V. I procuratori de' cardinali dissidenti celebrano gli atti per l'apertura
del concilio pisano, e il pontefice lancia l'interdetto contro Firenze e Pisa.
Dissensioni in Firenze; simpatie di molti pel cardinale de' Medici. I
fiorentini appellano dall'interdetto. Il concilio di Pisa e la questione di
Bologna ostacoli alla pace. Confederazione fra il pontefice, il re d'Aragona e
il senato veneziano e sue condizioni.
Sopravenne in
questo mezzo il primo dì di settembre, dì determinato a dare principio al
concilio pisano; nel quale dì i procuratori de' cardinali venuti a Pisa
celebrorono in nome loro gli atti appartenenti ad aprirlo. Per il che il
pontefice, sdegnato maravigliosamente co' fiorentini che avessino consentito
che nel dominio loro si cominciasse il conciliabolo (il quale con questo nome
sempre chiamava), dichiarò essere sottoposte allo interdetto ecclesiastico le
città di Firenze e di Pisa, per vigore della bolla del concilio intimato da
lui; nella quale si conteneva che qualunque favorisse il conciliabolo pisano
fusse scomunicato e interdetto, e sottoposto a tutte le pene ordinate
severamente dalle leggi contro agli scismatici ed eretici. E minacciando di
assaltargli con l'armi, elesse il cardinale de' Medici legato di Perugia, e
pochi dì poi, essendo morto il cardinale Regino legato di Bologna, lo trasferì
a quella legazione; acciò che, essendo con tale autorità vicino ai confini loro
lo emulo di quello stato, entrassino tra se medesimi in sospetto e in
confusione: dandogli speranza, che tal cosa potesse facilmente succedere, le
condizioni nelle quali era allora quella città.
Perché, oltre
all'essere in alcuni il desiderio del ritorno della famiglia de' Medici,
regnavano tra gli altri cittadini di maggiore momento le discordie e le
divisioni, antica infermità di quella città, causate in questo tempo dalla
grandezza e autorità del gonfaloniere; la quale alcuni per ambizione ed emulazione
non potevano tollerare, altri erano malcontenti che egli, attribuendosi nella
deliberazione delle cose forse più che non si conveniva al suo grado, non
lasciasse quella parte agli altri che meritavano le loro condizioni: dolendosi
che il governo della città, ordinato nei due estremi, cioè nel capo publico e
nel consiglio popolare, mancasse, secondo la retta instituzione delle
republiche, di uno senato debitamente ordinato, per il quale, oltre a essere
come temperamento tra l'uno e l'altro estremo, i cittadini principali e meglio
qualificati degli altri ottenessino nella republica grado più onorato; e che il
gonfaloniere, eletto principalmente per ordinare questo, o per ambizione o per
sospetto vano facesse il contrario. Il quale desiderio, se bene ragionevole non
però di tanta importanza che dovesse voltare gli animi loro alle divisioni,
perché eziandio senza questo ottenevano onesto luogo né, alla fine, senza loro
si disponevano le cose publiche, fu origine e cagione principale de' mali
gravissimi di quella città. Da questi fondamenti essendo nata la divisione tra
i cittadini, e parendo agli emuli del gonfaloniere che egli e il cardinale di
Volterra suo fratello avessino dependenza dal re di Francia e confidassino in
quella amicizia, si opponevano quanto potevano a quelle deliberazioni che si
avevano a fare in favore di quel re, desiderosi che il pontefice prevalesse. Da
questo era ancora nato che il nome della famiglia de' Medici cominciava a
essere manco esoso nella città; perché quegli ancora, emuli del gonfaloniere,
che non desideravano il ritorno loro, cittadini di grande autorità, non
concorrevano più a perseguitargli, non a impedire (come altre volte si era
fatto) la conversazione degli altri cittadini con loro, anzi dimostrando, per
battere il gonfaloniere, di non essere alieni dalla amicizia loro facevano
quasi ombra agli altri di desiderare la loro grandezza: dalla qual cosa nasceva
che non solo quegli che veramente erano amici loro, che non erano di molto
momento, entravano in speranza di cose nuove, ma ancora molti giovani nobili,
stimolati o dalle troppe spese o da sdegni particolari o da cupidità di
soprafare gli altri, appetivano la mutazione dello stato per mezzo del ritorno
loro. E aveva con grande astuzia nutrito e augumentato più anni questa
disposizione il cardinale de' Medici; perché dopo la morte di Piero suo
fratello, il cui nome era temuto e odiato, simulando di non si volere
intromettere delle cose di Firenze né di aspirare alla grandezza antica de'
suoi, aveva sempre con grandissime carezze ricevuto tutti i fiorentini che
andavano a Roma e affaticatosi prontamente nelle faccende di tutti e, non meno
degli altri, di quegli che si erano scoperti contro al fratello; trasferendo di
tutto la colpa in lui, come se l'odio e l'offese fussino terminate con la sua
morte: nel quale modo di procedere essendo continuato più anni, e accompagnato
dalla fama che aveva nella corte di Roma di essere, per natura, liberale
ossequioso e benigno a ciascuno, era diventato in Firenze grato a molti. E però
Giulio, desideroso di alterare quel governo, non imprudentemente lo propose a
quella legazione.
Appellorono i
fiorentini dallo interdetto, non nominando, per offendere meno, nella
appellazione il concilio pisano ma solamente il sacro concilio della Chiesa
universale; e come se per l'appellazione fusse sospeso l'effetto dello
interdetto furono, per comandamento del supremo magistrato, astretti i
sacerdoti di quattro chiese principali a celebrare publicamente nelle loro
chiese gli offici divini: per il che si scopriva più la divisione de'
cittadini, perché, essendo rimesso nello arbitrio di ciascuno o osservare o
sprezzare lo interdetto, regolava quasi ciascuno le cose spirituali secondo il
giudicio o la passione che aveva nelle cose publiche e temporali.
Credette [il re
di Francia] che il principiare del concilio facilitasse la concordia col
pontefice, e perciò con instanza grande fu sollecitato da lui; ingannato in
questo come in molte altre cose, perché e rendé il pontefice più duro e
ingelosì gli animi degli altri prìncipi, ingelositi che alla fine non si
creasse un pontefice ad arbitrio suo: dando, oltre a ciò, somma
giustificazione; perché pareva gli movesse non gli odii e passioni particolari
ma la causa dell'unione della Chiesa e l'onore della religione. Onde di nuovo
feciono instanza gli imbasciadori de' re d'Aragona e d'Inghilterra,
offerendogli la pace col pontefice, in caso si restituisse Bologna alla Chiesa
e che i cardinali convenissino al concilio lateranense; a' quali offerivano che
il papa perdonerebbe. Ma ritenendolo da consentire il rispetto di Bologna,
rispose: che non difendeva una città contumace e rebelle della Chiesa, sotto il
cui dominio e ubbidienza si reggeva come per moltissimi anni aveva fatto innanzi
al pontificato di Giulio; il quale non doverrebbe ricercare più della autorità
con la quale l'aveano tenuta i suoi antecessori: medesimamente, il concilio
pisano essere stato introdotto con onestissimo e santissimo proposito di
riformare i disordini notori e intollerabili che erano nella Chiesa; alla
quale, senza pericolo di scisma o di divisione, facilmente si restituirebbe
l'antico splendore se il pontefice, come era giusto e conveniente, convenisse a
quel concilio. Soggiugnendo, che la inquietudine sua e l'animo acceso alle
guerre e agli scandoli aveva costretto lui a obligarsi alla protezione di
Bologna; e però, per l'onore suo, non volere mancare altrimenti di difenderla
che mancherebbe al difendere la città di Parigi.
Dunque il pontefice,
rimossi tutti i pensieri dalla pace, per gli odii e appetiti antichi, per la
cupidità di Bologna, per lo sdegno e timore del concilio e finalmente per
sospetto, se differisse più a deliberare, di essere abbandonato da tutti,
perché già i soldati spagnuoli, dimostrando d'avere a passare in Affrica,
cominciavano a Capri a imbarcarsi, deliberò di fare la confederazione trattata
col re cattolico e col senato viniziano: la quale fu il quinto dì di ottobre
publicata solennemente, presente il pontefice e tutti i cardinali, nella chiesa
di Santa Maria del popolo. Contenne che si confederavano per conservare
principalmente l'unione della Chiesa, e a estirpazione, per difenderla dallo
scisma imminente, del conciliabolo pisano, e per la recuperazione della città
di Bologna appartenente immediatamente alla sedia apostolica e di tutte l'altre
terre e luoghi che mediatamente o immediatamente se gli appartenessino, sotto
il qual senso si comprendeva Ferrara; e che contro a quegli che ad alcuna di
queste cose si opponessino o che di impedirle tentassino (significavano queste
parole il re di Francia), a cacciargli totalmente di Italia, con potente
esercito si procedesse. Nel quale il pontefice tenesse [quattrocento uomini
d'arme cinquecento cavalli leggieri e semila fanti], tenessevi il senato
viniziano [ottocento uomini d'arme mille cavalli leggieri e ottomila fanti], e
il re d'Aragona mille dugento uomini d'arme mille cavalli leggieri e diecimila
fanti spagnuoli; per sostentazione de' quali pagasse il pontefice, durante la
guerra, ciascuno mese, ventimila ducati, e altrettanti ne pagasse il senato
viniziano; numerando di presente lo stipendio per due mesi, intra i quali
dovessino essere venuti in Romagna o dove convenissino i confederati. Armasse
il re d'Aragona dodici galee sottili, quattordici n'armassino i viniziani; i
quali nel tempo medesimo movessino la guerra nella Lombardia al re di Francia.
Fusse capitano generale dell'esercito don Ramondo di Cardona, di patria
catelano e allora viceré del reame di Napoli. Che acquistandosi terra alcuna in
Lombardia che fusse stata de' viniziani, se n'osservasse la dichiarazione del
pontefice; il quale incontinente, per scrittura fatta separatamente, dichiarò
si restituissino a' viniziani. A Cesare fu riservata facoltà di entrare nella
confederazione, e medesimamente al re di Inghilterra; a quello con incerta
speranza d'averlo finalmente a separare dal re di Francia, a questo con
espresso consentimento del cardinale eboracense, intervenuto continuamente a'
trattamenti della lega. La quale come fu contratta, morì Ieronimo Donato
oratore veneto, per la prudenza e desterità sua molto grato al pontefice, e
perciò stato molto utile alla patria nella sua legazione.
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