XXII. Trattative fra il re di Francia e il re di Spagna. Milizie francesi
nel veronese e nel mantovano; rifiuto di fanti tedeschi del Lautrech di
assalire Verona. Accordi a Noion fra Francia e Spagna. Francesi e veneziani
contro Verona. Il Lautrech si ritira a Villafranca; rinforzi in Verona. Pace
fra Cesare e il re di Francia; accordi del re cogli svizzeri. Verona ritorna ai
veneziani.
In questo stato
delle cose facendo il senato veneto instanza per la ricuperazione di Verona,
Lautrech, avendo nell'esercito seimila fanti tedeschi i quali a questa impresa
erano convenuti pagare i viniziani, venne in sull'Adice per passare il fiume a
Usolingo e accamparsi insieme coll'esercito veneto a Verona; ma dipoi,
crescendo la fama della venuta de' svizzeri e per il sospetto della stanza di
Prospero Colonna in Modena, cresciuto per essersi fermato nella medesima città
il cardinale di Santa Maria in Portico, si ritirò non senza querela de'
viniziani a Peschiera, distribuite le genti di qua e di là dal fiume del
Mincio: nel quale luogo, con tutto che fussino cessati i sospetti già detti e
che di Verona fussino passati agli stipendi veneti più di dumila fanti tra
spagnuoli e tedeschi e continuamente ne passassino, soprastette più d'un mese,
aspettando, secondo diceva, danari di Francia e che i viniziani facessino
provedimenti maggiori di danari di artiglierie e munizioni. Ma la cagione più
vera era che aspettava quel che succedesse delle cose che si trattavano tra 'l
suo re e il re cattolico. Perché il re di Francia, conoscendo quanto a
quell'altro re fusse necessaria la sua amicizia per rimuoversi le difficoltà
del passare in Ispagna e dello stabilimento di quegli regni, non contento a
quel che prima si era concordato a Parigi, cercava di imporgli più dure condizioni,
e di pacificarsi per mezzo suo con Cesare, il che non si poteva fare senza la
restituzione di Verona a' viniziani; e il re di Spagna per consiglio di
[monsignore] di Ceures con l'autorità del quale, essendo nell'età di quindici
anni, totalmente si reggeva, non recusava di accomodare a' tempi e alle
necessità le sue deliberazioni. Però erano congregati a Noion, per la parte del
re di Francia, il vescovo di Parigi il gran maestro della sua casa e il
presidente del parlamento di Parigi, e per la parte del re cattolico il
medesimo di Ceures e il gran cancelliere di Cesare.
L'esito delle
quali cose mentre che Lautrech aspetta, si esercitavano continuamente, come è
il costume della milizia del nostro secolo, le armi contro agli infelici paesani:
perché e Lautrech, gittato il ponte alla villa di Monzambaino, attendeva a
tagliare le biade del contado di Verona e a fare correre per tutto i cavalli
leggieri, e avendo mandato una parte delle genti ad alloggiare nel mantovano,
distruggeva con gravissimi danni quel paese, dalla quale molestia per liberarsi
il marchese di Mantova fu contento di pagargli dodicimila scudi; e i soldati di
Verona, correndo ogni dì nel vicentino e nel padovano, saccheggiorono la misera
città di Vicenza. Passò pur poi Lautrech, stimolato con gravissime querele da'
viniziani, l'Adice per il ponte gittato a Usolingo, e fatta per il paese
grandissima preda, perché non si era mai creduto che l'esercito passasse da
quella parte, si accostò a Verona per porvi il campo; avendo in questo mezzo,
con l'aiuto degli uomini del paese, occupata la Chiusa, per fare più difficile
il passare al soccorso che venisse di Germania. Ma il medesimo dì che si
accostò a Verona, i fanti tedeschi, o spontaneamente o subornati da lui
tacitamente, ancora che sostentati già tre mesi colle pecunie de' viniziani,
protestorno non volere, ove non era l'interesse principale del re di Francia,
andare all'espugnazione di una terra posseduta da Cesare. Però Lautrech,
ripassato l'Adice, si allontanò uno miglio dalle mura di Verona; e l'esercito
veneto, nel quale erano cinquecento uomini d'arme cinquecento cavalli leggieri
e quattromila fanti, non gli parendo stare sicuro di là dal fiume, andò a
unirsi con lui.
Nel qual tempo
i deputati de' due re convennero, il quintodecimo dì di agosto, a Noion, in
questa sentenza: che tra il re di Francia e il re di Spagna fusse pace perpetua
e confederazione, per difensione degli stati loro contro a ciascuno: che il re
di Francia desse la figliuola, che era di età di uno anno, in matrimonio al re
cattolico, dandogli per dote le ragioni che pretendeva appartenersegli al regno
di Napoli, secondo la partigione già fatta da' loro antecessori, ma con patto
che insino che la figliuola non fusse di età abile al matrimonio pagasse il re
cattolico, per sostentazione delle spese di lei, al re di Francia, ciascuno
anno, centomila scudi; la quale se moriva innanzi al matrimonio e al re ne
nascesse alcuna altra, quella con le medesime condizioni si desse al re
cattolico; e in caso non ve ne fusse alcuna, Renea, quella che era stata
promessa nella capitolazione fatta a Parigi; e morendo qualunque di esse nel
matrimonio senza figliuoli, ritornasse quella parte del regno di Napoli al re
di Francia: che il re cattolico restituisse al re antico il reame di Navarra
fra certo tempo, e non lo restituendo fusse lecito al re di Francia
aiutargliene recuperare, ma, secondo che poi affermavano gli spagnuoli, se
prima quel re gli faceva constare delle sue ragioni: avesse Cesare facoltà di entrare
in termine di due mesi nella pace, ma quando bene vi entrasse fusse lecito al
re di Francia di aiutare i viniziani alla recuperazione di Verona; la quale
città se Cesare metteva in mano del re cattolico, con facoltà di darla infra
sei settimane libera al re di Francia che ne potesse disporre ad arbitrio suo,
gli avessino a essere pagati da lui centomila scudi, e centomila altri, parte
nell'atto della consegnazione, parte fra sei mesi, da' viniziani, e liberato di
circa trecentomila avuti dal re Luigi quando erano confederati; e che in tal
caso fusse tregua per diciotto mesi tra Cesare e i viniziani, e che a Cesare
rimanesse Riva di Trento e Rovereto con tutto quello che allora nel Friuli
possedeva, e i viniziani continuassero di tenere le castella che allora
tenevano di Cesare insino a tanto che il re di Francia e il re di Spagna
terminassero tra loro le differenze de' confini. Nominò l'una parte e l'altra
il pontefice.
Per la
concordia fatta a Noion non cessorno i viniziani di stimolare Lautrech che si
ponesse il campo a Verona, perché erano incerti se Cesare accetterebbe la pace
e perché, per la quantità de' danari che gli arebbono a pagare, desideravano il
recuperarla più presto con l'armi. Da altra parte al re di Francia, per lo stabilimento
della pace con Cesare, era più grata la concordia che la forza; e nondimeno
Lautrech, non gli rimanendo più scusa alcuna, perché i viniziani aveano
copiosamente soldati fanti e fatto tutti i provedimenti dimandati da lui, né i
lanzchenech ricusavano più di andarvi insieme con gli altri, consentì alla
volontà loro. Però gli eserciti passorono separatamente il fiume dello Adice,
l'uno per uno ponte gittato di sopra alla città l'altro per uno ponte gittato
di sotto. Dell'artiglierie dell'esercito franzese, posto alla Tomba, una parte
si pose alla porta di Santa Lucia l'altra co' fanti tedeschi alla porta di San
Massimo per battere poi tutti ove il muro tra la cittadella e la città si viene
a congiugnere col muro della terra; acciò che, potendo in uno tempo medesimo
entrare nella cittadella e nella città, quegli di dentro avessino necessità di
dividersi, per rispetto del muro di mezzo, in due parti. Passò l'esercito
viniziano di sotto a Verona in Campo Marzio, e si pose a Santo Michele tra 'l
fiume e il canale, per levare quivi le offese e battere alla porta del Vescovo,
parte più debole e manco munita. Levoronsi ne' primi due dì con l'artiglierie
l'offese, che erano assai forti e per fianco; ma con maggiore difficoltà si
levorono, dal canto de' viniziani, l'offese de' tre bastioni: le quali levate,
cominciò ciascuna delle parti a battere la muraglia con diciotto pezzi grossi
di artiglieria e quindici pezzi mezzani per batteria, e il terzo dì erano da
ciascuno degli eserciti gittate in terra settanta braccia di muraglia e si
continuava di battere per farsi molto più larga la strada; e nondimeno i
viniziani, dalla parte de' quali era la muraglia più debole, ancora che
avessino abbattuti quasi tutti i bastioni e ripari, non avevano mai levato
interamente le offese di dentro per fianco, perché erano tanto basse, e quasi
nel fosso, che l'artiglierie o passavano di sopra o innanzi vi arrivassino
battevano in terra. Tagliavasi anche nel tempo medesimo il muro co' picconi; il
quale, con tutto che puntellato, anticipò di cadere innanzi al tempo disegnato
da' capitani. In Verona erano ottocento cavalli cinquemila fanti tedeschi e
[mille cinquecento] spagnuoli sotto il governo di Marcantonio Colonna, non più
soldato del pontefice ma di Cesare; i quali, attendendo a riparare
sollecitamente e provedendo e difendendo valorosamente per tutto dove fusse
necessario, dimostravano ferocia grande: con somma laude di Marcantonio, il
quale, ferito benché leggiermente da uno scoppietto nella spalla, non cessava
di rappresentarsi a qualunque ora del dì e della notte, a tutte le fatiche e
pericoli. Già l'artiglierie piantate da' franzesi in quattro luoghi dove erano
le torri, tralla porta della cittadella e la porta di Santa Lucia, aveano fatta
ruina tale che ciascuna delle rotture era capace a ricevere i soldati in
ordinanza; né molto minore progresso avevano fatto quelle de' viniziani: e
nondimeno Lautrech dimandava nuove artiglierie per fare la batteria maggiore,
abbracciando prontamente, benché reclamando invano i viniziani i quali
stimolavano si desse la battaglia, qualunque occasione che si offeriva di
differire. Perché era accaduto che, venendo per il piano di Verona allo
esercito ottocento bariglioni di polvere in sulle carra e molte munizioni, il
volere i conduttori de' buoi entrare l'uno innanzi all'altro gli fece in modo
accelerare che, per la collisione delle ruote suscitato il fuoco, abbruciò la
polvere insieme con le carra e co' buoi che la conducevano. Ma agli assediati
si aggiugneva un'altra difficoltà, perché nella città, stata vessata dalla
propinquità degli inimici già tanti mesi, cominciavano a mancare le
vettovaglie; non ve ne entrando se non piccola quantità e occultamente per la
via de' monti. Stando le cose di Verona [in questo termine], sopravennono
[nove] mila fanti tedeschi mandati da Cesare per soccorrere quella città; i
quali pervenuti alla Chiusa l'ottennero per concordia, e occuporno il castello
della Corvara, passo in sul monte propinquo all'Adice verso Trento, stato nella
guerra tra Cesare e i viniziani occupato dall'una parte e dall'altra più volte.
Per l'approssimarsi di questi fanti, Lautrech, o temendo o simulando di temere,
levato il campo contro alla volontà de' viniziani, si ritirò a Villafranca e
con lui una parte delle genti viniziane, l'altre sotto Giampaolo Manfrone si
ritirorno al Boseto di là dall'Adice, col ponte preparato: né si dubitando più
che aspettava se Cesare accettava la concordia di Noion, come gli dava speranza
uno mandato a lui dal re cattolico, i viniziani, disperati dell'espugnare
Verona, mandorno tutte l'artiglierie grosse parte a Padova parte a Brescia.
Dunque, non avendo ostacolo, i fanti tedeschi si fermorono alla Tomba dove
prima alloggiava l'esercito franzese, donde una parte di loro entrò nella
città, l'altra, restata fuora, attendeva a mettervi vettovaglie, le quali messe
dentro si partirono; rimasti a guardia di Verona sette in ottomila fanti
tedeschi, perché la maggiore parte degli spagnuoli, non potendo convenire co'
tedeschi, era sotto il colonnello Maldonato passata nel campo viniziano:
soccorso, a giudicio di ognuno, di piccolo momento, perché non condussono seco
altri danari che ventimila fiorini di Reno mandati dal re di Inghilterra, e
consumorono, mentre vi stettono, tante vettovaglie che pareggiorono quasi la quantità
di quelle vi condussono. Ridotte le genti a Villafranca, dove consumavano il
veronese e il mantovano, furno necessitati i viniziani, (acciocché i soldati
franzesi, i quali il comandamento del re non bastava a ritenere, non se ne
andassino alle stanze) a provedere che la città di Brescia donasse loro tutta
la vettovaglia necessaria: spesa, ciascuno dì, di più di mille scudi.
Finalmente le
cose cominciorono a riguardare manifestamente alla pace, perché si intese che
Cesare, con tutto che prima avesse instantemente procurato col nipote che non
convenisse col re di Francia, anteposta ultimatamente la cupidità de' danari
all'odio naturale contro al nome franzese e agli antichi pensieri di dominare
Italia, aveva accettata e ratificata la pace; e deliberato di restituire,
secondo la forma di quelle convenzioni, Verona. Donde seguitò un'altra cosa in
beneficio del re di Francia: che tutti i cantoni de' svizzeri, vedendo deporsi
l'armi tra Cesare e lui, si inclinorno a convenire seco, come prima avevano
fatto i grigioni; adoperandosi molto in questa cosa Galeazzo Visconte, il
quale, essendo esule e in contumacia del re, ottenne da lui per questo la
restituzione alla patria e in progresso di tempo molte grazie e onori. La
convenzione fu: che il re pagasse a' svizzeri, in termine di tre mesi, trecento
cinquantamila ducati, e dipoi in perpetuo annua pensione: fussino obligati i
svizzeri concedere, per publico decreto, agli stipendi suoi, qualunque volta
gli ricercasse, certo numero di fanti; ma in questo procederono diversamente,
perché gli otto cantoni si obligorono a concedergli eziandio quando facesse
impresa per offendere gli stati di altri, i cinque cantoni non altrimenti che
per difesa degli stati propri: fusse in potestà de' svizzeri di restituire al
re di Francia le rocche di Lugano e di Lucerna, passi forti e importanti alla
sicurtà del ducato di Milano; ed eleggendo il restituirle, dovesse il re pagare
loro trecentomila ducati. Le quali rocche, subito fatta la convenzione,
gittorono in terra.
Queste cose si
feciono in Italia l'anno mille cinquecento sedici. Ma ne' primi dì dell'anno
seguente, il vescovo di Trento venuto a Verona offerse a Lautrech, col quale
parlò tra Villafranca e Verona, di consegnare al re di Francia, infra il
termine di sei mesi statuito nella capitolazione, quella città, la quale diceva
tenere in nome del re di Spagna: ma rimanendo la differenza se il termine
cominciava dal dì della ratificazione di Cesare o dal dì si era riconosciuto
Verona tenersi per il re cattolico, si disputò sopra questo alquanti dì; ma il
dimandare i fanti di Verona tumultuosamente [denari] costrinse il vescovo di
Trento ad accelerare. Però, pigliando il principio del dì che Cesare gli avea
fatto il mandato, convenne consegnare Verona il quintodecimo dì di gennaio: nel
qual dì, ricevuti da viniziani i primi cinquantamila ducati, e quindicimila che
secondo la convenzione doveano pagare a' fanti di Verona, e da Lautrech
promessa di fare condurre a Trento l'artiglierie che erano in Verona, consegnò
a Lautrech quella città, riceventela in nome del re di Francia; e Lautrech,
immediate, in nome del medesimo re, la consegnò al senato veneto, e per lui a
Andrea Gritti proveditore; rallegrandosi sommamente la nobiltà e il popolo
viniziano che di guerra sì lunga e sì pericolosa avessino, benché dopo infinite
spese e travagli, avuto felice fine. Perché, secondo che affermano alcuni
scrittori delle cose loro, spesono in tutta la guerra fatta dopo la lega di
Cambrai cinque milioni di ducati; de' quali ne estrassono, della vendita degli
offici, cinquecentomila. Ma non meno si rallegravano i veronesi e tutte l'altre
città e popoli sottoposti alla loro republica; perché speravano, riposandosi
per beneficio della pace, aversi a liberare da tante vessazioni e tanti mali,
che così miserabilmente avevano, ora da una parte ora dall'altra, tanto tempo
sopportati.
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