XII. I francesi, dopo vari assalti alla città, si accampano a due miglia da
Novara. Parole di Mottino agli svizzeri per esortarli ad assalire gli
alloggiamenti nemici. Vittoria degli svizzeri e copiosi frutti di essa. Vicende
della guerra dei veneziani.
Non rimaneva
più niente al re di Francia, alla recuperazione intera degli stati perduti
l'anno dinanzi, che Novara e Como; le quali due città sole si tenevano ancora
in nome di Massimiliano Sforza in tutto il ducato di Milano. Ma era, con
infamia grande di tutti gli altri, destinata la gloria di questa guerra non a'
franzesi non a' fanti tedeschi non all'armi spagnuole, non alle viniziane, ma
solamente a' svizzeri: contro a' quali l'esercito franzese, lasciato in
Alessandria presidio sufficiente per sostenere le cose di là dal Po, si accostò
a Novara; feroce per tanti successi, per la confusione degli inimici rinchiusi
dentro alle mura, e per il timore già manifesto degli spagnuoli.
Rappresentavasi, oltre a queste cose, alla memoria degli uomini quasi come una
immagine e similitudine del passato: questa essere quella medesima Novara nella
quale era stato fatto prigione Lodovico Sforza padre del duca presente; essere
nel campo franzese quegli medesimi capitani... della Tramoglia e Gianiacopo da
Triulzi, e appresso al figliuolo militare alcune delle medesime bandiere e de'
medesimi capitani di quegli cantoni che allora il padre venduto aveano. Onde la
Tramoglia avea superbamente scritto al re che nel medesimo luogo gli darebbe
prigione il figliuolo, nel quale gli aveva dato prigione il padre. Batterno i
franzesi impetuosamente con l'artiglierie le mura, ma in luogo donde lo
scendere dentro era molto difficile e pericoloso, e dimostrando tanto di non
gli temere i svizzeri che mai patirno si chiudesse la porta della città di
verso il campo. Gittato in terra spazio sufficiente della muraglia, dettono
quegli di fuora molto ferocemente la battaglia, dalla quale si difesono con
grandissimo valore quegli di dentro; onde i franzesi, ritornati agli
alloggiamenti, inteso che il dì medesimo erano entrati in Novara nuovi
svizzeri, e avendo notizia aspettarsi Altosasso, capitano di fama grande, con
numero molto maggiore, disperati di poterla più spugnare, si discostorno il dì
seguente due miglia di Novara, sperando oramai di ottenere la vittoria più per
i disordini e mancamento di danari agli inimici che per l'impeto dell'armi. Ma
interroppe queste speranze la ferocia e ardentissimo spirito di Mottino uno de'
capitani de' svizzeri; il quale, chiamata la moltitudine in sulla piazza di
Novara, gli confortò con ferventissime parole che non aspettato il soccorso di
Altosasso, il quale doveva venire il prossimo dì, andassino ad assaltare gli
inimici a' loro alloggiamenti. Non patissino che la gloria della vittoria, la
quale poteva essere propria, fusse comune, anzi diventasse tutta d'altri;
imperocché, come le cose seguenti tirano a sé le precedenti, e l'augumento
cuopre la parte augumentata, non a essi ma a quegli che sopravenivano si
attribuirebbe tutta la laude.
- Quanto la
cosa disse Mottino - pare più difficile e più pericolosa tanto riuscirà più
facile e più sicura, perché quanto più sono gli accidenti improvisi e
inaspettati tanto più spaventano e mettono in terrore gli uomini. Niente meno
aspettano i franzesi, al presente, che 'l nostro assalto: alloggiati pure oggi,
non possono essere alloggiati se non disordinatamente e senza fortezza alcuna.
Solevano gli eserciti franzesi non avere ardire di combattere se non aveano
appresso i fanti nostri; hanno, da qualche anno in qua, avuto ardire di
combattere senza noi ma non mai contro a noi: quanto spavento, quanto terrore,
quando si vedranno furiosamente e improvisamente assaltati da coloro la virtù e
ferocia de' quali soleva essere il cuore e la sicurtà loro! Non vi muovino i
loro cavalli, le loro artiglierie; perché altra volta abbiamo esperimentato
quanto essi medesimi confidino in queste cose contro a noi. Gastone di Fois,
tanto feroce capitano, con tante lancie con tanti cannoni, non ci dette egli
sempre alla pianura la via quando, senza cavalli senza altre armi che le
picche, scendemmo, due anni sono, insino alle porte di Milano? Hanno seco ora i
fanti tedeschi, e questo è quello che mi muove, che mi accende: avendo in un
tempo medesimo occasione di dimostrare a colui che, con tanta avarizia con
tanta ingratitudine, dispregiò le nostre fatiche il nostro sangue, che mai
fece, né per sé né per il regno suo, peggiore deliberazione; e dimostrare a
coloro che pensorno l'opera loro essere sufficiente a privarci del nostro pane,
non essere pari i lanzchenech a' svizzeri, avere la medesima lingua la medesima
ordinanza, ma non già la medesima virtù la medesima ferocia. Una sola fatica è,
di occupare l'artiglierie, ma l'alleggerirà non essere poste in luogo
fortificato, l'assaltarle all'improviso, le tenebre della notte. Assaltandole
impetuosamente, è piccolissimo spazio di tempo quello nel quale possono
offenderti; e questo, interrotto dal tumulto dal disordine dalla subita
confusione. L'altre cose sono somma facilità; non ardiranno i cavalli venire a
urtare le nostre picche; molto meno, quella turba vile de' fanti franzesi e
guasconi verranno a mescolarsi con noi. Apparirà in questa deliberazione non
meno la prudenza nostra che la ferocia. È salita in tanta fama la nostra
nazione che non si può più conservare la gloria del nostro nome se non tentando
qualche cosa fuora dell'espettazione e uso comune di tutti gli uomini; e poi
che siamo intorno a Novara, il luogo ci ammunisce che non possiamo in altro
modo spegnere l'antica infamia, pervenutaci quando con Lodovico Sforza
militavamo alla medesima Novara. Andiamo adunque, con l'aiuto del sommo Dio,
persecutore degli scismatici degli scomunicati degli inimici del suo nome.
Andiamo a una vittoria, se saremo uomini, sicura e facile; della quale quanto
pare che sia maggiore il pericolo tanto sarà il nome nostro più glorioso e
maggiore: quanto sono maggiore numero gli inimici che noi, tanto più ci
arricchiranno le spoglie loro. -
Alle parole di
Mottino gridò ferocemente tutta la moltitudine, approvando ciascuno col braccio
disteso il detto suo; e dipoi egli, promettendo la vittoria certa, comandò che
andassino a riposarsi e procurare le persone loro, per mettersi, quando col
suono de' tamburi fussino chiamati, negli squadroni. Non fece mai la nazione
de' svizzeri né la più superba né la più feroce deliberazione: pochi contra
molti, senza cavalli e senza artiglierie contro a uno esercito potentissimo di
queste cose, non indotti da alcuna necessità, perché Novara era liberata dal
pericolo, e aspettavano il dì seguente non piccolo accrescimento di soldati,
elessono spontaneamente di tentare più tosto quella via nella quale la sicurtà
fusse minore ma la speranza della gloria maggiore che quella nella quale dalla
sicurtà maggiore risultasse gloria minore. Uscirno adunque con impeto
grandissimo, dopo la mezza notte, di Novara, il sesto dì di giugno, in numero
circa diecimila, distribuitisi con questo ordine: settemila per assaltare
l'artiglierie, intorno alle quali alloggiavano i fanti tedeschi; il rimanente
per fermarsi, con le picche alte, all'opposito delle genti d'arme. Non erano,
per la brevità del tempo e perché non si temeva tanto presto di uno accidente
tale, stati fortificati gli alloggiamenti de' franzesi; e al primo tumulto,
quando dalle scolte fu significata la venuta degli inimici, il caso improviso e
le tenebre della notte dimostravano maggiore confusione e maggiore terrore.
Nondimeno, e le genti d'arme sì raccolsono prestamente agli squadroni e i fanti
tedeschi, i quali furno seguitati dagli altri fanti, si messono subitamente
negli ordini loro. Già con grandissimo strepito percotevano l'artiglierie ne'
svizzeri che venivano per assaltarle, facendo tra loro grandissima uccisione,
la quale si comprendeva più tosto per le grida e urla degli uomini che per
beneficio degli occhi, l'uso de' quali impediva ancora la notte; e nondimeno
con fierezza maravigliosa, non curando la morte presente né spaventati per il
caso di quegli che cadevano loro allato, né dissolvendo l'ordinanza,
camminavano con passo prestissimo contro all'artiglierie: alle quali pervenuti,
si urtorno insieme ferocissimamente, essi e i fanti tedeschi, combattendo con
grandissima rabbia l'uno contro all'altro, e molto più per l'odio che per la
cupidità della gloria. Aresti veduto (già incominciava il sole ad apparire)
piegare ora questi ora quegli, parere spesso superiori quegli che prima
parevano inferiori, di una medesima parte in un tempo medesimo alcuni piegarsi
alcuni farsi innanzi, altri difficilmente resistere altri impetuosamente
insultare agli inimici: piena da ogni parte ogni cosa di morti, di ferite, di
sangue. I capitani fare ora fortissimamente l'ufficio di soldati, percotendo
gli inimici difendendo se medesimi e i suoi, ora fare valorosissimamente
l'ufficio di capitani, confortando, provedendo, soccorrendo, ordinando,
comandando. Da altra parte, quiete e ozio grandissimo dove stavano armati gli
uomini d'arme; perché, cedendo al timore ne' soldati l'autorità i conforti i
comandamenti i prieghi l'esclamazioni le minaccie del la Tramoglia e del
Triulzio, non ebbono mai ardire di investire gli inimici che aveano innanzi a
loro, e a' svizzeri bastava tenergli fermi perché non soccorressino i fanti
loro. Finalmente, in tanta ferocia in tanto valore delle parti che combattevano,
prevalse la virtù de' svizzeri; i quali, occupate vittoriosamente l'artiglierie
e voltatele contro agli inimici, con esse e col valore loro gli messono in
fuga. Con la fuga de' fanti fu congiunta la fuga delle genti d'arme, delle
quali non apparì virtù o laude alcuna. Solo Ruberto della Marcia, sospinto
dall'ardore paterno, entrò con uno squadrone di cavalli ne' svizzeri per
salvare Floranges e Denesio suoi figliuoli, capitani di fanti tedeschi, che
oppressi da molte ferite giacevano in terra; e combattendo con tale ferocia che
non che altro pareva cosa maravigliosa a' svizzeri, gli condusse vivi fuori di
tanto pericolo. Durò la battaglia circa due ore, con danno gravissimo delle
parti. De' svizzeri morirno circa mille cinquecento, tra quali Mottino, autore di
così glorioso consiglio; percosso, mentre ferocemente combatteva, nella gola da
una picca. Degli inimici, numero molto maggiore: dicono alcuni diecimila; ma
de' tedeschi fu morta la maggiore parte nel combattere: de' fanti franzesi e
guasconi fu morta la maggiore parte nel fuggire. Salvossi quasi tutta la
cavalleria, non gli potendo perseguitare i svizzeri, i quali se avessino avuti
cavalli gli arebbono facilmente dissipati: con tanto terrore si ritiravano.
Rimasono in preda a' vincitori tutti i carriaggi, ventidue pezzi d'artiglieria
grossa e tutti i cavalli diputati per uso loro. Ritornorno i vincitori quasi
trionfanti, il dì medesimo, in Novara; e con tanta fama per tutto il mondo che
molti aveano ardire, considerato la magnanimità del proposito, il dispregio
evidentissimo della morte, la fierezza del combattere e la felicità del
successo, preporre questo fatto quasi a tutte le cose memorabili che si leggono
de' romani e de' greci. Fuggirono i franzesi nel Piemonte; donde, gridando
invano il Triulzio, passorno subitamente di là da' monti.
Ottenuta la
vittoria, Milano e l'altre terre che si erano aderite a' franzesi mandorno a
dimandare perdono, il quale fu conceduto, ma obligandosi a pagare quantità
grande di danari; i milanesi dugentomila ducati, gli altri secondo le loro
possibilità; e tutti si pagavano a' svizzeri, a' quali della vittoria
acquistata colla virtù e col sangue loro si doveva giustamente non meno
l'utilità che la gloria. I quali, per ricôrre tutto il frutto che si poteva,
entrorono poi nel marchesato di Monferrato e nel Piamonte, incolpati d'avere
ricettato l'esercito franzese; dove, parte predando parte componendo i miseri
popoli, ma astenendosi da violare la vita e l'onore, feciono grandissimi
guadagni. Né furno del tutto gli spagnuoli privati de' premi della vittoria:
perché essendo ricorsi al viceré, dopo il fatto d'arme, Ianus prossimamente
cacciato di Genova e Ottaviano Fregosi, de' quali ciascuno ambiva di essere
doge, il viceré, preposto Ottaviano, per il quale s'affaticava sommamente, per
l'antica amicizia, il pontefice, e ricevuta da lui promessa di pagare, come
fusse entrato in Genova, [cinquanta] mila ducati, gli concedette tremila fanti
sotto il marchese di Pescara; esso col resto dell'esercito andò a Chiesteggio,
dimostrando, se fusse necessario, di passare più innanzi; ma come il marchese e
Ottaviano si appropinquorno a Genova, i fratelli Adorni conoscendosi impotenti
a resistere se ne partirono: e Ottaviano, entrato dentro, fu creato doge di
quella città. La quale nell'anno medesimo vedde preposti al suo governo i
franzesi, Ianus Fregoso, gli Adorni e Ottaviano.
Ma Bartolomeo
d'Alviano, come ebbe sentita la rotta dell'esercito del re di Francia, temendo
di non essere subito seguitato dagli spagnuoli, si ritirò senza dilazione a
Pontevico; lasciati, per non perdere tempo, per la strada alcuni pezzi di
artiglieria che si conducevano più tardamente. Da Pontevico, lasciato Renzo da
Ceri in Crema e abbandonata Brescia, perché era inutile diminuire l'esercito,
nel quale erano rimasti secento uomini d'arme mille cavalli leggieri e
cinquemila fanti, procedendo colla medesima celerità, e con tanto timore e
disfavore del paese che qualunque piccola gente gli avesse seguitati si
sarebbono rotti da loro medesimi, si condusse alla Tomba presso all'Adice, non
si essendo mai riposato in luogo alcuno se non quanto lo costrigneva la
necessità del ricreare gli uomini e i cavalli. Fermossi alla Tomba, essendo
cessata la paura perché niuno lo seguitava, dove dette opera di fare condurre a
Padova e a Trevigi quanta più quantità potette di biade del veronese; e nel
tempo medesimo mandò Giampaolo Baglione, con sessanta uomini d'arme e mille
dugento fanti, a Lignago. Il quale, ricevuto subito dagli uomini della terra ove
non era presidio alcuno, dette la battaglia alla rocca guardata da cento
cinquanta fanti tra spagnuoli e tedeschi, battutala prima con l'artiglierie, da
quella parte che è volta in verso la piazza. Nel quale assalto non so che
potesse più, o la virtù o la fortuna: perché mentre si combatteva, cominciata
per sorte ad ardere la munizione per alcuni instrumenti di fuochi artificiati
gittati da quegli di fuora, abbruciò una parte della rocca; nel qual tumulto
entrati dentro, parte per il muro rotto parte con le scale, i fanti che davano
la battaglia, preso il capitano spagnuolo, ammazzorno o feciono prigioni tutti
quegli che vi erano dentro. Preso Lignago, gittò l'Alviano il ponte in
sull'Adice; e dipoi, essendogli stata data da alcuni veronesi speranza di tumultuare
contro a' tedeschi, andò ad alloggiare alla villa di San Giovanni distante
quattro miglia da Verona; donde accostatosi la mattina seguente alla porta che
si dice di San Massimo, piantò con grandissimo furore l'artiglierie alla torre
della porta e al muro congiunto a quella, attendendo se in questo tempo
nascesse dentro qualche tumulto. Rovinate circa quaranta braccia di muraglia
oltre alla torre, la quale cadde di maniera che fece uno argine fortissimo alla
porta, dette molto ferocemente la battaglia. Ma in Verona erano trecento
cavalli e tremila fanti tedeschi sotto Roccandolf, capitano di molto nome, i
quali valorosamente si difendevano; dalla rottura del muro al discendere in
terra era non piccolo spazio di altezza; né per i veronesi si faceva, secondo
le speranze date, movimento: onde l'Alviano, vedendo la difficoltà
dell'espugnarla, ritirò i fanti suoi dalle mura, e già aveva cominciato a
discostare l'artiglierie. Ma mutata in un momento sentenza (credettesi per
imbasciata ricevuta da quegli di dentro), fatti ritornare i fanti alla
muraglia, rinnovò con maggiore ferocia che prima l'assalto. Ma erano le
medesime che prima le difficoltà dell'ottenerla, la medesima tiepidezza in
coloro che l'aveano chiamato; in modo che disperata del tutto la vittoria,
ammazzati nel combattere più di dugento uomini de' suoi, tra' quali Tommaso
Fabbro da Ravenna conestabile di fanti, levate con maravigliosa prestezza dalle
mura l'artiglierie, ritornò il dì medesimo allo alloggiamento dal quale la
mattina si era partito: non lodata in questo dì né per il consiglio né per
l'evento, ma celebrata sommamente per tutta Italia, la sua celerità, che in un
giorno solo avesse fatto quel che con fatica gli altri capitani in tre o
quattro giorni sogliono fare. Dette poi il guasto al contado, tentando se con
questo timore poteva costrignere i Veronesi ad accordarsi. Ma già veniva
innanzi lo esercito spagnuolo: perché il viceré, intesa che ebbe la perdita di
Lignago, né ritardato più, per il prospero successo, dalle cose di Genova, dubitando
che, o per timore del guasto o per la mala disposizione de' cittadini, Verona
non aprisse le porte a' viniziani, deliberò soccorrere senza dilazione le cose
di Cesare. Però passato alla Stradella il fiume del Po, e arrendutesegli senza
difficoltà le città di Bergamo e di Brescia e similmente la terra di Peschiera,
si pose a campo alla rocca guardata da dugento cinquanta fanti; la quale, con
tutto che secondo l'opinione comune si fusse potuta difendere ancora qualche
dì, venne per forza in sua potestà, rimanendo prigione il proveditore viniziano
e i fanti che non furno ammazzati nel combattere. Ritirossi l'Alviano, per
l'approssimarsi degli spagnuoli, ad Alberé di là dallo Adice; richiamati, per
riempiere il più poteva l'esercito, non solamente alcuni fanti che erano nel
Polesine di Rovigo ma quegli ancora che aveva lasciati in Lignago. E poco
dipoi, essendosi i fanti tedeschi uniti a San Martino col viceré, e andando,
recuperato Lignago, a Montagnana, i viniziani, a' quali in quelle parti non
rimaneva più altro che Padova e Trevigi, intenti a niuna altra cosa che alla
conservazione di quelle città, ordinorno che l'esercito si distribuisse in
quelle: in Trevigi dugento uomini d'arme trecento cavalli leggieri e dumila
fanti sotto Giampaolo Baglione, appresso al quale erano Malatesta da Sogliano e
il cavaliere della Volpe; in Padova l'Alviano col rimanente dell'esercito. Il
quale, attendendo a fortificare, i bastioni fatti ristaurando e a molte opere
imperfette perfezione dando, faceva, oltre a questo, acciò che gli inimici non
potessino accostarvisi se non con gravissimo pericolo e difficoltà, e con
moltitudine grandissima di guastatori, spianare tutte le case e tagliare tutti
gli alberi, per tre miglia dintorno a Padova.
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