XVIII. Il pontefice per timore de' nemici vincitori avanza richieste di
pace. Il duca d'Urbino uccide il cardinale legato. Viene indetto il concilio di
Pisa. Ragioni della scelta di Pisa. Concessione de' fiorentini. Giudizi di
fautori e di avversari del concilio.
Ricevette della
perdita di Bologna grandissima molestia, come era conveniente, il pontefice;
affliggendolo non solamente l'essere alienata da sé la principale e più importante
città, eccettuata Roma, di tutto lo stato ecclesiastico, e il parergli essere
privato di quella gloria che, grande appresso agli uomini e nel concetto suo
massimamente, gli aveva data l'acquistarla, ma, oltre a questo, per il timore
che l'esercito vincitore non seguitasse la vittoria al quale conoscendo non
potere resistere, e desideroso di rimuovere l'occasioni che lo invitassino a
passare più innanzi, sollecitava che le reliquie de' soldati viniziani,
richiamate già dal senato, si imbarcassino al Porto Cesenatico; e per la
medesima cagione commesse gli fussino restituiti i ventimila ducati i quali,
mandati prima a Vinegia per fare muovere i svizzeri, si ritrovavano ancora in
quella città. Ordinò ancora che il cardinale di Nantes di nazione brettone
invitasse, come da sé, il Triulzio alla pace, dimostrando essere al presente il
tempo opportuno a trattarla; il quale rispose, non convenire il procedere con
questa generalità ma essere necessario venire espressamente alle particolarità:
avere il re quando desiderava la pace, proposto le condizioni; dovere ora il
pontefice fare il medesimo, poi che tale era lo stato delle cose che a lui
apparteneva il desiderarla. Procedeva in questo modo il pontefice più per
fuggire il pericolo presente che perché avesse veramente disposto del tutto
l'animo alla pace, combattendo insieme nel petto suo la paura la pertinacia
l'odio e lo sdegno.
Nel quale tempo
medesimo sopravenne un altro accidente che gli raddoppiò il dolore. Accusavano
appresso a lui molti il cardinale di Pavia, alcuni di infedeltà altri di
timidità altri di imprudenza: il quale, per scusarsi da se stesso venuto a
Ravenna, mandò, come prima arrivò, a significargli la sua venuta e a
dimandargli l'ora della udienza; della qual cosa il pontefice, che l'amava
sommamente, molto rallegratosi, rispose che andasse a desinare seco. Dove
andando, accompagnato da Guido Vaina e dalla guardia de' suoi cavalli, il duca
di Urbino, per l'antica inimicizia che aveva con lui, e acceso dallo sdegno che
per colpa sua (così diceva) fusse proceduta la ribellione di Bologna e per
quella la fuga dell'esercito, fattosegli incontro accompagnato da pochi, ed
entrato tra' cavalli della sua guardia che per riverenza gli davano luogo,
ammazzò di sua mano propria con uno pugnale il cardinale: degno, forse, per
tanta degnità di non essere violato ma degnissimo, per i suoi vizi enormi e
infiniti, di qualunque acerbissimo supplizio. Il romore della morte del quale
pervenuto subitamente al papa, cominciò con grida insino al cielo e urli
miserabili a lamentarsi; movendolo sopramodo la perdita di uno cardinale che
gli era tanto caro, e molto più l'essere in su gli occhi suoi e dal proprio
nipote, con esempio insolito, violata la degnità del cardinalato, cosa tanto
più molesta a lui quanto più faceva professione di conservare ed esaltare
l'autorità ecclesiastica: il quale dolore non potendo tollerare, né temperare
il furore, partì il dì medesimo da Ravenna per ritornarsene a Roma. Né giunto a
fatica a Rimini, acciocché da ogni parte in uno tempo medesimo lo circondassino
infinite e gravissime calamità, ebbe notizia che in Modona in Bologna e in
molte altre città erano appiccate, ne' luoghi publici, le cedole per le quali
se gli intimava la convocazione del concilio, con la citazione che vi andasse
personalmente. Perché il vescovo Gurgense, benché partito che fu da Modona
avesse camminato alquanti dì lentamente, aspettando risposta dallo oratore del
re di Scozia (ritornato da lui a Bologna) sopra le proposte che 'l pontefice
medesimo gli aveva fatte, nondimeno essendo venuto con risposte molto incerte,
mandò subito tre procuratori in nome di Cesare a Milano; i quali, congiunti co'
cardinali e co' procuratori del re di Francia, indissono il concilio, per il
primo dì di settembre prossimo, nella città di Pisa.
Voltorono i
cardinali l'animo a Pisa come luogo comodo, per la vicinità del mare, a molti
che aveano a venire al concilio, e sicuro per la confidenza che il re di
Francia avea ne' fiorentini, e perché molti altri luoghi, che ne sarebbeno
stati capaci, erano o incomodi o sospetti a loro, o da potere essere con colore
giusto ricusati dal pontefice. In Francia non pareva onesto il chiamarlo, o in
alcuno luogo sottoposto al re; Gostanza, una delle terre franche di Germania
proposta da Cesare, benché illustre per la memoria di quel famoso concilio nel
quale, privati tre che procedevano come pontefici, fu estirpato lo scisma
continuato nella Chiesa [circa quaranta] anni, pareva molto incomodo; sospetto
all'una parte e all'altra Turino, per la vicinità de' svizzeri e degli stati
del re di Francia; Bologna, innanzi si alienasse dalla Chiesa, non era sicura
per i cardinali, dipoi era il medesimo per il pontefice. E fu ancora, nella
elezione di Pisa, seguitata in qualche parte la felicità dello augurio, per la
memoria di due concili che vi erano stati celebrati prosperamente: l'uno quando
quasi tutti i cardinali, abbandonati Gregorio [duodecimo] e Benedetto
[tredecimo] che contendevano del pontificato, celebrando il concilio in quella
città, elessono in pontefice Alessandro quinto; l'altro più anticamente
quando... Aveano prima i fiorentini consentitolo al re di Francia, il quale gli
aveva ricercati, proponendo essere autore della convocazione del concilio non
meno Cesare che egli, e consentirvi il re d'Aragona: degni di essere lodati
forse più del silenzio che della prudenza o della fortezza dell'animo; perché,
o non avendo ardire di dinegare al re quel che era loro molesto o non
considerando quante difficoltà e quanti pericoli potesse partorire uno concilio
che si celebrava contro alla volontà del pontefice, tennono tanto secreta
questa deliberazione, fatta in un consiglio di più di cento cinquanta
cittadini, che e fusse incerto a' cardinali (a' quali il re di Francia ne dava
speranza ma non certezza) se l'avessino conceduto, e al pontefice non ne
pervenisse notizia alcuna.
Pretendevano i
cardinali potersi giuridicamente convocare da loro il concilio senza l'autorità
del pontefice, per la necessità evidentissima che aveva la Chiesa di essere
riformata (come dicevano) non solamente nelle membra ma eziandio nel capo, cioè
nella persona del pontefice; il quale, (secondo che affermavano) inveterato
nella simonia e ne' costumi infami e perduti né idoneo a reggere il
pontificato, e autore di tante guerre, era notoriamente incorrigibile, con
universale scandolo della cristianità, alla cui salute niun altra medicina
bastava che la convocazione del concilio: alla qual cosa essendo stato il
pontefice negligente, essersi legittimamente devoluta a loro la potestà del
convocarlo; aggiugnendovisi massimamente l'autorità dell'eletto imperadore e il
consentimento del re cristianissimo, col concorso del clero della Germania e
della Francia. Soggiugnevano, lo usare frequentemente questa medicina essere
non solamente utile ma necessario al corpo infermissimo della Chiesa, per
istirpare gli errori vecchi, per provedere a quegli che nuovamente pullulavano,
per dichiarare e interpretare le dubitazioni che alla giornata nascevano, e per
emendare le cose che da principio ordinate per bene si dimostravano talvolta
per l'esperienza perniciose. Perciò avere i padri antichi, nel concilio di
Gostanza, salutiferamente statuito che perpetuamente per l'avvenire, di dieci
anni in dieci anni, si celebrasse il concilio. E che altro freno che questo
avere i pontefici di non torcere della via retta? e come altrimenti potersi, in
tanta fragilità degli uomini, in tanti incitamenti che aveva la vita nostra al
male, stare sicuri, se chi aveva somma licenza sapesse non avere mai a rendere
conto di se medesimo? Da altra parte molti, impugnando queste ragioni e
aderendo più alla dottrina de' teologi che de' canonisti, asserivano l'autorità
del convocare i concili risedere solamente nella persona del pontefice, quando
bene fusse macchiato di tutti i vizi, pure che non fusse sospetto di eresia; e
che altrimenti interpretando, sarebbe in potestà di pochi (il che in modo niuno
si doveva consentire), o per ambizione o per odii particolari palliando la
intenzione corrotta con colori falsi, l'alterare ogni dì lo stato quieto della
Chiesa: le medicine tutte per sua natura essere salutifere, ma non date con le
proporzioni debite né a' tempi convenienti essere più tosto che medicine
veleno; e però, condannando coloro che sentivano diversamente, chiamavano
questa congregazione non concilio ma materia di divisione della unità della
sedia apostolica, principio di scisma nella Chiesa d'Iddio e diabolico
conciliabolo.
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