deliberazione se gli
rappresentavano: perché conosceva essere vano l'assaltare Bologna se dentro il
popolo non tumultuava, e accostandosi in sulle speranze de' moti popolari
dubitava non essere costretto a ritirarsi presto, come avea fatto Ciamonte, con
la reputazione diminuita; più imprudente e pericoloso andare a combattere cogli
inimici, fermatisi in alloggiamento tanto forte; l'accostarsi a Bologna dalla
parte di sotto non avere altra speranza se non che gli inimici, per timore che
e' non assaltasse la Romagna, forse si moverebbono, onde potersi dare occasione
o a lui di combattere o a' bolognesi di fare tumulto. Pure alla fine,
deliberando di tentare se alcuna cosa partorisse o la disposizione universale
della città o le intelligenze particolari de' Bentivogli, condusse l'esercito
(l'avanguardia del quale guidava Teodoro da Triulzio, la battaglia egli, e il
retroguardo Gastone di Fois) ad alloggiare al ponte a Lavino, luogo in su la
strada maestra distante cinque miglia da Bologna, e famoso per la memoria dello
abboccamento di Lepido, Marcantonio e Ottaviano, i quali quivi (così affermano
gli scrittori), sotto nome del triumvirato, stabilirono la tirannide di Roma e
quella non mai abbastanza detestata proscrizione.
Non era in
questo tempo più il pontefice in Bologna: il quale, dopo la partita di
Gurgense, quando dimostrando superchia audacia quando timore, come intese
essersi mosso il Triulzio, con tutto che non vi fussino più le lancie
spagnuole, si partì da Bologna per andare all'esercito, a fine di indurre con
la presenza sua i capitani a combattere con gli inimici; alla qual cosa non gli
aveva potuti disporre né con lettere né con imbasciate. Partì con intenzione di
alloggiare il primo dì a Cento; ma fu necessitato alloggiare nella terra della
Pieve, perché mille fanti de' suoi entrati in Cento non volevano partirsene se
prima non ricevevano lo stipendio: dalla qual cosa forse stomacato, o
considerando più da presso il pericolo, mutata sentenza, ritornò il dì seguente
in Bologna. Ove crescendogli, per l'approssimarsi del Triulzio, il timore,
deliberato di andarsene a Ravenna, chiamato a sé il magistrato de' quaranta,
ricordò loro che, per beneficio della sedia apostolica e per opera e fatica
sua, usciti dal giogo di una acerbissima tirannide, avevano conseguita la
libertà, ottenuto molte esenzioni, ricevute da sé in publico e in privato
grandissime grazie ed essere per conseguirne ogni dì più; per le quali cose,
dove prima, oppressi da dura servitù e vilipesi e conculcati da' tiranni, non
erano negli altri luoghi di Italia in considerazione alcuna, ora esaltati di
onori e di ricchezze, e piena di artifici e mercatanzie la città, e sollevati
alcuni di loro ad amplissime dignità, erano in pregio e in estimazione per
tutto; liberi di se medesimi, padroni interamente di Bologna e di tutto il suo
contado, perché loro erano i magistrati, loro gli onori, tra essi e nella loro
città si distribuivano le entrate publiche, non avendo la Chiesa quasi altro
che il nome e tenendovi solo per segno della superiorità uno legato o
governatore, il quale senza essi non poteva deliberare delle cose importanti, e
di quelle che pure erano rimesse ad arbitrio suo si referiva assai a' loro
pareri e alle loro volontà: e che se per questi benefici, e per il felice stato
che avevano, erano disposti a difendere la propria libertà, sarebbono da lui
non altrimenti aiutati e difesi che sarebbe in caso simile aiutata e difesa
Roma. Necessitarlo la gravità delle cose occorrenti a andare a Ravenna, ma non
per questo essersi dimenticato o per dimenticarsi la salute di Bologna; per la
quale avere ordinato che le genti viniziane, che con Andrea Gritti erano di là
dal Po e per questo gittavano il ponte a Sermidi, andassino a unirsi con
l'esercito suo. Essere sufficientissimi questi provedimenti a difendergli; ma
non quietarsi l'animo suo se anche non gli liberava dalla molestia della guerra:
e perciò, per necessitare i franzesi a tornare a difendere le cose proprie,
erano già preparati diecimila svizzeri per scendere nello stato di Milano; i
quali perché si movessino subitamente erano stati mandati da lui a Vinegia
ventimila ducati, e ventimila altri averne ordinati i viniziani. E nondimeno,
quando a loro fusse più grato tornare sotto la servitù de' Bentivogli che di
godere la dolcezza della libertà ecclesiastica, pregargli che gli aprissino
liberamente la loro intenzione, perché sarebbe seguitata da lui; ma ricordare
bene che, quando si risolvessino a difendersi, era venuto il tempo opportuno a
dimostrare la loro generosità e obligarsi in eterno la sedia apostolica, sé e
tutti i pontefici futuri. Alla quale proposta, fatta secondo il costume suo con
maggiore efficacia che eloquenza, poiché ebbono consultato tra loro medesimi,
rispose in nome di tutti con la magniloquenza bolognese il priore del
reggimento, magnificando la fede loro, la gratitudine de' benefici ricevuti, la
divozione infinita al nome suo; conoscere il felice stato che avevano e quanto
per la cacciata de' tiranni fussino amplificate le ricchezze e lo splendore di
quella città, e dove prima avevano la vita e le facoltà sottoposte allo
arbitrio d'altri ora sicuri da ciascuno godere quietamente la patria, partecipi
del governo partecipi dell'entrate, né essere alcuno di loro che privatamente
non avesse ricevuto da lui molte grazie e onori; vedere nella città loro
rinnovata la degnità del cardinalato, vedere nelle persone de' suoi cittadini
molte prelature molti uffici de' principali della corte romana: per le quali
grazie innumerabili e singolarissimi benefici, essere disposti prima consumare
tutte le facoltà, prima mettere in pericolo l'onore e la salute delle moglie e
de' figliuoli, prima perdere la vita propria che partirsi dalla divozione sua e
della sedia apostolica. Andasse pure lieto e felice senza timore o scrupolo
alcuno delle cose di Bologna, perché prima intenderebbe essere corso il canale
tutto di sangue del popolo bolognese che quella città chiamare altro nome o
ubbidire altro signore che papa Giulio. Detteno queste parole maggiore speranza
che non conveniva al pontefice: il quale, lasciatovi il cardinale di Pavia, se
ne andò a Ravenna, non per il cammino diritto (con tutto che accompagnato dalle
lancie spagnuole che se ne tornavano a Napoli) ma pigliando, per paura del duca
di Ferrara, la strada più lunga di Furlì.
Venuto il
Triulzio al ponte a Lavino, si dimostrava grandissima sollevazione nella città
di Bologna, empiendosi gli animi degli uomini di molti e diversi pensieri.
Perché molti, assuefatti al vivere licenzioso della tirannide e a essere
sostentati con la roba e co' danari d'altri, avendo in odio lo stato
ecclesiastico, desideravano ardentemente il ritorno de' Bentivogli; altri, per
i danni ricevuti e che temevano di ricevere vedendo condotti in su le loro
possessioni e nel tempo propinquo alle ricolte due tali eserciti, ridotti in
grave disperazione, desideravano ogni cosa che fusse per liberargli da questi
mali; altri, sospettando che per qualche tumulto che nascesse nella città o per
i prosperi successi de' franzesi (la memoria dello impeto de' quali, quando
vennono sotto Ciamonte la prima volta a Bologna, era ancor loro innanzi agli
occhi) non andasse la città a sacco, proponevano la liberazione da questo
pericolo a qualunque governo o dominio potessino avere; pochi, dimostratisi
prima inimici de' Bentivogli, favorivano ma quasi più con la volontà che con le
opere il dominio della Chiesa: ed essendo tutto il popolo, chi per desiderio di
cose nuove chi per sicurtà e salute sua, messosi in su l'arme ogni cosa era
piena di timore e di spavento; né nel cardinale di Pavia legato di Bologna era
animo o consiglio bastante a tanto pericolo. Perché non avendo in quella città,
sì grande e sì popolosa, più che dugento cavalli leggieri e mille fanti, e
perseverando più che mai nella discordia col duca d'Urbino che era con
l'esercito a Casalecchio, aveva, menato o dal caso o dal fato, soldati, del
numero de' cittadini, quindici capitani; a' quali, insieme con le compagnie
loro e col popolo, aveva dato cura della guardia della terra e delle porte: de'
quali, non avendo egli avuto prudenza nello eleggergli, era la maggiore parte
di quegli che erano affezionati a' Bentivogli; e tra questi Lorenzo degli
Ariosti, il quale prima incarcerato e tormentato in Roma, per sospetto che
avesse congiurato co' Bentivogli, era poi stato lungamente guardato in Castel
Santo Agnolo. I quali come ebbeno l'armi in mano, cominciando a fare occulti
ragionamenti e conventicole, e seminando nel popolo scandalose novelle,
cominciò il legato ad accorgersi tardi della propria imprudenza; e per fuggire
il pericolo nel quale da se medesimo si era posto, fatta finzione che così
ricercasse il duca d'Urbino e gli altri capitani, volle che andassino con le
compagnie loro nello esercito: ma rispondendo essi non volere abbandonare la
guardia della terra, tentò di mettere dentro con mille fanti Ramazzotto, ma gli
fu dal popolo vietato l'entrarvi. Onde ìnvilito maravigliosamente il cardinale,
e ricordandosi essere in sommo odio del popolo il governo suo, e avere nella
nobiltà molti inimici, perché non molto innanzi aveva (benché, secondo disse,
per comandamento del pontefice) fatto, procedendo con la mano regia, decapitare
tre onorati cittadini come fu notte, uscito occultamente in abito incognito per
uno uscio segreto del palazzo, si ritirò nella cittadella: e con tanta
precipitazione che si dimenticasse di portarne le sue gioie e i suoi danari: le
quali cose avendo poi subitamente mandato a pigliare, come l'ebbe ricevute, se
ne andò per la porta del soccorso verso Imola, accompagnato con cento cavalli
da Guido Vaina marito della sorella, capitano de' cavalli deputati alla sua
guardia; e poco dopo lui uscì della cittadella Ottaviano Fregoso, non con altra
compagnia che di una guida. Intesa la fuga del legato, si cominciò per tutta la
città a chiamare con tumulti grandissimi il nome del popolo: la quale occasione
non volendo perdere Lorenzo degli Ariosti e Francesco Rinucci, anche egli uno
del numero de' quindici capitani e seguace de' Bentivogli, seguitandogli molti
della medesima fazione, corsi alle porte che si chiamano di San Felice e delle
Lame, più comode al campo de' franzesi, le roppono con l'accette, e occupatele
mandorno senza indugio a chiamare i Bentivogli; i quali, avuti dal Triulzio
molti cavalli franzesi, per fuggire il cammino diritto del Ponte a Reno, alla
cui custodia era Raffaello de' Pazzi uno de' condottieri ecclesiastici, passato
il fiume, più basso, e accostatisi alla porta delle Lame, furno subitamente
introdotti.
Alla ribellione
di Bologna fu congiunta la fuga dello esercito: perché, alla terza ora della
notte il duca d'Urbino, le genti del quale dal ponte da Casalecchio si
distendevano insino alla porta detta di Siragosa, avendo, come si crede, intesa
la fuga del legato e il movimento del popolo, si levò tumultuosamente,
lasciando la più parte de' padiglioni distesi, con quasi tutto l'esercito;
eccetto quegli che deputati alla guardia del campo erano dalla parte del fiume
verso i franzesi, a' quali non dette avviso alcuno della partita. Ma sentita la
mossa sua i Bentivogli, che erano già dentro, avvisatone subitamente il
Triulzio, mandorono fuora della terra parte del popolo a danneggiargli; da'
quali, e da' villani che già calavano da ogni parte, con smisurati gridi e
romori assaltato il campo che passava lungo le mura, furono tolte loro
l'artiglierie e le munizioni con quantità grande di carriaggi; benché
sopravenendo i franzesi, tolseno al popolo e a' villani delle cose guadagnate
la maggiore parte. E già era arrivato al Ponte a Reno con la vanguardia Teodoro
da Triulzi; dove Raffaello de' Pazzi combattendo valorosamente gli sostenne per
alquanto spazio di tempo, ma non potendo finalmente resistere al numero tanto
maggiore rimase prigione: avendo, come confessava ciascuno, con la resistenza
sua dato comodità non piccola a' soldati della Chiesa di salvarsi. Ma le genti
de viniziani e con loro Ramazzotto, che alloggiava in sul monte più eminente di
Santo Luca, non avendo se non tardi avuta notizia della fuga del duca d'Urbino,
preseno per salvarsi la via de' monti; per la quale, ancora che ricevessino
danno gravissimo, si condussono in Romagna. Furono in questa vittoria, acquistata
senza combattere, tolti quindici pezzi d'artiglieria grossa e molti minori tra
del pontefice e de' viniziani, lo stendardo del duca proprio con più altre
bandiere, grande parte de' carriaggi degli ecclesiastici e quasi tutti quegli
de' viniziani; svaligiati qualcuno degli uomini d'arme della Chiesa, ma de'
viniziani più di cento cinquanta, e dell'uno e dell'altro esercito dissipati
quasi tutti i fanti; preso Orsino da Mugnano Giulio Manfrone e molti
condottieri di minore condizione. In Bologna non furno commessi omicidi, né
fatta violenza ad alcuno né della nobiltà né del popolo; solamente fatti
prigioni il vescovo di Chiusi e molti altri prelati, secretari e altri
officiali che assistevano al cardinale, rimasti nel palagio della residenza del
legato, perché a tutti aveva celata la sua partita. Insultò il popolo
bolognese, la notte medesima e il dì seguente, a una statua di bronzo del
pontefice, tirandola per la piazza con molti scherni e derisioni: o perché ne
fussino autori i satelliti de' Bentivogli o pure perché il popolo, infastidito
da' travagli e danni della guerra (come è per sua natura ingrato e cupido di
cose nuove), avesse in odio il nome e la memoria di chi era stato cagione della
liberazione e della felicità della loro patria.
Soprastette il
dì seguente, che fu il vigesimo secondo di maggio, il Triulzio nel medesimo
alloggiamento; e l'altro dì lasciatasi indietro Bologna andò in su il fiume
dello Idice, e poi si fermò a Castel San Piero, terra posta in sull'estremità
del territorio bolognese, per aspettare, innanzi passasse più oltre, quale
fusse la intenzione del re di Francia, o di procedere avanti contro allo stato
del pontefice o se pure, bastandogli avere assicurato Ferrara e levato alla
Chiesa Bologna che per opera sua aveva acquistata, volesse fermare il corso
della vittoria. Però avendogli Giovanni da Sassatello condottiere del
pontefice, e che cacciata di Imola la parte ghibellina quasi dominava come capo
de' guelfi quella città, offerto occultamente di dargli Imola, non volle insino
alla risposta del re accettarla.
Restava la
cittadella di Bologna nella quale era il vescovo Vitello, cittadella ampia e
forte ma proveduta secondo l'uso delle fortezze della Chiesa, perché vi erano
pochi fanti poche vettovaglie e quasi niuna munizione. Nella quale, udito il
caso di Bologna, era venuto la notte da Modona Vitfrust a persuadere al vescovo
con promesse grandi che la desse a Cesare; ma il vescovo, pattuito il quinto dì
co' bolognesi che fussino salve le persone e la roba di quegli che vi erano, e
ricevuta obligazione che a lui in certo tempo fussino pagati tremila ducati, la
dette loro: la quale avuta corsono subito popolarmente a rovinarla,
incitandogli al medesimo i Bentivogli, non tanto per farsi benevoli i cittadini
quanto per sospetto che il re di Francia non la volesse in potestà sua, come
era stato già parere di qualcuno de' capitani di domandarla; ma il Triulzio,
giudicando essere alieno dalla utilità del re il credersi che egli volesse insignorirsi
di Bologna, l'aveva contradetto.
Ricuperò con
l'occasione di questa vittoria il duca di Ferrara, oltre a Cento e la Pieve,
Cutignuola, Lugo e l'altre terre di Romagna; e nel tempo medesimo cacciò
Alberto Pio di Carpi, il [quale] lo possedeva con lui comunemente.
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