VIII. Disegni del re di Francia dopo l'interruzione delle pratiche di pace.
Notizie intorno agli svizzeri. Gli svizzeri entrano nel ducato di Milano. Ne
escono, dopo poco, con sorpresa generale. Il re di Francia chiede a' fiorentini
che concorrano con aiuti alla guerra. Contrastanti opinioni in Firenze. Il
Guicciardini inviato come ambasciatore al re d'Aragona.
Interrotte del
tutto le pratiche della pace, furno i primi pensieri del re che, come la
Palissa, il quale [avea] lasciati in Verona tremila fanti per mitigare Cesare
sdegnato della partita sua, avesse ricondotto il resto delle [genti] nel ducato
di Milano, che soldati nuovi fanti e raccolto insieme tutto l'esercito si
assaltasse la Romagna; sperando, innanzi che gli spagnuoli vi si fussero
approssimati, occuparla o in tutto o in parte, e dipoi o procedere più oltre
secondo l'occasioni o sostenere la guerra nel territorio d'altri insino alla
primavera: al qual tempo, passando in Italia personalmente con tutte le forze
del suo regno, sperava dovere essere per tutto superiore agli inimici. Le quali
cose mentre che disegna, procedendo più lente le deliberazioni che per
avventura non comportavano l'occasioni, e ritraendo il re da molti provedimenti
e specialmente da soldare di nuovo fanti l'essere per natura alienissimo dallo
spendere, sopravenne sospetto che i svizzeri non si movessino. Della quale nazione
perché sparsamente in molti luoghi si è fatta menzione, pare molto a proposito
e quasi necessario particolarmente trattarne.
Sono i svizzeri
quegli medesimi che dagli antichi si chiamavano elvezi, generazione che abita
nelle montagne più alte [di Giura, dette di San Claudio, in quelle di Briga e
di San Gottardo], uomini per natura feroci, rusticani, e per la sterilità del
paese più tosto pastori che agricultori. Furono già dominati da' duchi di
Austria; da' quali ribellatisi, già è grandissimo tempo, si reggono per loro
medesimi, non facendo segno alcuno di ricognizione né agli imperadori né ad
altri prìncipi. Sono divisi in tredici popolazioni: essi le chiamano cantoni;
ciascuno di questi si regge con magistrati, leggi e ordini propri. Fanno ogni
anno, o più spesso secondo che accade di bisogno, consulta delle cose
universali; congregandosi nel luogo il quale, ora uno ora altro, eleggono i
deputati da ciascuno cantone: chiamano, secondo l'uso di Germania, queste
congregazioni diete; nelle quali si delibera sopra le guerre le paci le
confederazioni, sopra le dimande di chi fa instanza che gli sia conceduto, per
decreto publico, soldati o permesso a' volontari di andarvi; e sopra le cose
attenenti allo interesse di tutti. Quando per publico decreto concedono
soldati, eleggono i cantoni medesimi tra loro uno capitano generale di tutti,
al quale con le insegne e in nome publico si dà la bandiera. Ha fatto grande il
nome di questa gente, tanto orrida e inculta, l'unione e la gloria dell'armi,
con le quali, per la ferocia naturale e per la disciplina dell'ordinanze, non
solamente hanno sempre valorosamente difeso il paese loro ma esercitato fuori
del paese la milizia con somma laude: la quale sarebbe stata senza comparazione
maggiore se l'avessino esercitata per lo imperio proprio e non agli stipendi e
per propagare lo imperio di altri, e se più generosi fini avessino avuto
innanzi agli occhi, a' tempi nostri, che lo studio della pecunia; dall'amore
della quale corrotti hanno perduta l'occasione di essere formidabili a tutta
Italia, perché non uscendo del paese se non come soldati mercenari non hanno
riportato frutto publico delle vittorie, assuefattisi, per la cupidità del
guadagno, a essere negli eserciti, con taglie ingorde e con nuove dimande,
quasi intollerabili, e oltre a questo, nel conversare e nell'ubbidire a chi gli
paga, molto fastidiosi e contumaci. In casa, i principali non si astengono da
ricevere doni e pensioni da' prìncipi per favorire e seguitare nelle consulte
le parti loro: per il che, riferendosi le cose publiche all'utilità private e
fattisi vendibili e corruttibili, sono tra loro medesimi sottentrate le
discordie; donde, cominciandosi a non essere seguitato da tutti quel che nelle
diete approvava la maggiore parte dei cantoni, sono ultimatamente, pochi anni
innanzi a questo tempo, venuti tra loro medesimi a manifesta guerra, con somma
diminuzione dell'autorità che avevano per tutto. Più basse di queste sono
alcune terre e villaggi chiamati vallesi perché abitano nelle valli, inferiori
molto di numero, di autorità publica e di virtù, perché a giudicio di tutti non
sono feroci come i svizzeri. E un'altra generazione più bassa di queste due,
chiamonsi grigioni, che si reggono per tre cantoni, e però detti signori delle
tre leghe: la terra principale del paese si dice Coira; sono spesso confederati
de' svizzeri, e con loro insieme vanno alla guerra e si reggono quasi co'
medesimi ordini e costumi; anteposti nell'armi a' vallesi ma non eguali a'
svizzeri né di numero né di virtù.
I svizzeri
adunque, in questo tempo non degenerati ancora tanto né corrotti come poi sono
stati, essendo stimolati dal pontefice, si preparavano per scendere nel ducato
di Milano; dissimulando che questo movimento procedesse dalla università de'
cantoni, ma dando voce ne fussino autori il cantone di Svit e quello di
Friborgo, il primo perché si querelava che uno suo corriere passando per lo
stato di Milano era stato ammazzato da' soldati franzesi, questo perché
pretendeva avere ricevuto ingiurie particolari. I consigli de' quali e
publicamente di tutta la nazione benché prima fussino pervenuti all'orecchie
del re non l'aveano però mosso a convenire con loro, come i suoi assiduamente
lo confortavano e come gli amici che aveva tra loro gli davano speranza potersi
ottenere; ritenendolo la solita difficoltà di non accrescere ventimila franchi
(sono questi poco più o meno di diecimila ducati) alle pensioni antiche, e così
ricusando per minimo prezzo quella amicizia che poi molte volte con tesoro inestimabile
arebbe comperata; persuadendosi che o non si moverebbono o che, movendosi
potrebbono poco nuocergli, perché soliti a esercitare la milizia a piede non
avevano cavalli, e perché non avevano artiglierie: essere oltre a questo in
quella stagione (già era entrato il mese di novembre) i fiumi grossi, mancare a
essi i ponti e le navi, le vettovaglie del ducato di Milano ridotte per
comandamento di Gastone di Fois ne' luoghi forti, bene custodite le terre
vicine, e potersi opporre loro alla pianura le genti d'arme; per i quali
impedimenti essere necessario che, movendosi, fussino necessitati in ispazio di
pochi dì a ritornarsene. E nondimeno i svizzeri, non gli spaventando queste
difficoltà, erano cominciati a scendere a Varese, nel qual luogo continuamente
augumentavano; avendo seco sette pezzi d'artiglieria da campagna e molti
archibusi portati da' cavalli, e medesimamente non al tutto senza apparecchio
di vettovaglie. La venuta de' quali faceva molto più timorosa che, essendo i
soldati franzesi divenuti più licenziosi che 'l solito, cominciava a essere a'
popoli non mediocremente grave lo imperio loro; perché il re, astretto dalla
avarizia, non aveva consentito che si facesse provedimento di fanti; né le
genti d'arme che allora erano in Italia, secondo il numero vero, mille trecento
lancie e dugento gentiluomini, potevano tutte opporsi a' svizzeri, essendone
una parte alla guardia di Verona e di Brescia, e avendo Fois mandato di nuovo a
Bologna dugento lancie, per la venuta del cardinale de' Medici e di Marcantonio
Colonna a Faenza: ove, se bene non avessino fanti pagati, nondimeno per le
divisioni della città, e perché in quelli dì il castellano della rocca di
Sassiglione, castello della montagna di Bologna, l'aveva spontaneamente dato al
legato, era paruto necessario mandarvi questo presidio. Da Varese mandorno i
svizzeri per uno trombetto a diffidare il luogotenente regio: il quale avendo
seco poca gente d'arme, perché non aveva avuto tempo a raccorle, né più che
dumila fanti, né si risolvendo ancora per non dispiacere al re a soldarne di
nuovo, era venuto ad Assaron, terra distante tredici miglia da Milano, non con
intenzione di combattere ma di andargli costeggiando per impedire loro le
vettovaglie; nella qual cosa solo rimaneva la speranza del ritenergli, non
essendo tra Varese e Milano né fiumi difficili a passare né terre atte a essere
difese. Da Varese vennono i svizzeri a Galera, essendo già augumentati insino
al numero di diecimila; e Gastone, il quale seguitava Gianiacopo da Triulzi, si
pose a Lignano distante quattro miglia da Galera: dalle quali cose impauriti i
milanesi soldavano fanti a spese proprie per guardia della città, e Teodoro da
Triulzi faceva fortificare i bastioni e, come se l'esercito avesse a ritirarsi
in Milano, fare le spianate dalla parte di dentro, intorno a' ripari che
cingono i borghi, perché i cavalli potessino adoperarsi. Presentossi nondimeno
Gastone di Fois, con cui erano cinquecento lancie e dugento gentiluomini del re
e con molta artiglieria, innanzi alla terra di Galera; all'apparire de' quali i
svizzeri uscirono ordinati in battaglia: nondimeno, non volendo insino non
erano maggiore numero combattere in luogo aperto, ritornorno presto dentro.
Cresceva intratanto continuamente il numero loro; per il quale deliberati di non
ricusare più di combattere vennono a Busti, nella quale terra erano alloggiate
cento lancie, che a fatica salvorno sé, perduti i carriaggi con parte de'
cavalli. Alla fine i franzesi, ritirandosi sempre che essi procedevano innanzi,
si ridussono ne' borghi di Milano; essendo incerti gli uomini se volessino
fermarsi a difendergli, perché altro sonavano le loro parole altro dimostrava
il fornire sollecitamente il castello di vettovaglie. Approssimoronsi dipoi i
svizzeri a' sobborghi a due miglia; ma vi era già molto allentato il timore,
perché continuamente sopravenivano le genti d'arme richiamate a Milano e
similmente molti fanti che si soldavano, e d'ora in ora si aspettavano Molard
co' fanti guasconi e Iacob co' fanti tedeschi, richiamati l'uno da Verona
l'altro da Carpi. E in questo tempo furno intercette lettere de' svizzeri a'
loro signori. Significavano essere debole l'opposizione de' franzesi,
maravigliavansi non avere ricevuto dal pontefice messo alcuno né sapere quel
che facesse l'esercito de' viniziani; e nondimeno, che procedevano secondo che
si era destinato.
Erano già in
numero sedicimila e si voltorno verso Moncia, la quale non tentato di occupare
ma standosi più verso il fiume dell'Adda, davano timore a' franzesi di volere tentare
di passarlo; però gittavano il ponte a Casciano, per impedire loro il transito
con l'opportunità della terra e del ponte. Dove mentre stanno, venne, impetrato
prima salvocondotto, uno capitano de' svizzeri a Milano, il quale dimandò lo
stipendio di uno mese per tutti i fanti, offerendo di ritornarsene al paese
loro; ma partito senza conclusione, per essergli offerta somma molto minore,
tornò il seguente dì con dimande più alte, e ancora che gli fussino fatte
offerte maggiori che 'l dì dinanzi, nondimeno, ritornato a suoi, rimandò subito
indietro uno trombetto a significare che non voleano più la concordia: e
l'altro dì dipoi, mossi contro all'espettazione di tutti verso Como, se ne
tornorno alla patria; lasciando liberi i giudìci degli uomini se fussino scesi
per assaltare lo stato di Milano o per passare in altro luogo, e per quale
cagione non soprafatti ancora da alcuna evidente difficoltà fussino tornati
indietro, o perché volendo ritornarsene non avessino accettato i danari,
avendone massime dimandati. Come si sia, è manifesto che mentre si ritiravano
sopravenneno due messi del pontefice e de' viniziani, i quali si divulgò che se
fussino arrivati prima non si sarebbeno i svizzeri partiti. Né si dubita, che
se nel tempo medesimo che entrorono nel ducato di Milano fussino stati gli
spagnuoli vicini a Bologna, che le cose de' franzesi, non potendo resistere da
tante parti, sarebbono andate senza indugio in manifesta perdizione.
Il quale
pericolo gustando il re per l'esperienza, che prima non l'aveva antiveduto con
la ragione, commesse, innanzi sapesse la ritirata loro, a Fois che per
concordargli non perdonasse a quantità alcuna di danari; né dubitando più,
quando bene i svizzeri componessino, d'avere a essere assaltato potentemente, comandò
a tutte le genti d'arme che aveva in Francia che passassino i monti, eccetto
dugento lancie le quali si riservò nella Piccardia; e vi mandò, oltre a questo,
nuovo supplemento di fanti guasconi, e a Fois comandò che riempiesse l'esercito
di fanti italiani e tedeschi. Ricercò ancora con instanza grande i fiorentini,
gli aiuti de' quali erano di momento grande, per l'aversi a fare la guerra ne'
luoghi vicini e per l'opportunità di turbare da' confini loro lo stato
ecclesiastico e interrompere le vettovaglie e l'altre comodità all'esercito
degli inimici, se si accostava a Bologna, che scopertamente e con tutte le
forze loro concorressino seco alla guerra; ricercando la necessità delle cose
presenti altro che aiuti piccoli o limitati o che si contenessino dentro a'
termini delle confederazioni, né potere mai avere maggiore occasione
d'obligarsi sé, né fare mai beneficio più preclaro e del quale si distendesse
più la memoria in perpetuo a' suoi successori: senza che, se bene
consideravano, difendendo e aiutando lui difendevano e aiutavano la causa
propria, perché potevano essere certi quanto fusse grande l'odio del papa
contro a loro, quanta fusse la cupidità del re cattolico di fermare in quella
città uno stato dependente interamente da sé.
Ma a Firenze
sentivano diversamente. Molti, acciecati dalla dolcezza del non spendere di
presente, non consideravano quel che potesse portare seco il tempo futuro; in
altri poteva la memoria che mai dal re né da Carlo suo precessore fusse stata
riconosciuta la fede e l'opere di quella republica, e l'avere con prezzo grande
venduto loro il non impedire che recuperassino Pisa: col quale esempio non
potersi confidare delle promesse e offerte sue, né che per qualunque beneficio
gli facessino non si troverebbe in lui gratitudine alcuna; e perciò essere non
piccola temerità fare deliberazione di entrare in una guerra, la quale
succedendo avversa parteciperebbono più che per rata parte di tutti i mali,
succedendo prospera non arebbono parte alcuna benché minima de' beni. Ma erano
di maggiore momento quegli che, o per odio o per ambizione o per desiderio di
altra forma di governo, si opponevano al gonfaloniere, magnificando le ragioni
già dette e adducendone di nuovo; e specialmente, che stando neutrali non conciterebbono
contro a sé l'odio d'alcuna delle parti, né darebbono ad alcuno de' due re
giusta cagione di lamentarsi: perché né al re di Francia erano tenuti di altri
aiuti che di trecento uomini d'arme per la difesa degli stati propri, de' quali
già l'aveano accomodato, né questo potere essere molesto al re d'Aragona, il
quale riputerebbe guadagno non piccolo che altrimenti in questa guerra non si
intromettessino, anzi essere sempre lodati e tenuti più cari quegli che
osservano la fede, e specialmente perché per questo esempio spererebbe che a
lui medesimamente, quando gli sopravenisse bisogno, si osserverebbe quel che
per la capitolazione fatta a comune col re di Francia e con lui era stato
promesso. Procedendo così, se tra' prìncipi nascesse pace la città sarebbe
nominata e conservata da amendue; se uno ottenesse la vittoria, non si
reputando offeso né avendo causa di odio particolare, non sarebbe difficile
comperare l'amicizia sua con quelli medesimi danari e forse con minore quantità
di quella che arebbono spesa nella guerra, modo col quale, più che coll'armi,
aveano molte volte salvata la libertà i maggiori loro: procedendo altrimenti,
sosterrebbono mentre durasse la guerra, per altri e senza necessità, spese
gravissime; e ottenendo la parte inimica la vittoria rimarrebbe in
manifestissimo pericolo la libertà e la salute della patria. Contrario a questi
era il parere del gonfaloniere, giudicando essere più salutifero alla republica
che si prendessino l'armi per il re di Francia: e perciò, prima aveva favorito
il concilio e suggerito al pontefice materia di sdegnarsi, acciò che la città,
provocata da lui o cominciata a insospettirne, fusse quasi necessitata a fare
questa deliberazione; e in questo tempo dimostrava non potere essere se non
perniciosissimo consiglio lo stare oziosi ad aspettare l'evento della guerra,
la quale si faceva in luoghi vicini e tra prìncipi tanto più potenti di loro.
Perché la neutralità nelle guerre degli altri essere cosa laudabile, e per la
quale si fuggono molte molestie e spese, quando non sono sì deboli le forze che
tu abbia da temere la vittoria di ciascuna delle parti; perché allora ti arreca
sicurtà, e bene spesso, la stracchezza loro, facoltà di accrescere il tuo
stato. Né essere sicuro fondamento il non avere offeso alcuno, il non avere
data giusta cagione di querelarsi; perché rarissime volte, e forse non mai, si
raffrena dalla giustizia o dalle discrete considerazioni l'insolenza del
vincitore; né reputarsi, per queste ragioni, meno ingiuriati i prìncipi grandi
quando è negato loro quel che desiderano, anzi sdegnarsi contro a ciascuno che
non séguita la volontà loro e che con la fortuna di essi non accompagna la
fortuna propria. Credersi stoltamente che il re di Francia non s'abbia a tenere
offeso quando si vedrà abbandonato in tanti pericoli, quando vedrà non
corrispondere gli effetti alla fede che aveva ne' fiorentini, a quel che
indubitatamente si prometteva di loro, a quel che tante volte gli era stato da
loro medesimi affermato e predicato. Più stolto essere credere che, rimanendo
vincitori, il pontefice e il re d'Aragona non esercitassino contro a quella
republica immoderatamente la vittoria; l'uno per l'odio insaziabile, amendue
per la cupidità di fermare un governo che si reggesse ad arbitrio loro,
persuadendosi che la città libera arebbe sempre maggiore inclinazione a'
franzesi che a loro: e questo non si vedere egli apertamente, avendo il
pontefice, con approvazione del re cattolico, destinato legato all'esercito il
cardinale de' Medici? Dunque: lo stare neutrale non importare altro che volere
diventare preda della vittoria di ciascuno; aderendosi a uno di essi, almeno
dalla vittoria sua risultarne la sicurtà e la conservazione loro, premio,
poiché le cose erano ridotte in tanti pericoli, di grandissimo momento; e se si
facesse la pace dovervi avere migliori condizioni. Ed essere superfluo
disputare a quale parte si dovessino più aderire, perché niuno dubiterebbe
doversi seguitare più tosto l'antica amicizia (e dalla quale se la republica
non era stata rimunerata o premiata era almeno stata più volte difesa e
conservata) che amicizie nuove, che sarebbono sempre infedeli sempre sospette.
Diceva invano il gonfaloniere queste parole, impedendosi il voto suo sopra
tutto per l'opposizione di coloro a' quali era molesto che il re di Francia
riconoscesse dalle sue opere l'essergli congiunti i fiorentini. Nelle quali
contenzioni, interrompendo l'una parte il parere dell'altra, né si deliberava
il dichiararsi né totalmente lo stare neutrali; onde spesso nascevano consigli
incerti e deliberazioni repugnanti a se medesime, senza riportarne grazia o
merito appresso ad alcuno. Anzi, procedendo con queste incertitudini,
mandorono, con dispiacere grande del re di Francia, al re d'Aragona
imbasciadore Francesco Guicciardini, quello che scrisse questa istoria, dottore
di legge, ancora tanto giovane che per l'età era, secondo le leggi della
patria, inabile a esercitare qualunque magistrato; e nondimeno non gli dettono
commissioni tali che alleggierissino in parte alcuna la mala volontà de' confederati.
|