XVI. Il pontefice arbitro nel compromesso fra i veneziani e Cesare.
Continuano le azioni di guerra fra i veneziani e le milizie di Cesare. Nuovi
tentativi degli Adorni e dei Fieschi contro Genova; questioni fra fiorentini e
lucchesi; resa dei castelli di Milano e di Cremona e tentativo dei genovesi
contro la Lanterna tenuta dai francesi.
Dall'armi, dopo
la giornata, si ridussono le cose a' pensieri della concordia, trattata
appresso al pontefice; al quale era andato il vescovo Gurgense, sotto nome
principalmente di dargli l'ubbidienza in nome di Cesare e dell'arciduca;
seguitandolo Francesco Sforza duca di Bari, per fare l'effetto medesimo in nome
di Massimiliano Sforza suo fratello. E benché Gurgense rappresentasse come
l'altre volte la persona di Cesare in Italia, nondimeno, pretermesso il fasto
consueto, era entrato in Roma modestamente né voluto usare per il cammino le
insegne del cardinalato, mandategli insino a Poggibonzi dal pontefice. Alla
venuta del cardinale Gurgense fu fatto compromesso da lui e [da] gli oratori
viniziani, di tutte le differenze tra Cesare e la loro republica, nel
pontefice; ma compromesso più tosto in nome e in dimostrazione che in effetto e
in sostanza, perché niuno volle compromettere nell'arbitro sospetto, per
l'importanza della cosa, se non ricevuta promessa da lui separatamente e
secretamente di non lodare senza suo consentimento. Fatto il compromesso,
sospese per uno breve l'offese tralle parti; il che, benché fusse accettato da
tutti con lieta fronte, fu dal viceré male osservato, perché venuto tra
Montagnana ed Esti, non avendo dopo la vittoria fatto altro che prede e
correrie, e mandata una parte de' soldati nel Pulesine di Rovigo, faceva in
tutti questi luoghi molti danni, ora scusandosi che erano territorio di Cesare
ora dicendo aspettare avviso da Gurgense. Né ebbe il compromesso più felice il
fine che avesse avuto il mezzo e il principio, per le difficoltà che nel
trattare le cose si scopersono; perché Cesare non consentiva alla concordia se
non ritenendo parte delle terre e per l'altre ricevendo quantità grandissima di
danari, e per contrario i viniziani dimandavano tutte le terre e offerivano
piccola somma di danari. E si credeva che il re cattolico, benché palesemente
dimostrasse di desiderare, come già aveva fatto, questa concordia, ora
occultamente la dissuadesse; interpretandosi che, per difficultarla più, avesse
nel tempo medesimo lasciato Brescia in mano di Cesare: la quale il viceré,
affermando ritenerla per renderlo più inclinato alla pace, non gli aveva insino
a quel dì voluto consentire. Le cagioni si congetturavano variamente, o perché
avendo offeso tanto i viniziani giudicasse non potere avere più con loro
sincera amicizia o perché conoscesse la riputazione e grandezza sua in Italia
dependere da mantenere vivo quell'esercito; il quale, per carestia di danari,
non poteva nutrire se non opprimendo e taglieggiando i popoli amici, e correndo
e predando per il paese degli inimici.
Lasciò adunque
imperfetta la cosa il pontefice; e poco dipoi i tedeschi occuporno furtivamente
per mezzo di fuorusciti Marano, terra marittima nel Friuli, e poi presono
Montefalcone: e benché i viniziani, desiderosi di recuperare Marano, propinquo
a sessanta miglia a Vinegia, l'assaltassino per terra e per mare, nondimeno,
essendo in ogni luogo simile la loro fortuna, furono da ciascuna delle parti
danneggiati. Solamente, in questo tempo, Renzo da Ceri con somma laude
sostentava alquanto il nome delle armi loro: il quale, con tutto che in Crema,
dove era a guardia, fusse peste e carestia non leggiere, e che, essendo le
genti spagnuole e milanesi distribuitesi, per la stagione del tempo, alle
stanze per le terre circostanti, si potesse dire quasi assediata, assaltato
all'improviso Calcinaia, terra del bergamasco, svaligiò Cesare Fieramosca con
quaranta uomini d'arme e dugento cavalli leggieri della compagnia di Prospero
Colonna; e pochi dì poi, entrato di notte in Quinzano, prese il luogotenente
del conte di Santa Severina e vi svaligiò cinquanta uomini d'arme, e in Trevi dieci
uomini d'arme di quegli di Prospero.
L'altre cose di
Italia procedevano in questo tempo medesimo quietamente: eccetto che gli Adorni
e i Fieschi con tremila uomini del paese, e forse con favore occulto del duca
di Milano, presa la Spezie e altri luoghi della riviera di levante, si
accostorno alle mura di Genova; ma succedendo le cose infelicemente, si
partirno quasi come rotti, perduta parte delle genti che v'aveano menate e
alcuni pezzi di artiglierie. Apparirono anche in Toscana princìpi di nuovi
scandoli: perché i fiorentini cominciorno a molestare i lucchesi, confidandosi
che per timore del pontefice ricomprerebbono la pace con la restituzione di
Pietrasanta e di Mutrone, e allegando non essere conveniente godessino il
beneficio di quella confederazione, la quale, prestando occultamente aiuto a'
pisani, aveano violata. Della qual cosa querelandosi i lucchesi col pontefice e
col re cattolico, in cui protezione erano, e non vedendo resultarne alcuno
rimedio, furno contenti finalmente, per fuggire i maggiori mali, farne
compromesso nel pontefice; il quale, avuta similmente autorità da' fiorentini,
pronunziò che i lucchesi, i quali prima aveano restituita al duca di Ferrara la
Garfagnana, lasciassino quelle terre a' fiorentini, e che tra loro fusse in
perpetuo pace e confederazione.
Alla fine di
questo anno, le castella di Milano e di Cremona, avendo prima, perché
cominciavano a mancare le vettovaglie, patteggiato di arrendersi se infra certo
tempo non erano soccorse, vennono in potestà del duca di Milano; il quale in
quello di Milano messe a guardia parte fanti italiani parte svizzeri. Né altro
si teneva più per il re di Francia in Italia che la Lanterna di Genova; la
quale i genovesi tentorno, nella fine dell'anno medesimo, di gittare in terra
colle mine, accostandosi a quella con uno puntone di legname lungo trenta
braccia e largo venti, capace di trecento uomini, fasciato tutto, per resistere
a' colpi delle artiglierie, di balle di lana: cosa di grande artificio e invenzione,
ma che tentata, come fanno spesso simili macchine, non succedette.
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