XV. Affrettata e difficile ritirata delle truppe tedesche nel Veneto.
Inaspettata rotta dei veneziani sotto Vicenza.
Ma in Vinegia,
vedendo il dì fummare e la notte ardere tutto il paese, per gli incendi delle
ville e palagi loro e sentendo dentro alle case e abitazioni proprie i tuoni
dell'artiglierie degli inimici, non piantate per altro che per fare più chiara
la sua ignominia, erano concitati gli animi degli uomini a grandissima
indegnazione e dolore; parendo a ciascuno acerbissimo oltre a misura che tanto
fusse mutata la fortuna che, in cambio di tanta gloria e di tante vittorie
ottenute per il passato, in Italia e fuori, per terra e per mare, vedessino al
presente uno esercito, piccolo a comparazione dell'antiche forze e potenza
loro, insultare sì ferocemente e contumeliosamente al nome di così gloriosa
republica. Dalle quali indegnità violentata la deliberazione di quel senato,
ostinato insino a quel giorno di fuggire, quantunque grandi speranze gli
fussino proposte, il fare esperienza della fortuna, acconsentì alle persuasioni
efficaci di Bartolomeo d'Alviano che, chiamati tutti i soldati e commossi tutti
i villani della pianura e delle montagne, si tentasse di impedire il ritorno
agli inimici; la qual cosa l'Alviano dimostrava molto facile, perché essendo
temerariamente trascorsi tanto innanzi, e messisi in mezzo tra Vinegia, Trevigi
e Padova, non potevano, e massime essendo caricati di tanta preda, ritirarsi
senza gravissimo pericolo, per la incomodità delle vettovaglie e per
l'impedimento de' fiumi e de' passi difficili. E già gli spagnuoli, sentito il
movimento che si faceva, accelerando il camminare erano pervenuti a Cittadella,
la quale non avendo potuto occupare perché vi erano entrati molti soldati,
alloggiorno di sotto a Cittadella appresso alla Brenta, per passare alla villa
Conticella, nel qual luogo si poteva guadare. Ma gli ritenne da tentare di
passare l'opposizione dell'Alviano, il quale si era posto dall'altra parte con
le genti ordinate negli squadroni e con l'artiglierie distese in su la riva del
fiume, provedendo sollecitamente non solo a quel luogo ma a più altri, donde,
se non avessino avuto resistenza, sarebbe stato facile il passare. Ma il
viceré, continuando nelle dimostrazioni di volere passare dalla parte di sotto,
alla quale l'Alviano avea voltate tutte le forze sue, passò la notte seguente
senza ostacolo al passo detto di Nuovacroce, tre miglia sopra a Cittadella,
donde si indirizzorno con celerità grande verso Vicenza; ma l'Alviano, volendo
opporsi al passo del fiume del Bacchiglione gli prevenne. Unironsi seco
appresso a Vicenza dugento cinquanta uomini d'arme e dumila fanti venuti da
Trevigi sotto Giampaolo Baglione e Andrea Gritti; ed era il consiglio de'
capitani viniziani non combattere a bandiere spiegate in luogo aperto con gli
inimici, i quali venivano verso Vicenza, ma guardando i passi forti e i luoghi
opportuni impedire loro il camminare, a qualunque parte si volgessino. A questo
effetto aveano mandato Giampaolo Manfrone, con quattromila comandati, a
Montecchio; a Barberano per impedire la via de' monti, cinquecento cavalli con
molti altri paesani; e fatto occupare da' villani tutti i passi che andavano
nella Magna, fortificatigli con fosse con tagliate con sassi e con alberi
attraversati per le strade. A guardia di Vicenza lasciò l'Alviano, con
sufficiente presidio, Teodoro da Triulzi; egli col resto dell'esercito si fermò
all'Olmo, luogo vicino a Vicenza a due miglia, in sulla strada che va a Verona:
impedito talmente quel passo e un altro vicino, con tagliate e con fossi e con
l'artiglierie distese a' luoghi opportuni, che era quasi impossibile il
passarlo. Così, impedito il cammino destinato verso Verona, era similmente
difficile agli spagnuoli che camminavano lungo i monti allargarsi per il paese
paludoso e pieno d'acque, difficile pigliare la via del monte, stretta e
occupata da molti armati; in modo che, circondati dagli inimici quasi da ogni
parte, alla fronte alle spalle e per fianco, e seguitati continuamente da
moltitudine grande di cavalli leggieri, non aveano deliberazione se non
difficile e molto pericolosa. Alloggiorono, sopravenendo la notte, da poi che
alquanto fu scaramucciato, vicini a un mezzo miglio allo alloggiamento de
viniziani; ove, consultato la notte i capitani quel che, intra tante difficoltà
e pericoli, dovessino fare, elessono per meno pericoloso volgere le insegne
verso la Magna, per ritornarsene per la via di Trento a Verona; benché, per la
lunghezza del cammino e per la piccola guardia v'aveano lasciata,
presupponevano quasi per certo che prima vi entrerebbono i viniziani. Così si
mossono, in sul fare del dì, verso Bassano, voltando le spalle agli inimici, di
che niuna cosa è più spaventosa e più perniciosa agli eserciti, e, ancora che
camminassino ordinatamente, con tanto piccola speranza di salute che stimavano
il perdere tutti i carriaggi e i cavalli meno utili, essere il minore male che
potesse loro succedere. Non s'accorse della levata loro, fatta tacitamente
senza suono di trombe e di tamburi, così presto l'Alviano, perché la nebbia
foltissima che era la mattina gli impediva la vista: ma come prima se ne fu
accorto, gli seguitò con tutto l'esercito, nel quale si dicevano essere mille
uomini d'arme mille stradiotti e semila fanti; infestandogli sempre da ogni
parte gli stradiotti e numero infinito di villani, che scendendo dalle montagne
gli percotevano con gli archibusi, onde col pericolo augumentava sempre la
difficoltà del camminare, maggiore per la moltitudine de' carri e de' carriaggi
e per la quantità grande della preda, e perché procedevano per istrade anguste
e affossate, le quali non aveano avuta comodità di allargare colle spianate; ma
gli conservava ordinati, benché camminassino con passo accelerato, oltre alla
virtù de' soldati, la sollecita diligenza de' capitani: e nondimeno, essendo
proceduti in tante angustie circa due miglia, pareva a essi stessi difficillimo
il continuare molto così.
Ma non fu
paziente la temerità degli inimici ad aspettare che si maturasse sì bella
occasione, condotta già quasi alla sua perfezione. L'Alviano, impotente come
sempre a raffrenare se medesimo, assaltò, non tumultuosamente ma con l'esercito
ordinato a combattere e con l'artiglierie, il retroguardo degli inimici,
guidato da Prospero Colonna. Più certa fama è che, tardando l'Alviano ad
assaltargli,... Loredano uno de' proveditori, con ferventi parole lo morse:
perché non dava dentro? perché lasciava andarne salvi gli inimici già rotti?
dalle quali parole precipitato il ferocissimo capitano, dette furiosamente il
segno della battaglia. Altri affermano essere stato autore del fatto d'arme
Prospero Colonna, per consiglio del quale il viceré avere più tosto [tentato]
sperimentare la fortuna incerta del combattere che seguitare per altro modo la
speranza piccolissima di salvarsi. E aggiungono che, avendo fatto segno di
volere ritornare verso Vicenza, l'Alviano avea fatto fermare ne' borghi di
Vicenza Giampaolo Baglione colle genti venute da Trevigi, esso col resto
dell'esercito si era fermato a Creazia, due miglia appresso a Vicenza, ove è
uno piccolo colle donde comodamente si potevano usare contro agli inimici
l'artiglierie; a' piedi di quello una valle capace dell'esercito in ordinanza,
alla quale si perveniva per una sola strada stretta appresso a' colli, e quasi
circondata da paludi: il quale luogo Prospero conoscendo essere più incomodo
agli inimici, confortò che in quel luogo s'assaltassino. Comunque si sia,
Prospero, cominciando virilmente a combattere, e mandato a chiamare il viceré
che guidava la battaglia, e movendosi nel tempo medesimo, per comandamento del
marchese di Pescara, i fanti spagnuoli da una parte e i tedeschi dall'altra,
percossi con grandissimo impeto i soldati de' viniziani, gli messono in fuga
quasi subitamente; perché i fanti non sostenendo la ferocia dello assalto,
gittate le picche in terra, cominciorno vituperosamente subito a fuggire:
essendo i primi esempio agli altri di tanta infamia i fanti romagnuoli, de'
quali era colonnello Babone di Naldo da Bersighella. La medesima bruttezza
seguitò il resto dell'esercito, niuno quasi combattendo o mostrando il volto
agli avversari: smarrita non che altro, per la fuga così subita, la virtù
dell'Alviano; il quale lasciò senza combattere la vittoria agli inimici, a'
quali rimasono l'artiglierie e tutti i carriaggi. Dissiporonsi i fanti in
diversi luoghi; degli uomini d'arme fuggì una parte alla montagna, una parte si
salvò in Padova e in Trevigi, dove anche rifuggirono l'Alviano e il Gritti.
Furno ammazzati Francesco Calzone, Antonio Pio capitano vecchio, insieme con
Gostanzo suo figliuolo, Meleagro da Furlì e Luigi da Palma, e poco meno che
morto Paolo da Santo Angelo, il quale si salvò pieno di ferite. Presi Giampaolo
Baglione e Giulio figliuolo di Giampaolo Manfrone, Malatesta da Sogliano e
molti altri capitani e uomini onorati; e con peggiore fortuna il proveditore
Loredano, perché combattendosi tra due soldati di qual di loro dovesse essere
prigione, uno di essi bestialmente l'ammazzò. Rimasono in tutto, fra morti e
presi, circa quattrocento uomini d'arme e quattromila fanti, perché a molti fu
impedito il fuggire dalla palude: e fece nella fuga, il danno maggiore che
Teodoro da Triulzi, chiuse le porte di Vicenza, acciò che i vinti e i vincitori
alla mescolata non vi entrassino, non vi ammesse alcuno; onde molti, mettendosi
a passare, annegorno nel fiume vicino, e tra questi Ermes Bentivoglio e
Sacramoro Visconte. Questa fu la rotta che ricevettono, il settimo dì
d'ottobre, i viniziani appresso a Vicenza; memorabile per l'esempio che dette
a' capitani che ne' fatti d'arme non confidassino de' fanti italiani non
esperimentati alle battaglie stabili, e perché, quasi in uno istante di tempo,
andò la vittoria a coloro che aveano piccolissima speranza di salute: la quale
arebbe messo in pericolo o Trevigi o Padova, benché in questa l'Alviano in
quello il Gritti si fussino rifuggiti con le reliquie dell'esercito; ma ripugnava,
oltre alla fortezza delle terre, la stagione dell'anno già vicina alle pioggie,
né potere i capitani disporre ad arbitrio loro i soldati, non pagati, a nuove
imprese. E nondimeno i viniziani, afflitti da tanti mali e spaventati da
accidente tanto contrario alle speranze loro, non mancavano di provedere quanto
potevano a quelle città: nelle quali, oltre agli altri provedimenti, mandorno,
come erano consueti ne' pericoli più gravi, molti della gioventù nobile.
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