XV. Il re di Francia sempre più disposto alla pace col pontefice. Il
pontefice continua invece ad ostacolarla. Ossequi al cardinale de' Medici
prigione in Milano e legato apostolico. Il re di Francia richiama le milizie
nel ducato di Milano e rinnova la confederazione co' fiorentini.
Così, dopo la
battaglia di Ravenna, procedeva il pontefice. Ma il re di Francia, con tutto
che la letizia della vittoria perturbasse alquanto la morte di Fois, amatissimo
da lui, comandò subito che il legato e la Palissa conducessino l'esercito
quanto più presto si poteva a Roma: nondimeno, raffreddato il primo ardore,
incominciò a ritornare con tutto l'animo al desiderio della pace, parendogli
che troppo grave tempesta e da troppe parti sopravenisse alle cose sue. Perché
se bene Cesare continuasse nel promettere di volere stare congiunto con lui,
affermando la tregua fatta co' viniziani in suo nome essere stata fatta senza
suo consentimento e che non la ratificherebbe, nondimeno al re, oltre al timore
della sua incostanza e il non essere certo che queste cose non fussino dette
simulatamente, pareva avere, per le condizioni dimandava, compagno grave alla
guerra e dannoso alla pace; perché credeva che la interposizione sua l'avesse a
necessitare a consentire a più indegne condizioni: e oltre a questo non
dubitava più i svizzeri avere a essere congiunti con gli avversari; e dal re di
Inghilterra aspettava la guerra certa, perché quel re aveva mandato uno araldo
a intimargli che pretendeva essere finite tutte le confederazioni e convenzioni
che erano tra loro, perché in tutte si comprendeva l'eccezione: «pure
che e' non facesse guerra né con la Chiesa né col re cattolico suo suocero».
Perciò il re intese con piacere grande essere stati ricercati i fiorentini che
si interponessino alla pace, mandò subitamente a Firenze con amplissimo mandato
il presidente di Granopoli, perché trattasse di luogo più propinquo, e acciò
che, se così fusse espediente, potesse andare a Roma; e dipoi intesa per la
sottoscrizione de' capitoli la inclinazione, come pareva, più pronta del
pontefice, si inclinò interamente alla pace: benché temendo che per la partita
dell'esercito non ritornasse alla pertinacia consueta, commesse al la Palissa,
che già era pervenuto a Parma, che con parte delle genti ritornasse subito in
Romagna e che spargesse voci d'avere a procedere più oltre. Parevagli grave il
concedere Bologna, non tanto per la instanza che in nome di Cesare gli era
fatta in contrario quanto perché temeva che, eziandio fatta la pace, non
rimanesse il medesimo animo del pontefice contro a lui; e però essergli dannoso
il privarsi di Bologna, la quale difendeva come bastione e propugnacolo del
ducato di Milano: e oltre a questo, essendo venuti il cardinale del Finale e il
vescovo di Tivoli senza mandato a conchiudere, come circondato allora il papa
da tante angustie e pericoli, pareva conveniente segno che simulatamente avesse
consentito. Nondimeno, ultimatamente, deliberò accettare i capitoli predetti,
con alcune limitazioni ma non tali che turbassino le cose sostanziali: con la
quale risposta andò a Roma il secretario del vescovo di Tivoli, ricercando in
nome [del re] che 'l pontefice o mandasse il mandato per conchiudere al vescovo
predetto e al cardinale o che chiamasse da Firenze il presidente di Granopoli,
il quale aveva l'autorità amplissima di fare il medesimo.
Ma nel
pontefice augumentavano ogni dì le speranze, e per conseguente diminuiva se
inclinazione alcuna aveva avuta alla pace. Era arrivato il mandato del re di
Inghilterra per il quale, spedito insino di novembre, dava facoltà al cardinale
eboracense d'entrare nella lega; tardato tanto a venire per il lungo circuito
marittimo, perché prima era stato in Spagna: e Cesare, di nuovo, dopo lunghe
dubitazioni, aveva ratificato la tregua fatta co' viniziani, accendendolo sopra
tutto a questo le speranze dategli dal re cattolico e dal re di Inghilterra
sopra il ducato di Milano e la Borgogna, e mandato Alberto Pio a Vinegia.
Confermorno medesimamente non mediocremente la speranza del pontefice le
speranze grandissime dategli dal re di Aragona; il quale, avendo avuta la prima
notizia della rotta per lettere del re di Francia scritte alla reina (per le
quali gli significava, Gastone di Fois suo fratello essere morto con somma
gloria in una vittoria avuta contro agli inimici), e dipoi più partitamente per
gli avvisi de' suoi medesimi, i quali per le difficoltà del mare pervenivano
tardamente, e parendogli che il reame di Napoli ne rimanesse in grave pericolo,
aveva deliberato di mandare in Italia con supplemento di nuove genti il gran
capitano: al quale rimedio ricorreva per la scarsità degli altri rimedi,
perché, benché estrinsecamente l'onorasse, gli era per le cose passate nel
regno napoletano poco accetto, e per la grandezza e autorità sua sospetto.
Adunque, quando al pontefice confermato da tante cose pervenne il secretario
del vescovo di Tivoli co' capitoli trattati, e dandogli speranze che anche le
limitazioni aggiunte dal re per moderare l'infamia dell'abbandonare la
protezione di Bologna si ridurrebbono alla sua volontà, deliberato al tutto non
gli accettare, ma rispetto alla sottoscrizione sua e alla fede data al collegio
simulando il contrario, come contro alla fama della sua veracità usava qualche
volta di fare, gli fece leggere nel concistorio, dimandando consiglio da'
cardinali. Dopo le quali parole il cardinale arborense spagnuolo e il cardinale
eboracense (aveano così prima occultamente convenuto con lui), parlando l'uno
in nome del re d'Aragona l'altro in nome del re di Inghilterra, confortorno il
pontefice a perseverare nella costanza, né abbandonare la causa della Chiesa
che con tanta degnità aveva abbracciata, essendo già cessate le necessità che
l'aveano mosso a prestare l'orecchie a questi ragionamenti, e vedendosi manifestamente
che Dio, che per qualche fine incognito a noi aveva permesso che la navicella
sua fusse travagliata dal mare, non voleva che la perisse; né essere
conveniente né giusto fare pace per sé particolarmente e, avendo a essere
comune, trattarla senza partecipazione degli altri confederati ricordandogli in
ultimo che diligentemente considerasse quanto pregiudicio potesse essere alla
sedia apostolica e a sé l'alienarsi dagli amici veri e fedeli per aderire agli
inimici riconciliati. Da' quali consigli dimostrando il pontefice essere mosso
recusò apertamente la concordia, e pochi dì poi, procedendo coll'impeto suo,
pronunziò nel concistorio uno monitorio al re di Francia che rilasciasse, sotto
le pene ordinate da' sacri canoni, il cardinale de' Medici: benché consentì che
si soprasedesse a publicarlo, perché il collegio de' cardinali, pregandolo
differisse quanto poteva i rimedi severissimi, s'offerse scrivere al re in nome
di tutti, confortandolo e supplicandolo che, come principe cristianissimo, lo
liberasse. Era il cardinale de' Medici stato menato a Milano, dove era
onestamente custodito; e nondimeno, con tutto che fusse in potestà di altri,
riluceva nella persona sua l'autorità della sedia apostolica e la riverenza
della religione, e nel tempo medesimo il dispregio del concilio pisano; la
causa de' quali abbandonavano, con la divozione e con la fede, non solo gli
altri ma coloro ancora che l'aveano accompagnata e favorita con l'armi. Perché
avendo il pontefice mandatogli facoltà di assolvere dalle censure i soldati che
promettessino di non andare coll'armi più contro alla Chiesa, e di concedere a
tutti i morti, per i quali fusse dimandata, la sepoltura ecclesiastica, era
incredibile il concorso e maravigliosa la divozione con la quale queste cose si
dimandavano e promettevano; non contradicendo i ministri del re, ma con
gravissima indegnazione de' cardinali, che innanzi agli occhi loro, nel luogo
proprio ove era la sedia del concilio, i sudditi e i soldati del re, contro
all'onore e utilità sua e nelle sue terre, vilipesa totalmente l'autorità del
concilio, aderissino alla Chiesa romana, riconoscendo con somma riverenza il
cardinale prigione come apostolico legato.
Per la tregua
ratificata da Cesare, ancora che gli agenti suoi che erano in Verona la
negassino, revocò il re di Francia parte delle genti che aveva alla guardia di
quella città come se più non vi fussino necessarie, e perché, avendo richiamato
di là da' monti per le minaccie del re di Inghilterra i dugento gentiluomini,
gli arcieri della sua guardia e dugento altre lancie, conosceva, per il
sospetto che augumentava de' svizzeri, avere bisogno di maggiore presidio nel
ducato di Milano. E per la medesima cagione aveva astretti i fiorentini a
mandargli in Lombardia trecento lancie, come per la difesa degli stati suoi di
Italia erano tenuti per i patti della confederazione; la quale perché finiva
fra due mesi, gli costrinse, essendo ancora fresca la riputazione della
vittoria, a confederarsi di nuovo seco per cinque anni, obligandosi alla difesa
dello stato loro con secento lancie, e i fiorentini promettendogli all'incontro
quattrocento uomini d'arme per la difesa di tutto quello possedeva in Italia:
benché, per fuggire ogni occasione di implicarsi in guerra col papa,
eccettuorno dall'obligazione generale della difesa la terra di Cotignuola, come
se la Chiesa vi potesse pretendere ragione.
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