XII. Gli svizzeri alla difesa del ducato di Milano. Preoccupazione dei
francesi di evitare i passi alpini custoditi dagli svizzeri. Passi alpini da
Lione in Italia. Consigli del re d'Inghilterra contrari all'impresa d'Italia. I
francesi, passate le Alpi, entrano nel marchesato di Saluzzo. Prospero Colonna
prigione dei francesi.
Alla fama della
mossa del re di Francia, il viceré di Napoli, il quale, essendo stato per molti
mesi quasi in tacita tregua co' viniziani, era venuto nel vicentino per
approssimarsi agli inimici, alloggiati in fortissimo alloggiamento agli Olmi
appresso a Vicenza, ridusse l'esercito a Verona per andare, secondo diceva, a
soccorrere il ducato di Milano; e il pontefice mandava verso Lombardia le genti
d'armi sue e de' fiorentini sotto il governo del fratello eletto capitano della
Chiesa, per soccorrere medesimamente quello stato, come non molti dì innanzi
aveva convenuto cogli altri confederati: con tutto che, insistendo nelle solite
simulazioni, desse voce mandarle solamente per la custodia di Piacenza di Parma
e di Reggio, e fusse proceduto tanto oltre cogli oratori del re di Francia che
il re, persuadendosi al certo la sua concordia, aveva da Lione spedito agli
imbasciadori suoi il mandato di conchiudere, consentendo che la Chiesa
ritenesse Piacenza e Parma insino a tanto ricevesse da lui ricompenso tale che
il pontefice medesimo l'approvasse. Ma erano, per le cagioni che di sotto
appariranno, tutti vani questi rimedi: era destinato che col pericolo e col
sangue de' svizzeri, solamente, o si difendesse o si perdesse il ducato di
Milano. Questi, non ritardati da negligenza alcuna, non dalla piccola quantità
de' danari, scendevano sollecitamente nel ducato di Milano; già ne erano venuti
più di ventimila, de' quali diecimila si erano accostati a' monti; perché il
consiglio loro era, ponendosi a' passi stretti di quelle vallate che dalle Alpi
che dividono Italia dalla Francia sboccano ne' luoghi aperti, impedire il
passare innanzi a' franzesi.
Turbava molto
questo consiglio de' svizzeri l'animo del re; il quale prima per la grandezza
delle sue forze si prometteva certa la vittoria; perché nell'esercito suo erano
dumila cinquecento lancie, ventiduemila fanti tedeschi guidati dal duca di
Ghelleri, diecimila guaschi (così chiamavano i fanti soldati da Pietro
Navarra), ottomila franzesi e tremila guastatori condotti col medesimo
stipendio che gli altri fanti. Considerava il re co' suoi capitani essere
impossibile, inteso il valore de' svizzeri, rimuovergli da' passi forti e
angusti se non con numero molto maggiore; ma questo non si poteva in luoghi
tanto stretti adoperare, difficile fare cosa di momento in tempo breve, più
difficile dimorare lungamente nel paese tanto sterile così grande esercito, con
tutto che continuamente venisse verso i monti copia grandissima di vettovaglie.
Nelle quali difficoltà, alcuni, sperando più nella diversione che
nell'urtargli, proponevano che si mandassino per la via di Provenza ottocento
lancie, e per mare Pietro Navarra coi diecimila guaschi si unissino insieme a
Savona; altri dicevano perdersi, a fare sì lungo circuito, troppo tempo,
indebolirsi le forze e accrescersi troppo di riputazione agli inimici,
dimostrando di non avere ardire di riscontrarsi con loro. Fu adunque
deliberato, non si discostando molto da quel cammino pensare di passare da
qualche parte che o non fusse osservata o almeno manco custodita dagli inimici,
e che Emat di Pria con [quattrocento] lancie e [cinquemila] fanti andasse per
la via di Genova, non per speranza di divertire, ma per infestare Alessandria e
le altre terre di qua dal Po.
Due sono i
cammini dell'Alpi per i quali ordinariamente si viene da Lione in Italia:
quello del Monsanese, montagna della giurisdizione del duca di Savoia, più
breve e più diritto, e comunemente più frequentato; l'altro che da Lione,
torcendo a Granopoli, passa per la montagna di Monginevra, giurisdizione del
Dalfinato. L'uno e l'altro perviene da Susa, ove comincia ad allargarsi la
pianura: ma per quello di Monginevra, benché alquanto più lungo, perché è più
facile a passare e più comodo a condurre l'artiglierie, solevano sempre passare
gli eserciti franzesi. Alla custodia di questi due passi e di quegli che
riuscivano in luoghi vicini, intenti i svizzeri, si erano fermati a Susa;
perché i passi più bassi verso il mare erano tanto stretti e repenti che,
essendo molto difficile il passarvi i cavalli di tanto esercito, pareva
impossibile che per quegli si conducessino l'artiglierie. Da altra parte il
Triulzio, a cui il re avea data questa cura, seguitato da moltitudine
grandissima di guastatori, e avendo appresso a sé uomini industriosi ed
esperimentati nel condurre l'artiglierie, i quali mandava a vedere i luoghi che
gli erano proposti, andava investigando per qual luogo si potesse, senza
trovare l'ostacolo de' svizzeri, più facilmente passare; per il che l'esercito,
disteso la maggior parte tra Granopoli e Brianzone, aspettando quel che si
deliberasse, procedeva lentamente; costrignendogli anche al medesimo la
necessità di aspettare i provedimenti delle vettovaglie.
Nel qual tempo
venne al re, partito già da Lione, uno uomo mandato dal re di Inghilterra, il
quale in nome suo efficacemente lo confortò che per non turbare la pace della
cristianità non passasse in Italia. Origine di tanta variazione fu che, essendo
stato molesto a quel re che 'l re di Francia si fusse congiunto con l'arciduca,
parendogli che le cose sue cominciassino a procedere troppo prosperamente, avea
da questo principio cominciato a prestare l'orecchie agli imbasciadori del re
cattolico, che non cessavano di dimostrargli quanto a lui fusse perniciosa la
grandezza del re di Francia, che per l'odio naturale, e per avere esercitato i
prìncipi della sua milizia contro a lui, non gli poteva essere se non
inimicissimo; ma lo moveva più la emulazione e la invidia alla gloria sua, la
quale gli pareva che si accrescesse molto se e' riportasse la vittoria dello
stato di Milano. Ricordavasi che egli, ancora che avesse il regno riposato e
ricchissimo per la lunga pace, e trovato tanto tesoro accumulato dal padre, non
aveva però se non dopo qualche anno avuto ardire di assaltare il re di Francia,
solo, e cinto da tanti inimici e affaticato da tanti travagli: ora questo re,
alquanto più giovane che non era egli quando pervenne alla corona, ancora che
avesse trovato il regno, affaticato ed esausto per tante guerre, avere ardire,
ne' primi mesi del suo regno, andare a una impresa dove aveva opposizione di
tanti prìncipi: non avere egli, con tanti apparati e con tante occasioni,
riportato in Inghilterra altro guadagno che la città di Tornai, con spesa
nondimeno intollerabile e infinita; ma il re di Francia, se conseguisse, come
si poteva credere, la vittoria, acquistando sì bello ducato, avere a tornare
gloriosissimo nel regno suo: apertasi ancora la strada, e forse innanzi che
uscisse d'Italia presa l'occasione, di assaltare il regno di Napoli. Co' quali
stimoli e punture essendo stato facile risuscitare l'odio antico nel petto suo,
né essendo a tempo di potere dargli con l'armi impedimento alcuno, e forse
anche cercando di acquistare qualche più giustificazione, aveva mandato a
fargli questa imbasciata. Per la quale il re non ritardando il suo cammino,
venne da Lione nel Dalfinato: ove ne' medesimi dì comparsono i lanzchenech
detti della banda nera, condotti da Ruberto della Marcia; la quale banda della
Germania più bassa era, per la sua ferocia e per la fede sempre dimostrata,
negli eserciti franzesi in grandissima estimazione.
A questo tempo
significò Giaiacopo da Triulzi al re potersi condurre di là da' monti
l'artiglierie tra l'Alpi Marittime e le Cozie, scendendo verso il marchese di
Saluzzo; ove, benché la difficoltà fusse quasi inestimabile, nondimeno per la
copia grandissima degli uomini e degli instrumenti, dovere finalmente
succedere: e non essendo da questa parte, né in sulla sommità de' monti né alle
bocche delle vallate, custodia alcuna, meglio essere tentare di superare
l'asprezza de' monti e i precipizi delle valli, la qual cosa si faceva colla
fatica ma non col pericolo degli uomini, che tentare di fare abbandonare i passi
a' svizzeri tanto temuti, e ostinati o a vincere o a morire; massime non
potendo, se si faceva resistenza, fermarsi molti dì, perché niuna potenza o
apparato bastava a condurre per i luoghi tanto aspri e tanto sterili
vettovaglia sufficiente a tanta gente: il quale consiglio accettato,
l'artiglierie, che si erano fermate in luogo comodo a volgersi a ogni parte, si
mossono subito a quel cammino. Aveva il Triulzo significato dovere essere
grandissima la difficoltà del passarle, ma con l'esperienza riuscì molto
maggiore. Perché prima era necessario salire in su monti altissimi e
asprissimi, ne' quali si saliva con grandissima difficoltà perché non vi erano
sentieri fatti, né talvolta larghezza capace dell'artiglierie se non quanto di
palmo in palmo facilitavano i guastatori; de' quali precedeva copia
grandissima, attendendo ora ad allargare la strettezza de' passi ora a spianare
le eminenze che impedivano. Dalla sommità de' monti si scendeva, per precipizi
molto prerutti e non che altro spaventosissimi a guardargli, nelle valli
profondissime del fiume dell'Argentiera; per i quali non potendo sostenerle i
cavalli che le tiravono, de' quali vi era numero abbondantissimo, né le spalle
de' soldati che l'accompagnavano, i quali in tante difficoltà si mettevano a ogni
fatica, era spesso necessario che appiccate a canapi grossissimi fussino, per
le troclee, trapassate con le mani de' fanti: né passati i primi monti e le
prime valli cessava la fatica, perché a quegli succedevano altri monti e altre
vallate, i quali si passavano con le medesime difficoltà. Finalmente, in spazio
di cinque dì, l'artiglierie si condussono in luoghi aperti del marchesato di
Saluzzo di qua da' monti; passate con tante difficoltà che è certissimo che, se
o avessino avuta resistenza alcuna o se i monti fussino stati, come la maggiore
parte sogliono essere, coperti dalla neve, sarebbe stata fatica vana; ma dalla
opposizione degli uomini gli liberò che, non avendo mai pensato alcuno potersi
l'artiglierie condurre per monti tanto aspri, i svizzeri fermatisi a Susa erano
intenti a guardare i luoghi per i quali viene chi passa il Monsanese, il
Monginevra o per monti propinqui a quegli; e la stagione dell'anno, essendo
circa il decimo dì di agosto, aveva rimosso lo impedimento delle nevi già
liquefatte.
Passavano ne'
dì medesimi, non senza molta difficoltà, le genti d'arme e le fanterie; alcuni
per il medesimo cammino, altri per il passo che si dice della Dragoniera, altri
per i gioghi alti della Rocca Perotta e di Cuni, passi più verso la Provenza.
Per la quale via passato la Palissa, ebbe occasione di fare un fatto
memorabile. Perché partito da Singlare con quattro squadre di cavalli, e fatta,
guidandolo i paesani, una lunghissima cavalcata, sopragiunse improviso a
Villafranca, terra distante sette miglia da Saluzzo, e di nome più chiaro che
non ricerca la qualità della terra perché appresso a quella nasce il fiume
tanto famoso del Po. Alloggiava in quella con la compagnia sua Prospero
Colonna, senza alcuno sospetto per la lunga distanza degli inimici, ne' quali
non temeva quella celerità che esso, di natura molto lento, non era solito a
usare: e dicono alcuni che il dì medesimo voleva andare a unirsi co' svizzeri.
Ma, come si sia, certo è che stava alla mensa desinando, quando sopragiunsono
le genti del la Palissa, non sentite, insino furno alla casa medesima, da
alcuno; perché gli uomini della terra co' quali la Palissa, intento a tanta
preda, si era prima occultamente inteso, aveano tacitamente prese le scolte.
Così, il quintodecimo dì di agosto, rimase prigione, non come si conveniva
all'antica gloria, Prospero Colonna, tanto chiaro capitano e, per l'autorità
sua e per il credito che aveva nel ducato di Milano, di momento grande in
quella guerra. Fu preso, insieme con Prospero, Pietro Margano romano e una
parte della compagnia sua: gli altri al primo romore dispersi in varie parti
fuggirono.
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