XIII. L'esercito dei collegati si stanzia a tre miglia da Ravenna;
deliberazione del Fois di assaltarlo. Ordine dell'esercito francese e parole
del Fois ai soldati. Ordine dell'esercito dei collegati. La battaglia di
Ravenna. Le perdite de' due eserciti. Sacco di Ravenna, l'esercito francese
dopo la morte del Fois.
Convertironsi
dipoi il dì seguente i pensieri dal combattere le mura al combattere con gli
inimici; i quali, alla mossa dello esercito franzese, volendo osservare la fede
data a Marcantonio, entrati a Furlì, tra i fiumi medesimi e dopo alquante
miglia passato il fiume del Ronco, venivano verso Ravenna. Nel quale tempo i
cittadini della terra, impauriti per la battaglia data il dì precedente,
mandorono senza saputa di Marcantonio uno di loro a trattare di arrendersi. Il
quale mentre va innanzi e indietro con le risposte, ecco scoprirsi l'esercito
inimico che camminava lungo il fiume. Alla vista del quale si levò subito con
grandissimo romore in armi l'esercito franzese, armati tutti entrorno ne' loro
squadroni, levoronsi tumultuosamente dalle mura l'artiglierie e levate si
voltorno verso gli inimici; consultando intrattanto Fois con gli altri capitani
se fusse da passare all'ora medesima il fiume per opporsi che non entrassino in
Ravenna: il che o non arebbono deliberato di fare, o almeno era impossibile
coll'ordine conveniente e con la prestezza necessaria; dove a loro fu facile
l'entrare quel giorno in Ravenna, per il bosco della Pigneta che è tra 'l mare
e la città: la qual cosa costrigneva i franzesi a partirsi, per la penuria
delle vettovaglie, disonoratamente della Romagna. Ma essi, o non conoscendo
l'occasione e temendo di non essere sforzati, mentre camminavano, a combattere
in campagna aperta, o giudicando per l'approssimarsi loro essere abbastanza
soccorsa Ravenna, perché Fois non ardirebbe più di darvi la battaglia, si
fermorno contro all'espettazione di tutti appresso a tre miglia a Ravenna, dove
si dice il Mulinaccio, e fermati attesono, tutto il rimanente di quel dì e la
notte seguente, a fare lavorare un fosso, tanto largo e tanto profondo quanto
patì la brevità del tempo, innanzi alla fronte del loro alloggiamento. Nel qual
tempo si consigliava, non senza diversità di pareri, tra' capitani franzesi.
Perché dare di nuovo l'assalto alla città era giudicato di molto pericolo,
avendo innanzi a sé poca apertura del muro e alle spalle gli inimici; inutile
il soprasedere, senza speranza di fare più effetto alcuno, anzi impossibile per
la carestia delle vettovaglie; e il ritirarsi rendere agli spagnuoli maggiore
riputazione di quella che essi col farsi innanzi avevano i dì precedenti
guadagnata: pericolosissimo, e contro alle deliberazioni sempre fatte, l'assaltargli
nel loro alloggiamento, il quale si pensava avessino fortificato; e tra tutti i
pericoli doversi più fuggire quello dal quale ne potevano succedere maggiori
mali, né potersi disordine o male alcuno pareggiare all'essere rotti. Nelle
quali difficoltà fu alla fine deliberato, confortando massimamente Fois questa
deliberazione come cosa più gloriosa e più sicura, andare, come prima apparisse
il dì, ad assaltare gli inimici: secondo la quale deliberazione, gittato la
notte il ponte in sul Ronco e spianati, per facilitare il passare, gli argini
delle ripe da ogni parte, la mattina all'aurora che fu l'undecimo dì d'aprile,
dì solennissimo per la memoria della santissima Resurrezione, passorno per il
ponte i fanti tedeschi, ma quasi tutti quegli della avanguardia e della
battaglia passorno a guazzo il fiume; il retroguardo guidato da Ivo di Allegri,
nel quale erano quattrocento lancie, rimase in sulla riva del fiume verso
Ravenna, perché secondo il bisogno potesse soccorrere all'esercito e opporsi se
i soldati o il popolo uscissino di Ravenna; e alla guardia del ponte, gittato
prima in sul Montone, fu lasciato Paris Scoto con mille fanti.
Preparoronsi
con questo ordine i franzesi alla battaglia. L'avanguardia con l'artiglierie
innanzi, guidata dal duca di Ferrara, e ove era anche il [generale] di
Normandia con settecento lancie e co' fanti tedeschi, fu collocata in sulla
riva del fiume che era loro a mano destra, stando i fanti alla sinistra della
cavalleria. Allato all'antiguardia, pure per fianco, furno posti i fanti della
battaglia, ottomila, parte guasconi parte piccardi; e dipoi, allargandosi pure
sempre tanto più dalla riva del fiume, fu posto l'ultimo squadrone de' fanti
italiani guidati da Federico da Bozzole e da... degli Scotti, nel quale non
erano più che cinquemila fanti, perché con tutto che Fois, passando innanzi a
Bologna, avesse raccolti quelli che vi erano a guardia, molti si erano fuggiti
per la strettezza de' pagamenti; e allato a questo squadrone, tutti gli arcieri
e cavalli leggieri che passavano il numero di tremila. Dietro a tutti questi
squadroni, i quali non distendendosi per linea retta ma piegandosi facevano
quasi forma di mezza luna, dietro a tutti, in sulla riva del fiume erano
collocate le secento lancie della battaglia, guidate dal la Palissa e insieme
dal cardinale di San Severino legato del concilio, il quale grandissimo di
corpo e di vasto animo, coperto dal capo insino a' piedi d'armi lucentissime,
faceva molto più l'ufficio del capitano che di cardinale o di legato. Non si
riservò Fois luogo o cura alcuna particolare, ma eletti di tutto l'esercito
trenta valorosissimi gentiluomini volle essere libero a provedere e soccorrere
per tutto, facendolo manifestamente riconoscere dagli altri lo splendore e la
bellezza dell'armi e la sopravesta, e allegrissimo nel volto, con gli occhi
pieni di vigore e quasi per la letizia sfavillanti. Come l'esercito fu
ordinato, salito in su l'argine del fiume, con facondia (così divulgò la fama)
più che militare, parlò accendendo gli animi dello esercito in questo modo:
- Quello che,
soldati miei, noi abbiamo tanto desiderato, di potere nel campo aperto
combattere con gli inimici, ecco che, questo dì, la fortuna stataci in tante
vittorie benigna madre ci ha largamente conceduto, dandoci l'occasione
d'acquistare con infinita gloria la più magnifica vittoria che mai alla memoria
degli uomini acquistasse esercito alcuno: perché non solo Ravenna non solo
tutte le terre di Romagna resteranno esposte alla vostra discrezione ma saranno
parte minima de' premi del vostro valore; conciossiaché, non rimanendo più in
Italia chi possa opporsi all'armi vostre, scorreremo senza resistenza alcuna
insino a Roma; ove le ricchezze smisurate di quella scelerata corte, estratte
per tanti secoli dalle viscere de' cristiani, saranno saccheggiate da voi:
tanti ornamenti superbissimi tanti argenti tanto oro tante gioie tanti
ricchissimi prigioni che tutto il mondo arà invidia alla sorte vostra. Da Roma,
colla medesima facilità, correremo insino a Napoli, vendicandoci di tante
ingiurie ricevute. La quale felicità io non so immaginarmi cosa alcuna che sia
per impedircela, quando io considero la vostra virtù la vostra fortuna
l'onorate vittorie che avete avute in pochi dì, quando io riguardo i volti vostri,
quando io mi ricordo che pochissimi sono di voi che innanzi agli occhi miei non
abbino con qualche egregio fatto data testimonianza del suo valore. Sono gli
inimici nostri quegli medesimi spagnuoli che per la giunta nostra si fuggirono
vituperosamente di notte da Bologna; sono quegli medesimi che, pochi dì sono,
non altrimenti che col fuggirsi alle mura d'Imola e di Faenza o ne' luoghi
montuosi e difficili, si salvorono da noi. Non combatté mai questa nazione nel
regno di Napoli con gli eserciti nostri in luogo aperto ed eguale ma con
vantaggio sempre o di ripari o di fiumi o di fossi, non confidatisi mai nella
virtù ma nella fraude e nelle insidie. Benché, questi non sono quegli spagnuoli
inveterati nelle guerre napoletane ma gente nuova e inesperta, e che non
combatté mai contro ad altre armi che contro agli archi e le freccie e le
lancie spuntate de' mori; e nondimeno rotti con tanta infamia, da quella gente
debole di corpo timida d'animo disarmata e ignara di tutte l'arti della guerra,
l'anno passato, all'Isola delle Gerbe; dove fuggendo questo medesimo Pietro
Navarra, capitano appresso a loro di tanta fama, fu esempio memorabile a tutto
il mondo che differenza sia a fare battere le mura con l'impeto della polvere e
con le cave fatte nascosamente sotto terra a combattere con la vera animosità e
fortezza. Stanno ora rinchiusi dietro a uno fosso fatto con grandissima paura
questa notte, coperti i fanti dall'argine e confidatisi nelle carrette armate
come se la battaglia si avesse a fare con questi instrumenti puerili e non con
la virtù dell'animo e con la forza de' petti e delle braccia. Caverannogli,
prestatemi fede, di queste loro caverne le nostre artiglierie, condurrannogli
alla campagna scoperta e piana: dove apparirà quello che l'impeto franzese la
ferocia tedesca e la generosità degli italiani vaglia più che l'astuzia e gli
inganni spagnuoli. Non può cosa alcuna diminuire la gloria nostra se non
l'essere noi tanto superiori di numero, e quasi il doppio di loro; e nondimeno,
l'usare questo vantaggio, poiché ce lo ha dato la fortuna, non sarà attribuito
a viltà nostra ma a imprudenza e temerità loro: i quali non conduce a
combattere il cuore o la virtù ma l'autorità di Fabbrizio Colonna, per le
promesse fatte inconsideratamente a Marcantonio; anzi la giustizia divina, per
castigare con giustissime pene la superbia ed enormi vizi di Giulio falso
pontefice, e tante fraudi e tradimenti usati alla bontà del nostro re dal
perfido re di Aragona. Ma perché mi distendo io più in parole? perché con
superflui conforti, appresso a soldati di tanta virtù, differisco io tanto la
vittoria quanto di tempo si consuma a parlare con voi? Fatevi innanzi
valorosamente secondo l'ordine dato, certi che questo dì darà al mio re la
signoria a voi le ricchezze di tutta Italia. Io vostro capitano sarò sempre in
ogni luogo con voi ed esporrò, come sono solito, la vita mia a ogni pericolo;
felicissimo più che mai fusse alcuno capitano poi che ho a fare, con la
vittoria di questo dì, più gloriosi e più ricchi i miei soldati che mai, da
trecento anni in qua, fussino soldati o esercito alcuno. -
Da queste
parole, risonando l'aria di suoni di trombe e di tamburi e di allegrissimi
gridi di tutto l'esercito, cominciorono a muoversi verso lo alloggiamento degli
inimici, distante dal luogo dove avevano passato il fiume manco di due miglia:
i quali, alloggiati distesi in su la riva del fiume che era loro da mano
sinistra, e fatto innanzi a sé uno fosso tanto profondo quanto la brevità del
tempo aveva permesso (che girando da mano destra cigneva tutto lo
alloggiamento), lasciato aperto per potere uscire co' cavalli a scaramucciare
in su la fronte del fosso uno spazio di venti braccia, dentro al quale
alloggiamento, come sentirno i franzesi cominciare a passare il fiume, si erano
messi in battaglia con questo ordine: l'avanguardia di ottocento uomini d'arme,
guidata da Fabrizio Colonna, collocata lungo la riva del fiume, e congiunto a
quella a mano destra uno squadrone di seimila fanti: dietro all'avanguardia,
pure lungo il fiume, era la battaglia di secento lancie, e allato uno squadrone
di quattromila fanti, condotta dal viceré, e con lui il marchese della Palude;
e in questa veniva il cardinale de' Medici, privo per natura in gran parte del
lume degli occhi, mansueto di costumi e in abito di pace, e nelle dimostrazioni
e negli effetti molto dissimile al cardinale di San Severino. Seguitava dietro
alla battaglia, pure in su la riva del fiume, il retroguardo di quattrocento
uomini d'arme condotto da Carvagial capitano spagnuolo, con lo squadrone allato
di quattromila fanti; e i cavalli leggieri, de' quali era capitano generale
Fernando Davalo marchese di Pescara, ancora giovanetto ma di rarissima
espettazione, erano posti a mano destra alle spalle de' fanti per soccorrere
quella parte che inclinasse: l'artiglierie erano poste alla testa delle genti
d'arme; e Pietro Navarra, che con cinquecento fanti eletti non si era obligato
a luogo alcuno, aveva in sul fosso alla fronte della fanteria collocato trenta
carrette che avevano similitudine de' carri falcati degli antichi, cariche di
artiglierie minute, con uno spiede lunghissimo sopra esse per sostenere più
facilmente l'assalto de' franzesi. Col quale ordine stavano fermi dentro alla
fortezza del fosso, aspettando che l'esercito inimico venisse ad assaltargli:
la quale deliberazione come non riuscì utile nella fine apparì similmente molto
nociva nel principio. Perché era stato consiglio di Fabrizio Colonna che si
percotesse negli inimici quando cominciorno a passare il fiume, giudicando
maggiore vantaggio il combattere con una parte sola che quello che dava loro
l'avere fatto innanzi a sé uno piccolo fosso; ma contradicendo Pietro Navarra,
i cui consigli erano accettati quasi come oracoli dal viceré, fu deliberato,
poco prudentemente, lasciargli passare.
Però, fattisi
innanzi i franzesi e già vicini circa dugento braccia al fosso, come veddeno
stare fermi gli inimici né volere uscire dello alloggiamento si fermorono, per
non dare quello vantaggio che essi cercavano d'avere. Così stette immobile
l'uno esercito e l'altro per spazio di più di due ore; tirando in questo tempo
da ogni parte infiniti colpi d'artiglierie, dalle quali pativano non poco i
fanti de' franzesi per avere il Navarra piantato l'artiglieria in luogo che
molto gli offendeva. Ma il duca di Ferrara, tirata dietro all'esercito una
parte dell'artiglierie, le condusse con celerità grande alla punta de'
franzesi, nel luogo proprio dove erano collocati gli arcieri: la quale punta,
per avere l'esercito forma curva, era quasi alle spalle degli inimici: donde
cominciò a battergli per fianco ferocemente, e con grandissimo danno, massime
della cavalleria, perché i fanti spagnuoli, ritirati dal Navarra in luogo basso
accanto all'argine del fiume e gittatisi per suo comandamento distesi in terra,
non potevano essere percossi. Gridava con alta voce Fabbrizio, e con
spessissime imbasciate importunava il viceré, che senza aspettare di essere
consumati da' colpi delle artiglierie si uscisse alla battaglia; ma ripugnava il
Navarra, mosso da perversa ambizione, perché presupponendosi dovere per la
virtù de' fanti spagnuoli rimanere vittorioso, quando bene fussino periti tutti
gli altri, riputava tanto augumentarsi la gloria sua quanto più cresceva il
danno dell'esercito. Ma era già tale il danno che nella gente d'arme e ne'
cavalli leggieri faceva l'artiglieria che più non si poteva sostenere; e si
vedevano, con miserabile spettacolo mescolato con gridi orribili, ora cadere
per terra morti i soldati e i cavalli ora balzare per aria le teste e le
braccia spiccate dal resto del corpo. Però Fabrizio, esclamando: - abbiamo noi
tutti vituperosamente a morire per la ostinazione e per la malignità di uno
marrano? ha a essere distrutto tutto questo esercito senza che facciamo morire uno
solo degli inimici? dove sono le nostre tante vittorie contro a' franzesi? ha
l'onore di Spagna e di Italia a perdersi per uno Navarro? - spinse fuora del
fosso la sua gente d'arme, senza aspettare o licenza o comandamento del viceré:
dietro al quale seguitando tutta la cavalleria, fu costretto Pietro Navarra
dare il segno a' suoi fanti; i quali, rizzatisi con ferocia grande, si
attaccorono co' fanti tedeschi che già s'erano approssimati a loro. Così
mescolate tutte le squadre cominciò una grandissima battaglia, e senza dubbio
delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia: perché e la giornata
del Taro era stata poco altro più che uno gagliardo scontro di lancie, e i
fatti d'arme del regno di Napoli furono più presto disordini o temerità che battaglie,
e nella Ghiaradadda non aveva dell'esercito de' viniziani combattuto altro che
la minore parte; ma qui, mescolati tutti nella battaglia, che si faceva in
campagna piana senza impedimento di acque o ripari, combattevano due eserciti
d'animo ostinato alla vittoria o alla morte, infiammati non solo dal pericolo
dalla gloria e dalla speranza ma ancora da odio di nazione contro a nazione. E
fu memorabile spettacolo che, nello scontrarsi i fanti tedeschi con gli
spagnuoli, messisi innanzi agli squadroni due capitani molto pregiati, Iacopo
Empser tedesco e Zamudio spagnuolo, combatterono quasi per provocazione; dove
ammazzato lo inimico restò lo spagnuolo vincitore. Non era, per l'ordinario,
pari la cavalleria dell'esercito della lega alla cavalleria de' franzesi, e
l'avevano il dì conquassata e lacerata in modo l'artiglierie che era diventata
molto inferiore: però, poi che ebbe sostentato per alquanto spazio di tempo più
col valore del cuore che colle forze l'impeto degli inimici, e sopravenendo
addosso a loro per fianco Ivo d'Allegri col retroguardo e co' mille fanti
lasciati al Montone, chiamato dal la Palissa, e preso già da' soldati del duca
di Ferrara Fabbrizio Colonna mentre che valorosamente combatteva, non potendo
più resistere voltò le spalle; aiutata anche dall'esempio de' capitani, perché
il viceré e Carvagial, non fatta l'ultima esperienza della virtù de' suoi, si
messono in fuga conducendone quasi intero il terzo squadrone; e con loro fuggì
Antonio De Leva, uomo allora di piccola condizione ma che poi, esercitato per
molti anni in tutti i gradi della milizia, diventò chiarissimo capitano. Erano
già stati rotti tutti i cavalli leggieri e preso il marchese di Pescara loro
capitano, pieno di sangue e di ferite; preso il marchese della Palude, il quale
per uno campo pieno di fosse e di pruni aveva condotto alla battaglia con
disordine grande il secondo squadrone; coperto il terreno di cavalli e d'uomini
morti; e nondimeno la fanteria spagnuola, abbandonata da' cavalli, combatteva
con incredibile ferocia; e se bene nel primo scontro co' fanti tedeschi era
stata alquanto urtata dall'ordinanza ferma delle picche, accostatasi poi a loro
alla lunghezza delle spade, e molti degli spagnuoli coperti dagli scudi entrati
co' pugnali tra le gambe de' tedeschi, erano con grandissima uccisione
pervenuti già quasi a mezzo lo squadrone. Presso a' quali i fanti guasconi,
occupata la via tra il fiume e l'argine, avevano assaltato i fanti italiani; i
quali, benché avessino patito molto dall'artiglieria, nondimeno gli rimettevano
con somma laude se con una compagnia di cavalli non fusse entrato tra loro Ivo
d'Allegri: con maggiore virtù che fortuna, perché essendogli quasi subito
ucciso innanzi agli occhi propri Viverroé, suo figliuolo, egli non volendo
sopravivere a tanto dolore, gittatosi col cavallo nella turba più stretta degli
inimici, combattendo come si conveniva a fortissimo capitano e avendone già
morti di loro, fu ammazzato. Piegavano i fanti italiani non potendo resistere a
tanta moltitudine, ma una parte de' fanti spagnuoli, corsa al soccorso loro,
gli fermò nella battaglia; e i fanti tedeschi, oppressi dall'altra parte degli
spagnuoli, a fatica potevano più resistere: ma essendo già fuggita tutta la
cavalleria, si voltò loro addosso Fois con grande moltitudine di cavalli; per
il che gli spagnuoli, più tosto ritraendosi che scacciati dalla battaglia, non
perturbati in parte alcuna gli ordini loro, entrati in su la via che è tra il
fiume e l'argine, camminando di passo e con la fronte stretta, e però per la
fortezza di quella ributtando i franzesi, cominciorono a discostarsi. Nel qual
tempo il Navarra, desideroso più di morire che di salvarsi e però non si
partendo dalla battaglia, rimase prigione. Ma non potendo comportare Fois che
quella fanteria spagnuola se ne andasse, quasi come vincitrice, salva
nell'ordinanza sua, e conoscendo non essere perfetta la vittoria se questi come
gli altri non si rompevano, andò furiosamente ad assaltargli con una squadra di
cavalli, percotendo negli ultimi; da' quali attorniato e gittato da cavallo o,
come alcuni dicono, essendogli caduto mentre combatteva il cavallo addosso,
ferito d'una lancia in uno fianco fu ammazzato: e se, come si crede, è
desiderabile il morire a chi è nel colmo della maggiore prosperità, morte certo
felicissima, morendo acquistata già sì gloriosa vittoria. Morì di età molto
giovane, e con fama singolare per tutto il mondo, avendo in manco di tre mesi,
e prima quasi capitano che soldato, con incredibile celerità e ferocia ottenuto
tante vittorie. Rimase in terra appresso a lui con venti ferite Lautrech, quasi
per morto; che poi, condotto a Ferrara, per la diligente cura de' medici salvò
la vita.
Per la morte di
Fois furno lasciati andare senza molestia alcuna i fanti spagnuoli: il
rimanente dell'esercito era già dissipato e messo in fuga, presi i carriaggi,
prese le bandiere e l'artiglierie, preso il legato del pontefice, il quale
dalle mani degli stradiotti venuto in potestà di Federico da Bozzole fu da lui
presentato al legato del concilio; presi Fabrizio Colonna Pietro Navarra il
marchese della Palude quello di Bitonto il marchese di Pescara e molti altri
signori e baroni e onorati gentiluomini spagnuoli e del regno di Napoli. Niuna
cosa è più incerta che il numero de' morti nelle battaglie; nondimeno, nella
varietà di molti, si afferma più comunemente che trall'uno esercito e l'altro
morirno almeno diecimila uomini, il terzo de' franzesi i due terzi degli
inimici; altri dicono di molti più, ma senza dubbio quasi tutti i più valorosi
e più eletti, tra' quali, degli ecclesiastici, Raffaello de' Pazzi condottiere
di chiaro nome; e moltissimi feriti. Ma in questa parte fu senza comparazione
molto maggiore il danno del vincitore per la morte di Fois, di Ivo d'Allegri e
di molti uomini della nobiltà franzese; il capitano Iacob, e più altri valorosi
capitani della fanteria tedesca, alla virtù della quale si riferiva, ma con
prezzo grande del sangue loro, in non piccola parte la vittoria; molti
capitani, insieme con Molard, de' guasconi e de' piccardi: le quali nazioni
perderono, quel dì, appresso a' franzesi tutta la gloria loro. Ma tutto il
danno trapassò la morte di Fois, col quale mancò del tutto il nervo e la
ferocia di quello esercito. De' vinti che si salvorno nella battaglia fuggì la
maggiore parte verso Cesena, onde fuggivano ne' luoghi più distanti; né il
viceré si fermò prima che in Ancona, ove pervenne accompagnato da pochissimi
cavalli. Furonne svaligiati e morti molti nella fuga, perché e i paesani
correvano per tutto alle strade, e il duca di Urbino, il quale, mandato molti
dì prima Baldassarre da Castiglione al re di Francia, e avendo uomini propri
appresso a Fois, si credeva che occultamente avesse convenuto contro al zio,
non solo suscitò contro a quegli che fuggivano gli uomini del paese ma mandò
soldati a fare il medesimo nel territorio di Pesero: sole quelle che fuggirono
per le terre de' fiorentini, per comandamento degli ufficiali, e poi della
republica, passorno illese.
Ritornato
l'esercito vincitore agli alloggiamenti, i ravennati mandorno subito ad
arrendersi: ma, o mentre che convengono o che già convenuto attendono a
ordinare vettovaglie per mandarle nel campo, intermessa la diligenza del
guardare le mura, i fanti tedeschi e guasconi, entrati per la rottura del muro
battuto nella terra, crudelissimamente la saccheggiorno; accendendogli a
maggiore crudeltà, oltre all'odio naturale contro al nome italiano, lo sdegno
del danno ricevuto nella giornata. Lasciò, il quarto dì poi, Marcantonio
Colonna la cittadella nella quale si era rifuggito, salve le persone e la roba;
ma promettendo all'incontro insieme con gli altri capitani, di non prendere più
arme né contro al re di Francia né contro al concilio pisano insino alla
festività prossima di Maria Maddalena: né molti dì poi, 'l vescovo Vitello
preposto con cento cinquanta fanti alla rocca, concedutagli la medesima
facoltà, consentì di darla. Seguitorno la fortuna della vittoria le città di
Imola di Furlì di Cesena e di Rimini, e tutte le rocche della Romagna, eccetto
quelle di Furlì e di Imola: le quali tutte furno ricevute dal legato in nome
del concilio pisano. Ma l'esercito franzese, rimasto per la morte di Fois e per
tanto danno ricevuto come attonito, dimorava oziosamente quattro miglia
appresso a Ravenna; e incerti il legato e la Palissa (ne' quali era pervenuto
il governo, perché Alfonso da Esti se ne era già ritornato a Ferrara) quale
fusse la volontà del re, aspettavano le sue commissioni, non essendo anche
appresso a' soldati di tanta autorità che fusse bastante a fare muovere
l'esercito, implicato nel dispensare o mandare in luoghi sicuri le robe
saccheggiate, e indeboliti tanto di forze e di animo per la vittoria acquistata
con tanto sangue che parevano più simili a vinti che vincitori; onde tutti i
soldati con lamenti e con lacrime chiamavano il nome di Fois; il quale, non
impediti né spaventati da cosa alcuna, arebbono seguitato per tutto. Né si
dubitava che, tirato dallo impeto della sua ferocia e dalle promesse fattegli,
secondo si diceva, dal re, che a lui si acquistasse il reame di Napoli,
sarebbe, subito dopo la vittoria, con la consueta celerità corso a Roma, e che
il pontefice e gli altri, non avendo alcuna altra speranza di salvarsi, si
sarebbeno precipitosamente messi in fuga.
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