VIII. Attentato degli spagnuoli contro l'Alviano; nuove fazioni di guerra
fra veneziani e spagnuoli nel Veneto. Nuove vicende della lotta a Crema e nel
bergamasco. Attività dell'Alviano nel Veneto. Quiete nel Friuli. Tentativi dei
Fieschi e degli Adorni in Genova. Dono del re del Portogallo al pontefice.
Ma in questo
medesimo non erano stati in Italia altri movimenti che contro a' viniziani.
Contro a' quali anche si era tentato di procedere con occultissime insidie:
perché, se è vero quello che riferiscono gli scrittori viniziani, alcuni fanti
spagnuoli, entrati in Padova simulando di essere fuggiti del campo degli
inimici, cercavano di ammazzare l'Alviano per commissione de' capitani loro; i
quali speravano che accostandosi subito con l'esercito a Padova, disordinata
per la morte di uno tale capitano, averla facilmente a pigliare. Tanto sono
dissimili i modi della milizia presente dalla virtù degli antichi! i quali, non
che subornassero i percussori, revelavano allo inimico se alcuna sceleratezza
si trattava contro a lui, confidandosi di poterlo vincere con la virtù. La
quale congiurazione venuta a luce, fu degli scelerati fanti preso dai
magistrati il debito supplicio. Alloggiavano le genti spagnuole, diminuite non
poco di numero, tra Montagnana, Cologna ed Esti; i quali per sforzare al
ritirarsi nel reame di Napoli, i viniziani ordinavano una armata, della quale
avevano fatto Andrea Gritti capitano generale: la quale, destinata ad assaltare
la Puglia, fu per varie difficoltà alla fine disarmata e messa in silenzio.
Vennono poi gli spagnuoli alle Torri appresso a Vicenza stimolati da i tedeschi
che erano in Verona di andare insieme con loro a dare il guasto alle biade de'
padovani; ma avendogli aspettati in quello alloggiamento invano più dì, perché
erano ridotti a piccolissimo numero e impotenti a adempiere le promesse sotto
le quali gli avevano chiamati, lasciato il disegno del guasto e ottenuti da
loro mille cinquecento fanti, andorono con settecento uomini d'arme settecento
cavalli leggieri e tremila cinquecento fanti spagnuoli a campo a Cittadella,
nella quale terra erano trecento cavalli leggieri. Dove essendo arrivati a due
ore di dì, avendo cavalcato espediti tutta la notte, batteronla subito con
l'artiglieria; e il dì medesimo la preseno, con tutti quegli cavalli, per
forza, al secondo assalto, e si ritornorono al primo alloggiamento propinquo a
tre miglia a Vicenza: non si movendo l'Alviano, il quale, avendo avuto dal
senato comandamento di non combattere, si era, con settecento uomini d'arme
mille cavalli leggieri e settemila fanti, fermato in alloggiamento forte in sul
fiume della Brenta, dal quale co' cavalli leggieri travagliava continuamente
gli inimici. Nondimeno poi, per maggiore sicurtà dello esercito, si ritirò a
Barziglione quasi in sulle porte di Padova. Ma essendo tutto il paese consumato
dalle scorrerie e dalle prede che si facevano dall'uno e dall'altro esercito,
gli spagnuoli, mancando loro le vettovaglie, si ritirorono a' primi
alloggiamenti da' quali si erano partiti, abbandonata la città di Vicenza e la
rocca di Brendala distante da Vicenza sette miglia; né si nutrivano con altri
sussidi o pagamenti che con le taglie mettevano a Verona, Brescia, Bergamo e
gli altri luoghi circostanti. Ritirati gli spagnuoli, l'Alviano si pose con
l'esercito tra la Battaglia e Padova in alloggiamento fortissimo: donde inteso
essere in Esti poca e negligente guardia, vi mandò di notte quattrocento
cavalli e mille fanti; dove entrati innanzi fussino sentiti e presi ottanta
cavalli leggieri del capitano Corvera, il quale si salvò nella rocca, si
ritirorono allo esercito. Ma avendo i viniziani mandate nuove genti
all'esercito, l'Alviano, accostatosi a Montagnana, presentò la battaglia al
viceré; il quale, perché era molto inferiore di forze recusando di combattere,
si ritirò nel Polesine di Rovigo: donde l'Alviano, non avendo più ostacolo
alcuno di là dallo Adice, correva ogni dì insino in sulle porte di Verona; il
che fu cagione che il viceré, mosso dal pericolo di quella città, lasciati nel
Pulesine trecento uomini d'arme e mille fanti, vi entrò con tutto il resto
dello esercito.
Molte maggiori
difficoltà erano in Crema, quasi assediata dalle genti del duca di Milano
alloggiate nelle terre e ville vicine, perché dentro era la carestia, la peste
smisurata, stati i soldati più mesi senza denari, mancamento di munizioni e di
molte provisioni più volte dimandate. Però Renzo, diffidando potersi più
sostenere, aveva quasi protestato a' viniziani; e nondimeno, mostrandosegli
ancora benigna la medesima fortuna, assaltò Silvio Savello che aveva dugento
uomini d'arme cento cavalli leggieri e mille cinquecento fanti, e giuntogli
addosso allo improviso lo roppe subito, e Silvio con cinquanta uomini d'arme
fuggì in Lodi. Rifornirono dipoi un'altra volta i viniziani Crema di
vettovaglie, e il conte Niccolò Scoto vi messe mille cinquecento fanti; dal
quale presidio essendo accresciuto le forze e l'animo di Renzo, entrò pochi dì
poi nella città di Bergamo, chiamato dagli uomini della terra, e gli spagnuoli
si fuggirono nella Cappella; e nel tempo medesimo Mercurio e Malatesta Baglione
preseno trecento cavalli che erano alloggiati fuora: ma andando, pochi dì poi,
Niccolò Scoto con cinquecento fanti italiani da Bergamo a Crema, incontrato da
dugento svizzeri, fu rotto e fatto prigione, e condotto al duca di Milano che
lo fece decapitare. La perdita di Bergamo destò il viceré e Prospero Colonna; i
quali, con le genti spagnuole e del duca di Milano, andativi a campo con
cinquemila fanti, piantorno l'artiglierie alla porta di Santa Caterina: con le
quali avendo fatto progresso grande, Renzo che vi era dentro, vedendo non si
potere difendere, lasciata la terra a discrezione, accordò di potersene uscire
con tutti i soldati con le loro robe, ma senza suono di trombe e con le
bandiere basse. Compose il viceré Bergamo in ottantamila ducati.
Ma opera molto
celebrata e piena di grande industria e celerità, mentre che queste cose a
Crema e a Bergamo succedevano, fece l'Alviano nella terra di Rovigo. Nella
quale essendo alloggiati più di dugento uomini d'arme spagnuoli, e riputando di
esservi sicurissimi perché tra le genti viniziane e loro era in mezzo il fiume
dello Adice, l'Alviano gittato il ponte all'improviso appresso alla terra della
Anguillara, e passato con gente tutta espedita il fiume con prestezza
incredibile e arrivato alla terra, la porta della quale era già stata occupata
da cento fanti vestiti da villani, mandati innanzi da lui sotto l'occasione che
quel dì medesimo vi si faceva il mercato, entrato dentro gli fece tutti
prigioni: per il quale caso gli altri spagnuoli che erano alloggiati nel Pulesine,
rifuggitisi alla Badia come luogo più forte del paese, abbandonato poi tutto il
Pulesine ed eziandio Lignago, si salvorono verso Ferrara. Preso Rovigo, andò
l'Alviano con l'esercito a Oppiano presso a Lignago, avendovi anche condotto
per il fiume l'armata delle barche, e di quivi a villa Cerea presso a Verona;
luogo dal quale, se non gli succedesse il pigliare Verona, nella quale erano
dumila fanti spagnuoli e mille tedeschi, disegnava di travagliarla tutta la
vernata: ma avendo notizia che verso Lignago andavano trecento uomini d'arme
cinquecento cavalli leggieri e seimila fanti degli inimici, temendo non gli
impedissino le vettovaglie o lo strignessino a combattere, si levò e gli andò
costeggiando, che andavano verso l'Adice; e lo passorno ad Albereto, con
difficoltà grande di vettovaglie, per la molestia ricevevano da' cavalli
leggieri e dalla armata delle barche. Nel quale luogo avendo inteso che
l'esercito spagnuolo, ricuperato Bergamo, ritornava verso Verona, deliberato
non l'aspettare, mandò le genti d'arme per terra a Padova; egli con la fanteria
carriaggi e artiglierie, per fuggire le pioggie e i fanghi grandi, se ne andò
di notte per il fiume dello Adice alla seconda, non senza timore di essere
assaltato dagli inimici, i quali furno impediti dall'acque troppo alte: ma egli
smontato in terra si condusse, con la consueta celerità, salvo a Padova, ove
due dì innanzi erano entrati gli uomini d'arme; dipoi distribuì l'esercito tra
Padova e Trevigi. E il viceré e Prospero Colonna, poste le genti alle stanze
nel Polesine di Rovigo, andorno a Spruch, per consultare con Cesare delle cose
occorrenti.
Stette questo
anno medesimo più quieto che 'l solito il paese del Friuli, essendo per la
cattura del Frangiapane mancato quello instrumento il quale più che tutti gli
altri lo inquietava: e però i viniziani, conoscendo quello che importasse il
ritenerlo, avevano recusato di permutarlo con Giampaolo Baglione; il quale,
trattandosi prima di permutarlo con Carvagial, aveva avuto licenza dagli spagnuoli
di andare a Roma, ma data la fede di ritornare prigione non si concordando la
permutazione; la quale mentre che si tratta, succeduta la morte di Carvagial,
Giampaolo, affermando per questo accidente rimanere libero, recusò di tornare
più in potestà di chi l'aveva fatto prigione.
E ne' medesimi
dì, che fu circa la fine dell'anno, gli Adorni e i Fieschi, favoriti
occultamente, secondo si credeva, dal duca di Milano, entrati di notte per
trattato in Genova e venuti alla piazza del palazzo, furono scacciati da
Ottaviano Fregoso; il quale co' fanti della sua guardia fattosi loro incontro
fuora delle sbarre, combattendo sopra tutti gli altri valorosamente, gli messe
in fuga, ricevuta una piccola ferita nella mano. Restorono prigioni Sinibaldo
dal Fiesco Ieronimo Adorno e Gian Cammillo da Napoli.
Pare, oltre
alle cose sopradette, degno di memoria che in questo anno medesimo Roma vidde
gli elefanti, animale forse non mai più veduto in Italia dopo i trionfi e i
giuochi publici de' romani: perché mandando Emanuel re di Portogallo una
onoratissima imbascieria a prestare la ubbidienza al pontefice, mandò insieme a
presentargli molti doni, e tra questi due elefanti, portati a lui della India
dalle sue navi; la entrata de' quali in Roma fu celebrata con grandissimo
concorso.
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