XII. Le forze del Fois, suo desiderio di affrontare i nemici, e ritirata di
questi. Il re di Francia ordina di affrettare l'azione, per la tregua conclusa
fra Massimiliano e i veneziani. Presa e sacco di Russi. L'esercito francese
sotto Ravenna. Vano assalto alla città difesa da Marcantonio Colonna.
Mossosi adunque
Fois da Brescia, venne al Finale, ove poiché per alcuni dì fu soggiornato per
fare massa di vettovaglie le quali si conducevano di Lombardia, e per raccorre
tutte le genti che il re aveva in Italia, eccetto quelle che per necessità
rimanevano alla guardia delle terre, impedito ancora da' tempi molto piovosi,
venne a San Giorgio nel bolognese: nel quale luogo gli sopravennono, mandati di
nuovo di Francia, tremila fanti guasconi mille venturieri e mille piccardi,
eletti fanti e appresso a franzesi di nome grande: di maniera che in tutto,
secondo il numero vero, erano seco cinquemila fanti tedeschi cinquemila
guasconi e ottomila parte italiani parte del reame di Francia, e mille secento
lancie, computando in questo numero i dugento gentiluomini. A questo esercito
si doveva congiugnere il duca di Ferrara, con cento uomini d'arme dugento
cavalli leggieri e con apparato copioso di ottime artiglierie: perché Fois,
impedito a condurre le sue per terra dalla difficoltà delle strade, l'aveva
lasciate al Finale. Veniva medesimamente nell'esercito il cardinale di San
Severino, diputato legato di Bologna dal concilio, cardinale feroce e più
inclinato all'armi che agli esercizi o pensieri sacerdotali. Ordinate in questo
modo le cose si indirizzò contro agli inimici, ardente di desiderio di
combattere così per i comandamenti del re, che ogni dì più lo stimolava, come
per la ferocia naturale del suo spirito e per la cupidità della gloria, accesa
più per la felicità de' successi passati; non perciò traportato tanto da questo
ardore che avesse nell'animo di assaltargli temerariamente, ma appropinquandosi
a' loro alloggiamenti tentare se spontaneamente venissino alla battaglia in
luogo dove la qualità del sito non facesse inferiori le sue condizioni, o
veramente, con impedire le vettovaglie, ridurgli a necessità di combattere. Ma
molto differente era la intenzione degli inimici; nell'esercito de' quali, poi
che sotto scusa di certa quistione se ne era partita la compagnia del duca di
Urbino, essendo, secondo si diceva, mille quattrocento uomini d'arme mille
cavalli leggieri e settemila fanti spagnuoli e tremila italiani soldati
nuovamente, e riputandosi che i franzesi oltre all'eccedergli di numero
avessino più valorosa cavalleria, non pareva loro sicuro il combattere in luogo
pari, almeno insino a tanto non sopravenissino seimila svizzeri, i quali avendo
di nuovo consentito i cantoni di concedere, si trattava a Vinegia (dove per
questo erano andati il cardinale sedunense e dodici imbasciadori di quella
nazione) di soldargli a spese comuni del pontefice e de' viniziani.
Aggiugnevasi la volontà del re d'Aragona, il quale per lettere e per uomini
propri aveva comandato che, quanto fusse in potestà loro, s'astenessino dal
combattere; perché, sperando principalmente in quello di che il re di Francia
temeva principalmente, cioè che, differendosi insino a tanto che dal re di
Inghilterra e da lui si cominciasse la guerra in Francia, sarebbe quel re
necessitato a richiamare o tutte o la maggiore parte delle genti di là da'
monti, e conseguentemente si vincerebbe la guerra in Italia senza sangue e
senza pericolo: per la quale ragione arebbe, insino da principio, se non
l'avessino commosso la instanza e le querele gravi del pontefice, proibito che
si tentasse la espugnazione di Bologna. Dunque, il viceré di Napoli e gli altri
capitani aveano deliberato di alloggiare sempre propinqui allo esercito
franzese, perché non gli rimanesse in preda le città di Romagna e aperto il
cammino di andare a Roma, ma porsi continuamente in luoghi sì forti, o per i
siti o per avere qualche terra grossa alle spalle, che i franzesi non potessino
assaltargli senza grandissimo disavvantaggio; e perciò non tenere conto né fare
difficoltà di ritirarsi tante volte quante fusse di bisogno, giudicando, come
uomini militari, non doversi attendere alle dimostrazioni e romori ma
principalmente a ottenere la vittoria, dietro alla quale séguita la riputazione
la gloria e le laudi degli uomini: per la quale deliberazione, il dì che
l'esercito franzese alloggiò a Castelguelfo e a Medicina, essi che erano
alloggiati appresso a detti luoghi si ritirorono alle mura d'Imola. Passorno il
dì seguente i franzesi un miglio e mezzo appresso a Imola, stando gli inimici
in ordinanza nel luogo loro; ma non volendo assaltargli con tanto
disavvantaggio, passati più innanzi, alloggiò l'avanguardia a Bubano castello
distante da Imola quattro miglia, l'altre parti dell'esercito a Mordano e
Bagnara terre vicine l'una all'altra poco più di uno miglio, eleggendo di
alloggiare sotto la strada maestra per la comodità delle vettovaglie; le quali
si conducevano dal fiume del Po sicuramente, perché Lugo, Bagnacavallo e le
terre circostanti, abbandonate dagli spagnuoli come Fois entrò nel bolognese,
erano ritornate alla divozione del duca di Ferrara. Andorno l'altro giorno gli
spagnuoli a Castel Bolognese, lasciato nella rocca di Imola presidio
sufficiente e nella terra sessanta uomini d'arme sotto Giovanni Sassatello,
alloggiando in sulla strada maestra e distendendosi verso il monte; e il dì
medesimo i franzesi presono per forza il castello di Solarolo, e si arrenderono
loro Cotignola e Granarolo, ove stettono il dì seguente, e gli inimici si
fermorno nel luogo detto il Campo alle Mosche. Nelle quali piccole mutazioni e
luoghi tanto vicini procedeva l'uno e l'altro esercito in ordinanza, con
l'artiglieria innanzi e con la faccia volta agli inimici, come se a ogni ora
dovesse cominciare la battaglia; e nondimeno, procedendo amendue con
grandissima circospezione e ordine: l'uno per non si lasciare stringere a fare
giornata se non in luogo dove il vantaggio del sito ricompensasse il
disavvantaggio del numero e delle forze; l'altro per condurre in necessità di
combattere gli inimici, ma in modo che in uno tempo medesimo non avessino la
repugnanza dell'armi e del sito.
Ebbe Fois in
questo alloggiamento nuove commissioni dal re che accelerasse il fare la
giornata, augumentando le medesime cagioni che l'aveano indotto a fare il primo
comandamento. Perché avendo i viniziani, benché indeboliti per il caso di
Brescia, e astretti prima da' prieghi e poi da' protesti e minaccie del
pontefice e del re d'Aragona, recusato pertinacemente la pace con Cesare se non
si consentiva che ritenessino Vicenza, si era finalmente fatta tregua tra loro
per otto mesi, innanzi al pontefice, con patto che ciascuno ritenesse quello
possedeva e che pagassino a Cesare cinquantamila fiorini di Reno: onde non
dubitando più il re della sua alienazione, fu nel tempo medesimo certificato
d'avere a ricevere la guerra di là da' monti. Perché Ieronimo Cabaviglia,
oratore del re d'Aragona appresso a lui, fatta instanza di parlargli, presente
il consiglio, aveva significato avere comandamento dal suo re di partirsi, e
confortatolo in nome suo che desistesse dal favorire contro alla Chiesa i
tiranni di Bologna, e da turbare per una causa sì ingiusta una pace di tanta
importanza e tanto utile alla republica cristiana: offerendo, se per la
restituzione di Bologna temeva di ricevere qualche danno, di assicurarlo con
tutti i modi i quali esso medesimo desiderasse; e in ultimo soggiugnendo che
non poteva mancare, come era debito di ciascuno principe cristiano, alla difesa
della Chiesa. Perciò Fois, già certo non essere a proposito l'accostarsi agli
inimici, perché, per la comodità che avevano delle terre di Romagna, non si
potevano se non con molta difficoltà interrompere loro le vettovaglie, né
sforzargli, senza disavvantaggio grande, alla giornata, indotto anche perché
ne' luoghi dove era l'esercito suo pativa di vettovaglie, deliberò con
consiglio de' suoi capitani di andare a campo a Ravenna; sperando che gli
inimici, per non diminuire tanto di riputazione, non volessino lasciare perdere
in su gli occhi loro una città tale, e così avere occasione di combattere in
luogo eguale: e per impedire che l'esercito inimico, presentendo questo, non si
accostasse a Ravenna si pose tra Cotignuola e Granarolo, lontano sette miglia
da loro; dove stette fermo quattro dì, aspettando da Ferrara dodici cannoni e
dodici pezzi minori d'artiglieria. La deliberazione del quale congetturando gli
inimici mandorno a Ravenna Marcantonio Colonna, il quale innanzi consentisse
d'andarvi bisognò che il legato, il viceré, Fabrizio, Pietro Navarra e tutti
gli altri capitani gli obligassino ciascuno la fede sua di andare con tutto
l'esercito, se i franzesi vi s'accampavano, a soccorrerlo; e con Marcantonio
andorno sessanta uomini d'arme della sua compagnia, Pietro da Castro con cento
cavalli leggieri, e Sallazart e Parades con secento fanti spagnuoli; il resto
dello esercito si fermò alle mura di Faenza, dalla porta per la quale si va a
Ravenna. Ove mentre stavano feciono con gli inimici una grossa scaramuccia: e
in questo tempo Fois mandò cento lancie e mille cinquecento fanti a pigliare il
castello di Russi, guardato solamente dagli uomini propri; i quali benché da
principio, secondo l'uso della moltitudine, dimostrassino audacia, nondimeno, succedendo
quasi subito in luogo di quella il timore, cominciorno il dì medesimo a
trattare di arrendersi: per i quali ragionamenti i franzesi, vedendo allentata
la diligenza del guardare, entrativi impetuosamente messono la terra a sacco;
nella quale ammazzorno più di dugento uomini, gli altri feciono prigioni. Da
Russi si accostò Fois a Ravenna, e il dì seguente alloggiò appresso alle mura,
tra i due fiumi in mezzo de' quali, è situata quella città.
Nascono ne'
monti Apennini, ove partono la Romagna dalla Toscana, il fiume del Ronco detto
dagli antichi Vitis, e il fiume del Montone, celebrato perché, eccettuato il
Po, è il primo, de' fiumi che nascono dalla costa sinistra dello Apennino, che
entri in mare per proprio corso: questi, mettendo in mezzo la città di Furlì,
il Montone dalla mano sinistra quasi congiunto alle mura, il Ronco dalla destra
ma distante circa due miglia, si ristringono in sì breve spazio presso a
Ravenna che l'uno dall'una parte l'altro dall'altra passano congiunti alle sue
mura; sotto le quali mescolate insieme l'acque entrano nel mare, lontano ora
tre miglia ma che già, come è fama, bagnava le mura. Occupava lo spazio tra
l'uno e l'altro di questi due fiumi l'esercito di Fois, avendo la fronte del
campo a porta Adriana quasi contigua alla ripa del Montone. Piantorono la notte
prossima l'artiglierie, parte contro alla torre detta Rancona situata tra la
porta Adriana e il Ronco, parte di là dal Montone, dove per uno ponte gittato
in sul fiume era passata una parte dello esercito: accelerando quanto potevano
il battere per prevenire a dare la battaglia innanzi che gli inimici, i quali
sapevano già essere mossi, si accostassino; né meno perché erano ridotti in
grandissima difficoltà di vettovaglie, atteso che le genti viniziane, che si
erano fermate a Ficheruolo, con legni armati impedivano quelle che si
conducevano di Lombardia, e avendo affondate certe barche alla bocca del canale
che entra in Po dodici miglia appresso a Ravenna e si conduce a due miglia
presso a Ravenna, impedivano l'entrarvi quelle che venivano da Ferrara in su
legni ferraresi, le quali condurre per terra in su le carra era difficile e
pericoloso. Era oltre a questo molto incomodo e con pericolo l'andare a
saccomanno, perché erano necessitati discostarsi sette o otto miglia dal campo.
Dalle quali cagioni astretto Fois deliberò dare il dì medesimo la battaglia,
ancora che conoscesse che era molto difficile l'entrarvi, perché del muro
battuto non era rovinata più che la lunghezza di trenta braccia né per quello
si poteva entrare se non con le scale, conciossiaché fusse rimasta l'altezza da
terra poco meno di tre braccia: le quali difficoltà per superare con la virtù e
con l'ordine, e per accendergli con l'emulazione tra loro medesimi, partì in
tre squadroni distinti l'uno dall'altro i fanti tedeschi italiani e franzesi,
ed eletti di ciascuna compagnia di gente d'arme dieci de' più valorosi, impose
loro che coperti dalle medesime armi colle quali combattono a cavallo andassino
a piede innanzi a' fanti; i quali accostatisi al muro dettono l'assalto molto
terribile, difendendosi egregiamente quegli di dentro, con laude grande di
Marcantonio Colonna, il quale non perdonando né a fatica né a pericolo
soccorreva ora qua ora là secondo che più era di bisogno. Finalmente i
franzesi, perduta la speranza di spuntare gli inimici, e percossi con grave
danno per fianco da una colubrina piantata in su uno bastione, avendo
combattuto per spazio di tre ore, si ritirorno agli alloggiamenti, perduti
circa trecento fanti e alcuni uomini d'arme e feritine quantità non minore, e
tra gli altri Ciattiglione e Spinosa capitano dell'artiglierie, i quali
percossi dall'artiglierie di dentro pochi dì poi morirono. Fu ancora ferito
Federigo da Bozzole ma leggiermente.
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