XIV. I cardinali premono sul pontefice per indurlo alla pace; per la
deliberazione contraria insistono gli ambasciatori del re d'Aragona e de'
veneziani; incertezza del pontefice più propenso alla guerra che alla pace.
Fuggevoli speranze di pace. Il pontefice incoraggiato dall'allontanarsi della
minaccia francese. Si apre il concilio lateranense.
Pervenne la
nuova della rotta a Roma il terzodecimo dì di aprile; portata da Ottaviano
Fregoso che corse co' cavalli delle poste da Fossombrone, e sentita con
grandissima paura e tumulto da tutta la corte. Però i cardinali, concorsi
subitamente al pontefice, lo strignevano con sommi prieghi che, accettando la
pace la quale non diffidavano potersi ottenere assai onesta dal re di Francia,
si disponesse a liberare oramai la sedia apostolica e la persona sua da tanti
pericoli: avere affaticato assai per la esaltazione della Chiesa e per la
libertà d'Italia, e acquistato gloria anche della sua santa intenzione;
essergli stata, in così pietosa impresa, avversa, come si era veduto per tanti
segni, la volontà di Dio, alla quale volersi opporre non essere altro che
mettere tutta la Chiesa in ultima ruina: appartenere più a Dio che a lui la
cura della sua sposa; però rimettessesene alla volontà sua e, abbracciando la
pace secondo il precetto dello evangelio, traesse di tanti affanni la sua
vecchiezza, lo stato della Chiesa e tutta la sua corte, che non bramava né
gridava altro che pace: essere da credere che già i vincitori si fussino mossi
per venire a Roma, co' quali sarebbe congiunto il suo nipote; congiugnerebbonsi
medesimamente Ruberto Orsino Pompeio Colonna Antimo Savello Pietro Margano e
Renzo Mancino (questi si sapeva che, ricevuti danari dal re di Francia, si
preparavano, insino innanzi alla giornata, per molestare Roma): a' quali
pericoli che altro rimedio essere che la pace? Da altra parte, gli imbasciadori
del re d'Aragona e del senato viniziano facevano in contrario gravissima
instanza, sforzandosi persuadergli non essere le cose tanto afflitte né ridotte
in tanto esterminio, né così dissipato l'esercito che non si potesse in
brevissimo tempo né con grave spesa riordinare: sapersi pure, il viceré essersi
salvato con la maggiore parte de' cavalli; essersi partita dal fatto d'arme
ristretta insieme in ordinanza la fanteria spagnuola, la quale se fusse salva,
come era verisimile, ogni altra perdita essere di piccolo momento; né aversi da
temere che i franzesi potessino venire verso Roma così presto che non avesse
tempo a provedersi, perché era necessario che alla morte del capitano fussino
accompagnati molti disordini e molti danni, ed essere per tenergli sospesi il
sospetto de' svizzeri, i quali non essere più da dubitare che si
dichiarerebbono per la lega e scenderebbono in Lombardia; né si potere sperare
di ottenere la pace dal re di Francia se non con condizioni ingiustissime e
piene di infamia, e aversi a ricevere anche le leggi dalla superbia di
Bernardino Carvagial e dalla insolenza di Federigo da San Severino: però,
ogn'altra cosa essere migliore che con tanta indignità e con tanta infamia
mettersi, sotto nome di pace, in acerbissima e infedelissima servitù, perché
non cesserebbeno mai quegli scismatici di perseguitare la degnità e la vita
sua; essere molto minore male, quando pure non si potesse fare altrimenti,
abbandonare Roma e ridursi con tutta la corte o nel reame di Napoli o a
Vinegia, dove starebbe con la medesima sicurtà e onore e con la medesima
grandezza; perché con la perdita di Roma non si perdeva il pontificato, annesso
sempre in qualunque luogo alla persona del pontefice: ritenesse pure la solita
costanza e magnanimità; perché Dio, scrutatore de' cuori degli uomini, non
mancherebbe d'aiutare il santissimo proposito suo né abbandonerebbe la
navicella di Pietro, solita a essere vessata dalle onde del mare ma non giammai
a sommergersi; e i prìncipi cristiani, concitati dal zelo della religione e dal
timore della troppa grandezza del re di Francia, piglierebbeno con tutte le
forze e con le persone proprie la sua difesa. Le quali cose udiva il pontefice
con somma ambiguità e sospensione, e in modo che si potesse facilmente
comprendere, combattere in lui da una parte l'odio lo sdegno e la pertinacia
insolita a essere vinta o a piegarsi, dall'altra il pericolo e il timore; e si
comprendeva anche, per le risposte faceva agl'imbasciadori, non gli essere
tanto molesto lo abbandonare Roma quanto il non potere ridursi in luogo alcuno
dove non fusse in potestà d'altri: però rispondeva a' cardinali volere la pace,
consentendo si ricercassino i fiorentini che se ne interponessino col re di
Francia, e nondimeno non ne rispondeva con tale risoluzione né con parole tanto
aperte che facessino piena fede della sua intenzione; aveva fatto venire da
Civitavecchia il Biascia genovese, capitano delle sue galee, onde si
interpetrava che e' pensasse a partirsi da Roma, e poco di poi l'aveva
licenziato; ragionava di soldare quegli baroni romani che non erano nella
congiura con gli altri, udiva volentieri i conforti de' due imbasciadori ma
rispondendo il più delle volte parole contumeliose e piene di sdegno. Nel qual
tempo sopravenne Giulio de' Medici cavaliere di Rodi, che fu poi pontefice, il
quale il cardinale Medici, ottenuta licenza dal cardinale Sanseverino, mandava
dall'esercito, in nome per raccomandarsegli in tanta calamità ma in fatto per
riferirgli lo stato delle cose: da cui avendo inteso pienamente quanto fussino
indeboliti i Franzesi, di quanti capitani fussino privati, quanto valorosa
gente avessino perduta, quanti fussino quegli che per molti dì erano inutili
per le ferite, guasti infiniti cavalli, dissipata parte dello esercito in vari
luoghi per il sacco di Ravenna, i capitani sospesi e incerti della volontà del
re, né molto concordi tra loro perché la Palissa recusava di comportare la
insolenza di San Severino che voleva fare l'officio di legato e di capitano,
sentirsi occulti mormorii della venuta de' svizzeri né vedersi segno alcuno che
quello esercito fusse per muoversi presto, dalla quale relazione confortato
molto il pontefice, introdottolo nel concistorio gli fece riferire a' cardinali
le cose medesime. E si aggiunse che il duca d'Urbino, quel che lo movesse,
mutato consiglio, gli mandò a offerire dugento uomini d'arme e quattromila
fanti. Perseveravano nondimeno i cardinali a stimolarlo alla pace: dalla quale
benché con le parole non si dimostrasse alieno, aveva nondimeno nell'[animo di
non l']accettare se non per ultimo e disperato rimedio; anzi, quando bene al
male presente non si dimostrasse medicina presente, aderiva più tosto al
fuggire di Roma, pure che non rimanesse al tutto disperato che e dall'armi de'
prìncipi avesse a essere aiutata la causa sua e specialmente che i svizzeri si
movessino; i quali, dimostrandosi inclinati a' suoi desideri, aveano molti dì
innanzi vietato agli imbasciadori del re di Francia di andare al luogo nel
quale, per determinare sopra le dimande del pontefice, convenivano i deputati
da tutti i cantoni.
Lampeggiò in
questo stato alcuna speranza della pace. Perché il re di Francia, innanzi si
facesse la giornata, commosso da tanti pericoli che gli soprastavano da tante
parti e sdegnato dalla varietà di Cesare e dalle dure leggi gli proponeva, e
perciò finalmente deliberato di cedere più tosto in molte cose alla volontà del
pontefice, aveva occultamente mandato Fabrizio Carretta fratello del cardinale
del Finale a' cardinali di Nantes e di Strigonia, che mai del tutto avevano
abbandonati i ragionamenti della concordia, proponendo essere contento che
Bologna si rendesse al pontefice, che Alfonso da Esti gli desse Lugo e tutte
l'altre terre teneva nella Romagna, obligassesi al censo antico e che più non
si facessino sali nelle sue terre, e che si estinguesse il concilio pisano; non
dimandando dal pontefice altro che la pace solamente con lui, che Alfonso da Esti
fusse assoluto dalle censure e reintegrato nelle antiche ragioni e privilegi
suoi, che a' Bentivogli, i quali stessino in esilio, fussino riservati i beni
propri, e restituiti alle degnità i cardinali e prelati che aveano aderito al
concilio: le quali condizioni, benché i due cardinali temessino che essendo di
poi succeduta la vittoria non fussino più consentite dal re, né ardirono
proporle in altra maniera, né egli, essendo tanto onorate per lui, né volendo
ancora manifestare quella occulta deliberazione che aveva nell'animo, potette
recusarle; anzi forse giudicò essere più utile ingegnarsi di fermare con questi
ragionamenti l'armi del re, per avere maggiore spazio di tempo a vedere i
progressi di coloro ne’ quali si collocavano le reliquie delle speranze sue.
Però, facendo del medesimo instanza tutti i cardinali, sottoscrisse, il nono dì
dalla giornata, questi capitoli, aggiugnendo a' cardinali la fede di
accettargli se il re gli confermava; e al cardinale del Finale, che dimorava in
Francia, ma assente, per non offendere il pontefice, dalla corte, e al vescovo
di Tivoli, il quale teneva in Avignone il luogo del legato, commesse per
lettere si trasferissino al re per trattare queste cose; ma non espedì loro né
mandato né possanza di conchiuderle.
Insino a questo
termine procedettono i mali del pontefice, insino a questo dì fu il colmo delle
sue calamità e de' suoi pericoli: ma dopo quel dì cominciorno a dimostrarsi
continuamente le speranze maggiori, e a volgersi alla grandezza sua, senza
alcuno freno, la ruota della fortuna. Dette principio a tanta mutazione la
partita subita del la Palissa di Romagna; il quale, richiamato dal generale di
Normandia per il romore che cresceva della venuta de' svizzeri, si mosse
coll'esercito verso il ducato di Milano, lasciati in Romagna, sotto il legato
del concilio, trecento lancie trecento cavalli leggieri e seimila fanti con
otto pezzi grossi di artiglieria: e rendeva maggiore il timore che s'aveva de'
svizzeri che il medesimo generale, pensando più a farsi grato al re che a
fargli beneficio, aveva, contro a quel che ricercavano le cose presenti,
licenziati imprudentemente, subito che fu acquistata la vittoria, i fanti
italiani e una parte de' franzesi. La partita del la Palissa assicurò il
pontefice da quel timore che più gli premeva, confermollo nella pertinacia e
gli dette facilità di fermare le cose di Roma; per le quali aveva soldati
alcuni baroni di Roma con trecento uomini d'arme, e trattava di fare capitano
generale Prospero Colonna: perché, indeboliti gli animi di chi tentava cose
nuove, Pompeio Colonna che si preparava a Montefortino consentì,
interponendosene Prospero, di diporre, per sicurtà del pontefice, in mano di
Marcantonio Colonna Montefortino, ritenendosi bruttamente i danari avuti dal re
di Francia; onde e Ruberto Orsino, che prima era venuto da Pitigliano nelle
terre de' Colonnesi per muovere l'armi, ritenendosi medesimamente i danari
avuti dal re, concordò poco poi per mezzo di Giulio Orsino, ricevuto dal
pontefice in premio della sua perfidia l'arcivescovado di Reggio nella
Calavria. Solo Pietro Margano si vergognò di ritenere i danari pervenuti a lui:
con consiglio migliore e più fortunato, perché, non molto tempo di poi, preso
nella guerra dal successore del presente re, arebbe col supplicio debito pagata
la pena della fraude.
Dalle quali
cose confermato molto l'animo del pontefice, poi che cessava il timore presente
degli inimici forestieri e de' domestici, dette il terzo dì di maggio, con
grandissima solennità, principio al concilio nella chiesa di San Giovanni in
Laterano, già certo che non solo vi concorrerebbe la maggiore parte di Italia,
ma la Spagna l'Inghilterra e l'Ungheria. Al quale principio intervenne egli
personalmente in abito pontificale, accompagnato dal collegio de' cardinali e
da moltitudine grande di vescovi; ove celebrata, oltre a molte altre preci,
secondo il costume antico, la messa dello Spirito santo, ed esortati con una
publica orazione i Padri a intendere con tutto il cuore al bene publico e alla
degnità della cristiana religione, fu dichiarato, per fare fondamento all'altre
cose che in futuro s’aveano a statuire, il concilio congregato essere vero,
legittimo e santo concilio, e in quello risedere indubitatamente tutta
l'autorità e potestà della Chiesa universale: cerimonie bellissime e
santissime, e da penetrare insino nelle viscere de' cuori degli uomini, se tali
si credesse che fussino i pensieri e i fini degli autori di queste cose quali
suonano le parole.
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