III. Nuove vicende della guerra degli inglesi in Francia. Nuove
preoccupazioni e pericoli del re di Francia. Conciliazione del re con il papa.
Morte della regina di Francia.
Presa Terroana,
alla quale lo arciduca pretendeva per antiche ragioni, e il re di Inghilterra
diceva essere sua per averla guadagnata con giusta guerra, parve a Cesare e a
lui, per spegnere i semi della discordia, di gittare in terra le mura; non
ostante che ne' capitoli fatti con quegli di Terroana fusse stato proibito
loro. Partì poi Cesare immediate dallo esercito, affermando che gli inghilesi,
per la esperienza veduta di loro, erano poco periti della guerra e temerari. Da
Terroana andò il re di Inghilterra a campo a Tornai, città fortissima e molto
ricca, e affezionatissima per antica inclinazione alla corona di Francia; ma
circondata dal paese dello arciduca, e però impossibile a essere soccorsa da'
franzesi mentre non erano superiori alla campagna. La quale deliberazione fu
molto grata al re di Francia, perché temeva non andassino a percuotere nelle
parti più importanti del suo reame, cosa che lo metteva in molte difficoltà:
perché, se bene avesse già congregato esercito potente, trovandosi oltre a
cinquecento lancie che aveva messe a guardia di San Quintino, dumila lancie
ottocento cavalli leggieri albanesi diecimila fanti tedeschi mille svizzeri
ottomila fanti del regno suo, era molto più potente l'esercito inghilese; nel
quale, concorrendovi ogni dì nuovi soldati, era publica fama trovarsi
ottantamila combattenti. Però il re, non sperando molto di potere difendere
Bologna e il resto del paese posto di là dalla riviera di Somma, dove temeva
che gli inghilesi non si volgessino, pensava alla difesa di Abbavilla e Amiens
e [del]l'altre terre che sono in sulla Somma, e a resistere che non passassino
quella riviera; e così andarsi temporeggiando, insino che la stagione fredda
sopravenisse o che la diversione del re di Scozia, nella quale molto sperava,
facesse qualche effetto: camminando in questo tempo l'esercito suo lungo la
Somma, per non lasciare guadagnare il passo agli inimici. Credettesi che della
deliberazione degli inghilesi, indegna certamente d'uomini militari e di sì
grande esercito, fusse stata cagione o i conforti di Cesare, che sperasse che,
pigliandosi, potesse o allora o con tempo pervenire in potestà del nipote, al
quale si pretendeva che appartenesse, o perché temessino, andando ad altro
luogo, della difficoltà delle vettovaglie, o che l'altre terre alle quali
andassino non fussino soccorse dagli inimici. Fece la città di Tornai, non
essendo provista di genti forestiere e disperandosi del soccorso, essendo
battuta con le artiglierie da più parti, breve difesa; e si arrendé, salve
tutte le robe e persone loro, ma pagando, sotto nome di ricomperarsi dal sacco,
centomila ducati. Né si mostrava altrove più benigna la fortuna de' franzesi;
perché il re di Scozia, venuto in sul fiume Tuedo alle mani con l'esercito inghilese,
nel quale era in persona Caterina reina d'Inghilterra, fu vinto con grandissima
uccisione; perché vi furono ammazzati più di dodicimila scozzesi, insieme con
lui e con uno suo figliuolo naturale, arcivescovo di [Santo Andrea], e molti
altri prelati e nobili di quel regno.
Dopo le quali
vittorie, essendo già alla fine del mese di ottobre, il re anglico, lasciata
guardia grande in Tornai e licenziati i cavalli e fanti tedeschi, se ne ritornò
in Inghilterra, non avendo della guerra fatta con tanti apparati e con spesa
inestimabile riportato altro frutto che la città di Tornai, perché Terroana,
sfasciata di mura, restava in potere del re di Francia. Mosselo a passare il
mare perché, non si potendo più in quelli freddissimi paesi esercitare la
guerra, era inutile il dimorarvi con tanta spesa; e pensava oltre a questo a
ordinare il governo del nuovo re di Scozia, pupillo e figliuolo di una sorella
sua dove era anco andato il duca di Albania che era del sangue medesimo di quel
re. Per la partita del quale il re, ritenuti in Francia i fanti tedeschi,
licenziò tutto il resto dello esercito, liberato dalla cura de' pericoli
presenti ma non già dal timore di non ritornare l'anno seguente in maggiore
difficoltà. Perché il re di Inghilterra, partito di Francia con molte minaccie,
affermava volervi ritornare la state prossima; anzi, per non differire più
tanto il muovere la guerra, cominciava già a fare nuove preparazioni. Sapeva
essere in Cesare la medesima disposizione di offenderlo; e temeva che il re
cattolico, il quale con vari sotterfugi aveva scusato la tregua fatta per non
se gli alienare totalmente, non pigliasse l'armi insieme con loro. Anzi n'aveva
potenti indizi, perché era stata intercetta una lettera nella quale quel re,
scrivendo allo imbasciadore residente appresso a Cesare, dimostrando l'animo
molto alieno dalle parole, con le quali sempre dimostrava ardente desiderio di
muovere guerra contro agli infedeli e di passare personalmente alla
recuperazione di Ierusalem, proponeva che comunemente si attendesse a fare
pervenire il ducato di Milano in Ferdinando nipote comune, fratello minore
dello arciduca; dimostrando che, fatto questo, il resto d'Italia era
necessitato di ricevere le leggi da loro, e che a Cesare sarebbe facile, congiunti
massime gli aiuti suoi, pervenire, come dopo la morte della moglie era stato
sempre suo desiderio, al pontificato, il quale ottenuto rinunzierebbe allo
arciduca la corona imperiale: conchiudendo però che cose sì grandi non si
potevano condurre a perfezione se non col tempo e con le occasioni. Era anche
manifesto al re di Francia l'animo de' svizzeri, a' quali offeriva grandissime
condizioni, non placarsi in parte alcuna verso lui; anzi essersi nuovamente
irritati perché gli statichi dati loro dal la Tramoglia, temendo per
inosservanza del re di non essere decapitati, si erano occultamente fuggiti in
Germania: donde meritamente aveva paura che, o di presente o almanco l'anno
prossimo, per la occasione di tanti altri suoi travagli, non assaltassino o la
Borgogna o il Dalfinato.
Queste
difficoltà furono in qualche parte cagione di farlo consentire alla concordia
delle cose spirituali col pontefice, della quale l'articolo principale era la
estirpazione totale del concilio pisano; la quale, trattata molti mesi, aveva
varie difficoltà e specialmente per le cose fatte o con l'autorità di quello
concilio o contro alla autorità del pontefice, le quali approvare pareva
indegnissimo della sedia apostolica, il ritrattarle non era dubbio che partorirebbe
gravissima confusione: però erano stati deputati tre cardinali a pensare i modi
di provedere a questo disordine; e faceva qualche difficoltà il non parere
conveniente concedere al re l'assoluzione dalle censure se non la dimandasse, e
da altro canto il re negava volerla dimandare per non notare per scismatici la
persona sua e la corona di Francia. Finalmente il re, stracco da questa
molestia e tormentato dalla volontà di tutti i popoli del suo regno, i quali
ardentemente desideravano il riunirsi con la Chiesa romana, mosso ancora molto
dalla instanza della reina, la quale sempre era stata alienissima da queste
controversie, deliberò cedere alla volontà del pontefice; neanche senza qualche
speranza che, levato via questa differenza, il pontefice avesse, secondo la
intenzione che artificiosamente gli aveva data, a non si mostrare alieno dalle
cose sue: benché alle querele antiche fusse aggiunta nuova querela, perché il
pontefice aveva per uno breve comandato al re di Scozia che non molestasse il
re d'Inghilterra. Però, nell'ottava sessione del concilio lateranense, che fu
celebrato negli ultimi dì dell'anno, gli agenti del re di Francia, in nome suo
e prodotto il suo mandato, rinunziorono al conciliabolo pisano e aderirono al
concilio lateranense; con promissione che sei prelati di quegli che erano
intervenuti al pisano andrebbeno a Roma a fare il medesimo in nome di tutta la
Chiesa gallicana, e che anche verrebbeno altri prelati a disputare sopra la
pragmatica, con intenzione di rimettersene alla dichiarazione del concilio: dal
quale, nella medesima sessione, ottennono assoluzione pienissima di tutte le
cose commesse contro alla Chiesa romana. Queste cose si feciono l'anno mille
cinquecento tredici in Italia in Francia e in Inghilterra.
Nel principio
dell'anno seguente, non avendo a fatica gustata la letizia della unione tanto
desiderata della Chiesa, morì Anna reina di Francia, reina molto prestante e
molto cattolica, con grandissimo dispiacere di tutto il regno e de' popoli suoi
della Brettagna.
|