VII. Speranze di accordi del re di Francia e segrete trattative col vescovo
Gurgense, coi veneziani e col re d'Aragona. Suoi vani tentativi di accordi con
gli svizzeri. Dispareri nel consiglio del re di Francia intorno alla politica
da seguirsi rispetto ai veneziani e a Cesare; sforzi del re d'Aragona per
conciliare i veneziani e Cesare.
Seguita l'anno
mille cinquecento tredici, non meno pieno di cose memorabili che l'anno
precedente. Nel principio del quale, cessando l'armi da ogni parte, perché né i
viniziani molestavano altri né alcuno si moveva contro a loro, il viceré andato
con tremila fanti a campo alla rocca di Trezzo l'ottenne, con patto che con le
cose loro partissino salvi quegli che vi erano dentro. Ma premevano gli animi
di tutti i pensieri delle cose future, sapendosi che il re di Francia, essendo
liberato dalle armi forestiere il regno suo, e preso animo dall'avere soldato
molti fanti tedeschi e accresciuto non poco il numero dell'ordinanza delle
lancie, niuna altra cosa più pensava che alla recuperazione del ducato di
Milano: la quale disposizione benché nel re fusse ardentissima, e desiderasse
sommamente accelerare la guerra mentre che le castella di Milano e di Cremona
si tenevano ancora per lui, nondimeno, considerando quanta difficoltà gli
facesse l'opposizione di tanti inimici, né sicuro che la state prossima non
l'assaltasse con apparati grandissimi il re d'Inghilterra, deliberava non
muovere cosa alcuna se o non separava dall'unione comune qualcuno de'
confederati o non si congiugnesse co' viniziani. Delle quali cose che qualcuna potesse
succedere se gli erano, insino l'anno precedente, presentate varie speranze.
Perché il vescovo Gurgense, quando da Roma andava a Milano, udito benignamente
nel cammino uno familiare del cardinale di San Severino, mandatogli in nome
della reina di Francia, aveva dipoi mandato secretamente in Francia uno de'
suoi, proponendo che il re s'obligasse ad aiutare Cesare contro a' viniziani,
contraessesi il matrimonio tra la seconda figliuola del re con Carlo nipote di
Cesare, alla quale si desse in dote il ducato di Milano; cedesse il re alla
figliuola e al futuro genero le ragioni le quali pretendeva avere al regno di
Napoli, e perché la sicurtà di Cesare non fussino le semplici parole e
promesse, che di presente venisse in potestà sua la sposa; e che ricuperato che
avesse il re il ducato di Milano fussino tenute da Cesare Cremona e la
Ghiaradadda. Sperava medesimamente il re potersi congiugnere i viniziani,
sdegnati sommamente quando il viceré occupò Brescia e molto più per le cose
convenute poi a Roma tra 'l pontefice e Cesare: perciò, insino allora, aveva
fatto venire occultissimamente alla corte Andrea Gritti, il quale, preso a
Brescia, dimorava ancora prigione in Francia; e operato che Gianiacopo da
Triulzi, in cui molto confidavano i viniziani, mandasse a Vinegia, sotto
simulazione d'altre faccende, un suo secretario. Offerivasigli similmente
qualche speranza di convenire col re di Aragona; il quale, come era consueto
trattare spesso le cose sue per mezzo di persone religiose, aveva occultamente
mandato in Francia due frati, acciocché, dimostrando avere zelo del bene
publico, cominciassino a trattare con la reina qualcosa attenente alla pace, o
universale o particolare, intra i due re: ma di questo era piccola speranza,
sapendo il re di Francia che egli si vorrebbe ritenere la Navarra, e a lui
essendo molto duro e pieno di somma indignità abbandonare quel re, che per
ridursi alla amicizia sua e sotto la speranza de' suoi aiuti era caduto in
tanta calamità.
Ma niuna cosa
più premeva al re di Francia che il desiderio di riconciliarsi i svizzeri,
conoscendo da questo dependere la vittoria certissima, per l'autorità
grandissima che aveva allora quella nazione per il terrore delle loro armi, e
perché pareva che avessino cominciato a reggersi non più come soldati mercenari
né come pastori ma vigilando, come in republica bene ordinata e come uomini
nutriti nell'amministrazione degli stati, gli andamenti delle cose, né
permettendo si facesse movimento alcuno se non secondo l'arbitrio loro. Però concorrevano
in Elvezia gli imbasciadori di tutti i prìncipi cristiani; il pontefice e quasi
tutti i potentati italiani pagavano annue pensioni per essere ricevuti nella
loro confederazione, e avere facoltà di soldare per la difesa propria, quando
n'avessino di bisogno, soldati di quella nazione: dalle quali cose insuperbiti,
e ricordandosi che coll'armi loro avea prima Carlo re di Francia conquassato lo
stato felice d'Italia, e che coll'armi loro Luigi suo successore aveva
acquistato il ducato di Milano, recuperata Genova e vinti i viniziani,
procedevano con ciascuno imperiosamente e insolentemente. E nondimeno al re di
Francia, oltre a' conforti di molti particolari della nazione e il persuadersi
che gli avessino a muovere l'offerte grandissime di danari, dava speranza che
avendo quegli che governavano Milano convenuto cogli oratori de' svizzeri, in
nome di Massimiliano Sforza, di dare loro, come prima egli avesse ricevuta la
possessione del ducato di Milano e delle fortezze, ducati cento cinquantamila,
e per spazio di venticinque anni quarantamila ducati ciascuno anno, ricevendolo
essi sotto la sua protezione e obligandosi a concedere de' loro fanti a' suoi
stipendi, nondimeno non avevano mai i cantoni ratificato. Perciò, nel principio
dell'anno presente, con tutto che prima avesse tentato invano che gli
imbasciadori, i quali intendeva mandare a trattare di queste cose, fussino
uditi, consentì per poterlo fare di dare loro libere le fortezze di Valdilugana
e di Lugarna, per ottenere con questo prezzo la udienza loro. Con tanta
indignità cercavano i prìncipi grandi l'amicizia di quella nazione. Venne
adunque per commissione del re [monsignore] della Tramoglia a Lucerna, nel qual
luogo era chiamata la dieta per udirlo; e benché raccolto con lieta fronte
conobbe presto essere, in quanto al ducato di Milano, vane le sue fatiche;
perché pochi dì innanzi sei de' cantoni avevano ratificato e suggellato i
capitoli fatti con Massimiliano Sforza, tre avevano deliberato di ratificare,
gli altri tre mostravano di stare ancora ambigui. Però, non parlando più delle
cose di Milano, proponeva che almanco aiutassino il re a recuperare Genova e
Asti, che nella capitolazione fatta con Massimiliano non si includevano. Alle
quali dimande il Triulzio per dare favore fece instanza di potere andare alla
dieta, sotto colore di trattare cose sue particolari; e gli fu concesso il
salvocondotto, ma con condizione che non trattasse di cosa alcuna attenente al
re di Francia: anzi, come fu giunto a Lucerna, gli fu fatto comandamento che
non parlasse né in publico né in privato con la Tramoglia. Finalmente, con
consentimento comune, furono ratificati da tutti i cantoni i capitoli fatti col
duca di Milano, denegate tutte le dimande del re di Francia, e aggiunto che non
se gli concedesse soldare fanti di quella nazione per servirsene né in Italia
né fuora d'Italia.
Perciò il re,
escluso da' svizzeri, conosceva essere necessario il riconciliarsi o con Cesare
o co' viniziani, i quali nel tempo medesimo trattavano ancora [con] Cesare: perché,
crescendo negli animi de' collegati il sospetto della riconciliazione loro col
re di Francia, consentiva Gurgense che essi ritenessino Vicenza. Ma dando animo
al senato quelle medesime ragioni che facevano timore agli inimici, negavano
volere più fare la pace se non si restituiva loro Verona, ricompensando Cesare
con maggiore somma di danari: nella qual dimanda trovando difficoltà, inclinati
tanto più all'amicizia franzese, convennono col secretario del Triulzio di
confederarsi col re, riferendosi alle prime capitolazioni fatte tra loro, per
le quali se gli dovevano Cremona e la Ghiaradadda; ma il secretario espresse
nella capitolazione che niente fusse valido se infra certo tempo non si
approvava dal re. Nel consiglio del quale erano varie dispute, quale fusse più
da desiderare, o la riconciliazione con Cesare o la confederazione co'
viniziani. Questa più approvavano Rubertet, secretario di grande autorità, il
Triulzio e quasi tutti i principali del consiglio, allegando quel che
l'esperienza presente aveva, con tanto danno, dimostrato della incostanza di
Cesare, l'odio che aveva contro al re e il desiderio di vendicarsi; penetrando
massime, da autori non leggieri, essere state in questo tempo qualche volta
parole sue, che aveva fissa nell'animo la memoria di diciassette ingiurie
ricevute da' franzesi, e che essendogli venuta la facoltà di vendicarle tutte
non voleva perderne la occasione; né per altro effetto trattarsi queste cose da
lui se non o per avere, per mezzo della riconciliazione fraudolenta, maggiore
comodità di nuocere, o almeno per interrompere quel che si sapeva trattarsi co'
viniziani o per raffreddare le preparazioni della guerra; né si potere scusare
né meritare compassione chi una volta ingannato da uno tornava incautamente a
confidarsi di lui. Replicava in contrario il cardinale di San Severino, mosso,
come dicevano gli avversari, più per lo studio delle parti contro al Triulzio
che per altre cagioni (perché in Milano aveva sempre, insieme co' fratelli,
seguitata la parte ghibellina): niuna cosa potere essere più utile al re che,
col congiugnersi con Cesare, rompere l'unione degli inimici, massime facendosi
la congiunzione per mezzo tale che si potesse sperare dovere essere durabile;
essendo proprio de' prìncipi preporre nelle loro deliberazioni sempre l'utilità
alla benivolenza agli odii e all'altre cupidità. E quale cosa potere a Cesare
fare beneficio maggiore che l'aiuto presente contro a viniziani? la speranza
d'avere a succedere il nipote nel ducato di Milano? Separato Cesare dagli altri,
non potere, per l'interesse del nipote e per gli altri rispetti, opporsi alla
autorità sua il re cattolico; né cosa alcuna potere più spaventare il pontefice
che questa: e per contrario essere piena di indignità la confederazione co'
viniziani, avendo a concedere loro Cremona e la Ghiaradadda, membri tanto
propri al ducato di Milano, per la recuperazione de' quali aveva il re
concitato tutto il mondo; e nondimeno, se non si divideva la unione degli
altri, non bastare a conseguire la vittoria la congiunzione co' viniziani.
Prevaleva finalmente questa sentenza per l'autorità della reina desiderosa
della grandezza della figliuola; pur che si potesse ottenere che insino alla
consumazione del matrimonio si conservasse appresso alla madre, la quale
obligasse la fede sua di tenerla in nome di Cesare come sposa destinata al
nipote, e di consegnarla al marito come prima l'età fusse abile al matrimonio:
ma certificato poi il re, Cesare non essere per convenire con questa
limitazione, più tosto queste cose essere state proposte da lui
artificiosamente per dargli causa di procedere più lentamente negli altri
pensieri, rimosso l'animo da questa pratica, rivocò Asparot fratello di
Lautrech, partito già dalla corte per andare a Gurgense con questa commissione.
Da altra parte, crescendo il timore dell'unione tra il re e i viniziani, il re
d'Aragona confortava Cesare alla restituzione di Verona, proponendogli il
trasferire, co' danari che arebbe da' viniziani e con l'esercito spagnuolo, la
guerra nella Borgogna. Il medesimo sentiva Gurgense, il quale, sperando potere
colla presenza muovere Cesare, ritornò in Germania: seguitandolo non solo don
Petro Durrea, venuto seco, ma ancora Giovambatista Spinello conte di Carriati,
imbasciadore del medesimo re appresso a' viniziani; avendo prima indotto il
senato, acciocché nuove difficoltà non interrompessino le speranze che si
trattavano, a fare tregua con Cesare per tutto il mese di marzo, data la fede
dagli oratori predetti che Cesare restituirebbe Verona, pur che a lui fussino promessi
in certi tempi dugento cinquantamila ducati e ciascuno anno ducati
cinquantamila.
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