X. I veneziani prendono Brescia e Bergamo; subita partenza del Fois per affrontare
i nemici. Vittoria del Fois alla torre del Magnanino. Presa e saccheggio di
Brescia.
Levato il
campo, Fois, lasciati alla custodia di Bologna trecento lancie e quattromila
fanti, partì subito per andare con grandissima celerità a soccorrere il
castello di Brescia; perché la città era, il giorno precedente a quello nel
quale entrò in Bologna, pervenuta in potestà de' viniziani. Perché Andrea
Gritti, per comandamento del senato, stimolato dal conte Luigi Avogaro
gentiluomo bresciano e dagli uomini quasi di tutto il paese, e dalla speranza
che dentro si facesse movimento per lui, avendo con trecento uomini d'arme
mille trecento cavalli leggieri e tremila fanti passato il fiume dell'Adice ad
Alberé, luogo propinquo a Lignago, e guadato dipoi il fiume del Mincio al
mulino della Volta tra Goito e Valeggio; e successivamente venuto a
Montechiaro, si era fermato la notte a Castagnetolo villa distante cinque
miglia da Brescia, donde fece subito correre i cavalli leggieri insino alle porte;
e nel tempo medesimo, risonando per tutto il paese il nome di san Marco, il
conte Luigi si accostò alla porta con ottocento uomini delle valli Eutropia e
Sabia, le quali aveva sollevate, avendo mandato dalla altra parte della città
insino alle porte il figliuolo con altri fanti. Ma Andrea Gritti, non ricevendo
gli avvisi che aspettava da quelli di dentro né gli essendo fatto alcuno de'
segni convenuti, anzi intendendo la città essere per tutto diligentemente
custodita, giudicò non doversi procedere più oltre; nel qual movimento il
figliuolo Avogaro, assaltato da quegli di dentro, rimase prigione. Ritirossi il
Gritti appresso a Montagnana onde prima era partito, lasciato sufficiente
presidio al ponte fatto in sullo Adice. Ma di nuovo chiamato pochi dì poi ripassò
l'Adice, con due cannoni e quattro falconi, e si fermò a Castagnetolo;
essendosi nel tempo medesimo approssimato a un miglio a Brescia il conte Luigi,
con numero grandissimo d'uomini di quelle valli. E con tutto che dalla città
non si sentisse cosa alcuna favorevole, il Gritti, invitato dal concorso
maggiore che l'altra volta, deliberò tentare la forza: però accostatosi con
tutti i paesani si cominciò da tre parti a dare l'assalto; il quale, tentato
infelicemente alla porta della Torre, succedette prosperamente alla porta delle
Pile ove combatteva l'Avogaro, e alla porta della Garzula, ove i soldati,
guidati da Baldassarre di Scipione, entrorno (secondo che alcuni dicono) per la
ferrata per la quale il fiume, che ha il medesimo nome, entra nella città;
invano resistendo i franzesi. I quali, veduto gli inimici entrare nella città e
che in favore loro si movevano i bresciani, i quali prima, proibiti da loro di
prendere l'armi, erano stati quieti, si ritirorno, insieme con monsignore di
Luda governatore, nella fortezza; perduti i cavalli e i carriaggi: nel qual
tumulto quella parte che si dice la cittadella, separata dal resto della città,
abitazione di quasi tutti i ghibellini, fu saccheggiata, riservate le case de'
guelfi. L'acquisto di Brescia seguitò subito la dedizione di Bergamo, che
eccetto le due castella, l'uno posto in mezzo la città l'altro distante un
mezzo miglio, si arrendé per opera d'alcuni cittadini; e il medesimo feciono
Orcivecchi, Orcinuovi, Pontevico e molte altre terre circostanti: e si sarebbe
forse fatto maggiore progresso o almeno confermata meglio la vittoria se a
Vinegia, ove fu letizia incredibile, fusse stata tanta sollecitudine a mandare
soldati e artiglierie (le quali erano necessarie per l'espugnazione del
castello, che non era molto potente a resistere) quanta fu nel creare e mandare
i magistrati che avessino a reggere la città recuperata. La quale negligenza fu
tanto più dannosa quanto fu maggiore la diligenza e la celerità di Fois: il
quale avendo passato il fiume del Po alla Stellata, dal qual luogo mandò alla
guardia di Ferrara cento cinquanta lancie e cinquecento fanti franzesi, passò
il Mincio per Pontemulino; avendo, quasi nel tempo medesimo che passava,
mandato a dimandare la facoltà del passare al marchese di Mantova, o per non
lasciare luogo con la dimanda improvisa a' consigli suoi o perché tanto più
tardasse a andare la notizia della venuta sua alle genti viniziane. Di quivi
alloggiò il dì seguente a Nugara in veronese e l'altro dì a Pontepesere e a
Treville tre miglia appresso alla Scala, ove avendo avuto notizia che Giampaolo
Baglione (il quale aveva fatta la scorta ad alcune genti e artiglierie de'
viniziani andate a Brescia) era con [tre]cento uomini d'arme [quattrocento]
cavalli leggieri e mille dugento fanti da Castelfranco venuto ad alloggiare
alla Isola della Scala, corse subito per assaltarlo con trecento lancie e
settecento arcieri, seguitandolo il resto dell'esercito perché non poteva
pareggiare tanta prestezza: ma trovato che già era partito un'ora innanzi, si
messe a seguitarlo con la medesima celerità.
Aveva
Giampagolo saputo che Bernardino dal Montone, sotto la cui custodia era il
ponte fatto ad Alberé, sentito l'approssimarsi de' franzesi l'aveva dissoluto,
per timore di non essere rinchiuso da loro e da' tedeschi che erano in Verona;
ove Cesare, alleggerito dalla custodia del Friuli perché, da Gradisca in fuora,
tutto era ritornato in potestà de' viniziani, aveva poco innanzi mandato
tremila fanti i quali prima aveva in quella regione. Però Giampaolo sarebbe
andato a Brescia se non gli fusse stato mostrato che poco sotto Verona si
poteva guadare il fiume, ove andando per passare scoperse da lungi Fois; e
pensando non potesse essere altro che la gente di Verona, perché la prestezza
di Fois, incredibile, aveva avanzato la fama, rimessi i suoi in battaglia,
l'aspettò con forte animo alla torre del Magnanino, propinqua all'Adice e poco
distante dalla torre della Scala. Fu molto feroce da ciascuna delle parti lo
incontro delle lancie, e si combatté poi valorosamente con l'altre armi per più
d'una ora; ma peggioravano continuamente le condizioni de' marcheschi perché
tuttavia sopravenivano i soldati dell'esercito rimasto indietro, e nondimeno
urtati, ritornorno più volte negli ordini loro: finalmente, non potendo più
resistere al numero maggiore, rotti si messono in fuga; seguitati dagli
inimici, già cominciando la notte, insino al fiume; il quale fu da Giampaolo
passato a salvamento, ma v'annegorno molti de' suoi. Furno de' viniziani parte
morti parte presi circa novanta uomini d'arme, tra' quali rimasono prigioni
Guido Rangone e Baldassarre Signorello da Perugia, dissipati tutti i fanti e
perduti due falconetti che soli aveano con loro; né quasi sanguinosa la
vittoria per i franzesi. Riscontrorno il dì seguente Meleagro da Furlì con
alcuni cavalli leggieri de' viniziani, i quali facilmente furno messi in fuga,
rimanendo Meleagro prigione; né perdendo una ora sola di tempo, il nono dì poi
che erano partiti da Bologna, alloggiò Fois con l'antiguardia nel borgo di
Brescia, lontano due balestrate dalla porta di Torre Lunga; il rimanente
dell'esercito più indietro, lungo la strada che conduce a Peschiera.
Alloggiato, subitamente, non dando spazio alcuno a se medesimo a respirare,
mandò una parte de' fanti ad assaltare il monasterio di San Fridiano, posto a
mezzo il monte, sotto il quale era l'alloggiamento suo, guardato da molti
villani di Valditrompia; i quali fanti, salito il monte da più parti,
favorendogli ancora una pioggia grande che impedì non si tirassino
l'artiglierie piantate nel monasterio, gli roppono e ne ammazzorno una parte.
Il dì seguente, avendo mandato un trombetto nella città a dimandare gli fusse
data la terra, salve le robe e le persone di tutti eccetto che de' viniziani,
ed essendogli stato risposto in presenza di Andrea Gritti ferocemente, girato
l'esercito all'altra parte della città per essere propinquo al castello,
alloggiò nel borgo della porta che si dice di San Gianni; donde la mattina
seguente, quando cominciava ad apparire il dì, eletti di tutto l'esercito più
di quattrocento uomini d'arme armati tutti d'armi bianche e seimila fanti parte
guasconi e parte tedeschi, egli con tutti a piede, salendo dalla parte di verso
la porta delle Pile, entrò, non si opponendo alcuno, nel primo procinto del
castello: dove riposatigli e rinfrescatigli alquanto, gli confortò con brevi
parole che scendessino animosamente in quella ricchissima e opulentissima
città, ove la gloria e la preda sarebbe senza comparazione molto maggiore che
la fatica e il pericolo, avendo a combattere co' soldati viniziani
manifestamente inferiori di numero e di virtù, perché della moltitudine del
popolo inesperta alla guerra, e che già pensava più alla fuga che alla
battaglia, non era da tenere conto alcuno; anzi si poteva sperare che
cominciandosi per la viltà a disordinare sarebbono cagione che tutti gli altri
si mettessino in disordine: supplicandogli in ultimo che, avendogli scelti per
i più valorosi di così fiorito esercito, non facessino vergogna a se stessi né
al giudicio suo; e che considerassino quanto sarebbono infami e disonorati se,
facendo professione di entrare per forza nelle città inimiche contro a' soldati
contro all'artiglierie contro alle muraglie e contro a' ripari, non ottenessino
al presente, avendo l'entrata sì patente né altra opposizione che d'uomini
soli. Dette [queste] parole, cominciò, precedendo i fanti agli uomini d'arme, a
uscire del castello; all'uscita del quale avendo trovati alcuni fanti che con
artiglierie tentorno di impedirgli l'andare innanzi, ma avendogli fatti
facilmente ritirare, scese ferocemente per la costa in sulla piazza del palagio
del capitano detto il Burletto, nel quale luogo le genti viniziane, ristrette
insieme, ferocemente l'aspettavano: ove venuti alle mani, fu per lungo spazio
molto feroce e spaventosa la battaglia, combattendo l'una delle parti per la
propria salute l'altra non solo per la gloria ma eziandio per la cupidità di
saccheggiare una città piena di tante ricchezze, né meno ferocemente i capitani
che i soldati privati; tra' quali appariva molto illustre la virtù e la
fierezza di Fois. Finalmente furno cacciati dalla piazza i soldati viniziani,
avendo fatto maravigliosa difesa. Entrorno dipoi i vincitori divisi in due
parti, l'una per la città l'altra per la cittadella; a' quali quasi in su ogni
cantone e in su ogni contrada era fatta egregia resistenza da' soldati e dal
popolo, ma sempre vittoriosi spuntorno gli inimici per tutto; non mai
attendendo a rubare insino non occuporno tutta la terra; così aveva, innanzi
scendessino, comandato il capitano; anzi se niuno preteriva quest'ordine era
subitamente ammazzato da gli altri. Morirono in queste battaglie dalla parte
de' franzesi molti fanti né pochi uomini d'arme ma degli inimici circa ottomila
uomini, parte del popolo parte de' soldati viniziani, che erano [cinquecento]
uomini d'arme [ottocento] cavalli leggieri e [ottomila] fanti; e tra questi
Federigo Contareno proveditore degli stradiotti, il quale combattendo in sulla
piazza fu morto di uno colpo di scoppietto: tutti gli altri furno presi,
eccetto dugento stradiotti i quali fuggirono per un piccolo portello che è alla
porta di San Nazzaro, ma con fortuna poco migliore perché, riscontrando in
quella parte de' franzesi che era rimasta fuora della terra, furno quasi tutti
o morti o presi. I quali entrati poi dentro senza fatica, per la medesima
porta, cominciorno essi ancora, godendo le fatiche e i pericoli degli altri, a
saccheggiare. Rimasono prigioni Andrea Gritti e Antonio Giustiniano mandato dal
senato per podestà di quella città, Giampaolo Manfrone e il figliuolo, il
cavaliere della Golpe, Baldassarre di Scipione, uno figliuolo di Antonio de'
Pii, il conte Luigi Avogaro e un altro figliuolo, Domenico Busicchio capitano
di stradiotti. Fu nel saccheggiare salvato, per comandamento di Fois, l'onestà
de' monasteri delle donne, ma la roba e gli uomini rifuggitivi furno preda de'
capitani. Fu il conte Luigi in sulla piazza publica decapitato, saziando Fois
gli occhi propri del suo supplicio; i due figliuoli, benché allora si
differisse il supplicio, patirono non molto poi la pena medesima. Così per le
mani de' franzesi, da' quali si gloriavano i bresciani essere discesi, cadde in
tanto sterminio quella città, non inferiore di nobiltà e di degnità ad alcuna
altra di Lombardia, ma di ricchezze, eccettuato Milano, superiore a tutte
l'altre; la quale, essendo in preda le cose sacre e le profane, né meno la vita
e l'onore delle persone che la roba, stette sette dì continui esposta alla
avarizia alla libidine e alla licenza militare. Fu celebrato per queste cose
per tutta la cristianità con somma gloria il nome di Fois, che con la ferocia e
celerità sua avesse, in tempo di quindici dì, costretto l'esercito
ecclesiastico e spagnuolo a partirsi dalle mura di Bologna, rotto alla campagna
Giampaolo Baglione con parte delle genti de' viniziani, recuperata Brescia con
tanta strage de' soldati e del popolo; di maniera che per universale giudicio
si confermava, non avere, già parecchi secoli, veduta Italia nelle opere
militari una cosa simigliante.
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