VII. Pensieri dei prìncipi e degli svizzeri intorno alla pace conchiusa dai
re di Francia e di Inghilterra. Sollecitazioni del pontefice al re di Francia
perché tenti l'impresa del ducato di Milano; resa della Lanterna di Genova. La
politica del pontefice e nuove preoccupazioni del re di Francia.
La pace tra il
re di Francia e il re d'Inghilterra, fatta con maggiore facilità e prestezza
che non era stata l'opinione universale, perché niuno credette mai che tanta
inimicizia potesse così presto convertirsi in benivolenza e in parentado, non
fu forse grata al pontefice che, come gli altri, si era persuaso doverne
nascere più presto tregua che pace o, se pure, pace che avesse a essere con condizioni
più gravi al re di Francia o almanco con obligazione che per qualche tempo non
assaltasse lo stato di Milano: ma dispiacque sommamente a Cesare e al re
cattolico. Il quale, come non è male alcuno nelle cose umane che non abbia
congiunto seco qualche bene, affermava riceverne due sodisfazioni di animo:
l'una, che l'arciduca suo nipote, escluso dalla speranza di dare la sorella per
moglie al re di Francia e venuto in diffidenza col re d'Inghilterra, sarebbe
costretto a procedere in tutte le cose col consiglio e autorità sua; l'altra,
che potendo facilmente il re di Francia avere figliuoli era messa in dubbio la
successione di Angolem, col quale egli, per essere Angolem desiderosissimo di
rimettere il re di Navarra nel suo stato, riteneva grandissimo odio. Soli i
svizzeri, benché ritenendo il medesimo odio che per il passato contro al re di
Francia, affermavano essersi rallegrati di questa concordia; perché restando,
come si credeva, espedito quel re a muovere la guerra contro al ducato di
Milano, arebbeno nuova occasione di dimostrare a tutto il mondo la virtù e la
fede loro. Né si dubitava per alcuno che il re di Francia, cessato quasi in
tutto il timore di essere molestato di là da' monti, non avesse il consueto
desiderio di recuperare il ducato di Milano; ma era incerto se avesse in animo
di muovere l'armi subito o differire all'anno futuro, perché la facilità
appariva presente ma non apparivano segni di preparazione.
Nella quale
incertitudine, il pontefice, ancoraché gli fusse molestissimo che il re
recuperasse quello stato, lo confortò, molto efficacemente, che col differire
non corrompesse l'occasione presente; dimostrando le cose essere male preparate
a resistere, perché l'esercito spagnuolo era diminuito e non pagato, i popoli dello
stato di Milano poveri e ridotti in ultima disperazione, e non vi essere chi
potesse dare danari per muovere i svizzeri: le quali persuasioni avevano
maggiore autorità perché, non molto innanzi che si facesse la pace col re di
Inghilterra, dimostrando d'avere desiderio ch'egli recuperasse Genova, gli
aveva dato qualche speranza di indurre Ottaviano Fregoso a convenire seco. Non
è dubbio che in questa cosa il pontefice non procedeva sinceramente, ma si
crede lo movesse o perché vedendo le cose mal proviste e dubitando che il re di
Francia non facesse eziandio senza suoi conforti questa espedizione, perché
aveva le genti d'arme parate e molti fanti tedeschi, volesse con tale arte
preoccupare la sua amicizia, o che, procedendo con maggiore astuzia, sapesse
essere vero quello che Cesare e il re cattolico affermavano e il re di Francia
negava: che gli fusse proibito muovere, durante la tregua, l'armi contro allo
stato di Milano; e però, persuadendosi che il re negherebbe il fare la impresa,
gli paresse fargli buono concetto della sua disposizione, e prepararsi scusa se
da lui ne fusse ricercato ad altro tempo. E successe la cosa secondo il disegno
suo: perché il re, deliberato, o per la cagione predetta o per avere difficoltà
di denari o per la propinquità del verno, di non muovere l'armi insino alla
primavera, e dimostrando confidare che anche a quello tempo non gli mancherebbe
il favore del pontefice, rispondeva allegando varie escusazioni della
dilazione, ma tacendo sempre quella, che forse era la principale, della tregua
che ancora durava. Aveva nondimeno inclinazione a tentare le cose di Genova o
almanco di soccorrere la Lanterna, la quale per ordine suo era stata nell'anno
medesimo rinfrescata più volte di qualche quantità di vettovaglie, da piccoli
legni i quali, fingendo di volere entrare nel porto di Genova, vi si erano
accostati furtivamente; ma l'estremità del vivere era tale che, non potendo
quella fortezza aspettare il soccorso, furono costretti quegli di dentro ad
arrendersi a' genovesi; i quali, con dispiacere maraviglioso del re, la
disfeceno insino da' fondamenti. Rimosse la perdita della Lanterna il re in
tutto da' pensieri di molestare per allora Genova, ma si voltò tutto alle
preparazioni di assaltare il ducato di Milano l'anno futuro: e sperava insino a
qui, per la intenzione buona che gli dava il pontefice, per la disposizione che
aveva dimostrato nelle pratiche col re d'Inghilterra e con i svizzeri, e per lo
averlo stimolato a fare la impresa, gli avesse a essere congiunto e favorevole;
massime che a lui faceva offerte grandi, e particolarmente prometteva aiutarlo
ad acquistare il regno di Napoli o per la Chiesa o per Giuliano suo fratello.
Ma nuove cose che sopravennono cominciorono a metterlo in qualche diffidenza di
lui.
Non aveva il
pontefice mai voluto comporre le cose del duca di Ferrara, se bene, nel
principio della sua promozione, gli avesse dato in Roma grandissima speranza e
promesso la restituzione di Reggio al ritorno di Ungheria del cardinale suo
fratello; al quale poiché fu ritornato, era andato differendo con varie scuse:
confermategli però le medesime promesse non solo con le parole ma con uno
breve, e consentendo che egli pigliasse l'entrate di Reggio come di cosa che
presto avesse a ritornare sotto il loro dominio. Ma la intenzione sua era molto
diversa, e inclinata a occupare Ferrara; stimolato da Alberto da Carpi oratore
cesareo, inimico acerbissimo del duca, e da molti altri che gli proponevano ora
l'esempio della gloria di Giulio, fatta eterna per avere tanto ampliato il
dominio della Chiesa, ora l'occasione di dare uno stato onorevole a Giuliano
suo fratello: il quale, avendosi proposto speranze poco moderate, aveva
spontaneamente consentito che Lorenzo suo nipote ritenesse in Firenze l'autorità
della casa de' Medici. Però entrato in questi pensieri, il pontefice ottenne
facilmente da Cesare, bisognoso in ogni tempo di denari, che gli desse in pegno
la città di Modena per quarantamila ducati, come poco innanzi alla morte di
Giulio si era trattato con lui; disegnando unire quella città con Reggio, Parma
e Piacenza e concederle in vicariato o in governo perpetuo a Giuliano, con
aggiugnervi Ferrara se gli venisse mai l'occasione di ottenerla. Dette questa
compra sospetto non mediocre al re di Francia, parendogli segno di congiunzione
grande con Cesare ed essendogli molesto che gli desse denari; benché il
pontefice si scusava, Cesare avergliene concessa per denari che prima aveva
avuti: e accrebbe il sospetto che, per avere ottenuto il principe de' turchi
una vittoria grande contro al Sophì re della Persia, il pontefice, come per
cosa pericolosa a' cristiani scrisse lettere a tutti i prìncipi, confortandogli
a posare l'armi tra loro per attendere a resistere o ad assaltare gl'inimici
della fede. Ma quello che quasi in tutto scoperse a lui l'animo suo fu che egli
mandò, sotto il medesimo pretesto, Pietro Bembo suo secretario, che fu poi
cardinale a Vinegia, per disporgli allo accordo con Cesare: nel quale essendo
le medesime difficoltà che per il passato, non l'avevano voluto accettare; anzi
manifestorono al re di Francia la cagione della sua venuta. Donde il re,
dispiacendogli che in tempo tanto propinquo a muovere l'armi cercasse di
privarlo degli aiuti de' suoi confederati, rinnovò le pratiche passate col re
cattolico, o perché questo terrore movesse il pontefice avergliene concessa per
denari che prima aveva avuti: e accrebbe il sospetto che, per avere ottenuto il
principe de' turchi una vittoria grande contro al Sophì re della Persia, il
pontefice, come per cosa pericolosa a' cristiani scrisse lettere a tutti i
prìncipi, confortandogli a posare l'armi tra loro per attendere a resistere o
ad assaltare gl'inimici della fede. Ma quello che quasi in tutto scoperse a lui
l'animo suo fu che egli mandò, sotto il medesimo pretesto, Pietro Bembo suo
secretario, che fu poi cardinale a Vinegia, per disporgli allo accordo con
Cesare: nel quale essendo le medesime difficoltà che per il passato, non
l'avevano voluto accettare; anzi manifestorono al re di Francia la cagione
della sua venuta. Donde il re, dispiacendogli che in tempo tanto propinquo a
muovere l'armi cercasse di privarlo degli aiuti de' suoi confederati, rinnovò
le pratiche passate col re cattolico, o perché questo terrore movesse il
pontefice o, non lo movendo, per conchiuderle: tanto [era] sopra ogni cosa
ardente alla recuperazione del ducato di Milano.
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