V. Il cardinale di Santa Maria in Portico legato pontificio all'esercito;
tumulti per questioni fra soldati tedeschi e italiani; conseguente sospensione
delle operazioni. Defezione di soldati spagnuoli dall'esercito pontificio.
Strage di soldati tedeschi. Defezione di guasconi e di tedeschi dall'esercito
pontificio. Consiglio dei capi dell'esercito di rimettere i Bentivoglio in
Bologna e sdegno del pontefice per tale proposta.
Per la ferita
di Lorenzo, costituito in gravissimo pericolo della vita, il pontefice mandò
legato allo esercito il cardinale di Santa Maria in Portico; il quale,
congiunta già la fortuna a' pessimi governi, cominciò con infelici auspici a
esercitare quella legazione. Perché il dì seguente che e' fu arrivato allo
esercito, essendo nata a caso una quistione tra uno fante italiano e uno
tedesco, e correndovi i più vicini e ciascuno chiamando il nome della sua
nazione, si ampliò il tumulto per tutto il campo, in modo che, non si sapendo
che origine avesse o che cagione, tutti i fanti per armarsi si ritiravano
tumultuosamente agli alloggiamenti de' suoi; ma quegli che nel ritirarsi si
riscontravano in fanti di altre lingue erano molte volte ammazzati da loro: e,
quel che fu cagione di maggiore disordine, essendo i fanti italiani andati in
ordinanza verso il luogo nel quale era cominciata la quistione, furono da'
fanti guasconi saccheggiati gli alloggiamenti loro. Concorsono i capitani
principali dello esercito, i quali allora erano nel consiglio, per porre
rimedio a tanto disordine; ma vedendo il tumulto grande e pericoloso, ciascuno
abbandonando i pensieri delle cose comuni per lo interesse particolare si
ritirò a' suoi alloggiamenti; e messe subito in ordine le loro genti d'arme,
non pensando se non a salvare quelle, si discostorono con esse dal campo circa
uno miglio. Solo il legato Bibbiena, con la costanza e prontezza che
apparteneva all'officio e all'onore suo, non abbandonò la causa comune,
riducendosi molte volte, per il furore della moltitudine concitata, in pericolo
non piccolo della vita; per opera del quale, non senza molte difficoltà e
interponendosene molti de' capitani de' fanti, cessò finalmente il tumulto; nel
quale erano stati, in diversi luoghi del campo, morti più di cento fanti
tedeschi, più di venti italiani e qualche fante spagnuolo. Questo accidente fu
cagione che, dubitandosi che se l'esercito stava insieme i fanti esacerbati per
le offese ricevute non combattessino per ogni piccolo caso l'uno contro
all'altro, si deliberasse non procedere per allora a impresa alcuna ma tenere
separato l'esercito. Però furono alloggiate nella città di Pesero le genti
d'arme della Chiesa e de' fiorentini e i fanti italiani; perché le lancie
franzesi, non essendo ancora risolute le difficoltà tra il pontefice e il re,
non si erano mai mosse da Rimini. Alloggiorono i fanti guasconi nel piano,
presso a mezzo miglio di quella città; gli altri fanti furono distribuiti in su
il monte della Imperiale, monte sopra Pesero dalla parte di verso Rimini, in su
il quale è uno palazzo fabricato dagli antichi Malatesti. E furono alloggiati
con questo ordine: gli spagnuoli in su la sommità del monte, i tedeschi più a
basso secondo che il monte scende, e i corsi alle radici del monte.
Così stettono
ventitré dì, non si facendo in quel mezzo altro che scaramuccie di cavalli
leggieri; perché Francesco Maria, non potendo sperare di rompere alla campagna
sì grosso esercito né tentare, per la vicinità loro, l'espugnazione di alcuna
terra, attendendo a conservare quello che aveva acquistato, si stava fermo. Ma
il vigesimo quarto dì, partito di notte da Montebaroccio, arrivò all'alba del
dì in su la sommità del monte negli alloggiamenti degli spagnuoli; co' quali, o
con tutti o con parte di loro, si credette, per quello che dimostrò il
progresso della cosa, che avesse avuta secreta intelligenza. Venuto quivi,
subito i suoi spagnuoli gridorno agli altri che se volevano salvarsi gli
seguitassino, alla quale voce la maggiore parte, messosi ciascuno in sul capo
uno ramuscello di fronde verdi come aveano loro, gli seguitò: soli i capitani
con circa ottocento fanti si ritirorono a Pesero. Così uniti andorono agli
alloggiamenti de' tedeschi, i quali non facevano da quella parte custodia
alcuna, per la sicurtà che dava loro la vicinità de' fanti spagnuoli;
trovatigli così incauti n'ammazzorno e ferirno più di secento, gli altri
fuggendo negli alloggiamenti de' corsi si discostorono insieme verso Pesero: i
guasconi, sentito il tumulto, messisi in ordinanza, non volleno mai muoversi
del luogo loro. Uccisi i tedeschi e tirata a sé la maggiore parte de' fanti spagnuoli,
Francesco Maria fermò l'esercito tra Urbino e Pesero; pieno di speranza che con
lui s'avessino a unire i guasconi e quegli fanti tedeschi i quali, levati nel
tempo medesimo del campo di Lautrech, erano sempre andati, alloggiati e
proceduti insieme.
Era tra'
guasconi Ambra, emulo del capitano Carbone; il quale, giovane di sangue più
nobile e parente di Lautrech, aveva appresso a loro autorità maggiore. Costui
aveva trattato occultamente, molti giorni, di passare con quei fanti a Francesco
Maria; e gli dava occasione che, non contenti di avere accresciuti
immoderatamente gli stipendi, dimandavano di nuovo insolentemente condizioni
molto maggiori: alle quali repugnando i ministri del pontefice, si
interponevano per concordargli Carbone e il capitano delle lancie franzesi,
venuto da Rimini a Pesero per questa cagione. Ma cinque o sei dì da poi che era
succeduto il caso degli spagnuoli e tedeschi al monte della Imperiale,
Francesco Maria con tutto l'esercito si scoperse vicino a loro. Una parte de'
quali insieme con Ambra, messasi in battaglia, con sei sagri e seguitata da'
tedeschi, si unì con lui; ingegnandosi invano Carbone con prieghi e con parole
ardenti di ritenergli: col quale rimasono sette capitani con mille trecento
fanti; gli altri tutti, insieme co' tedeschi, l'abbandonorno. E come nelle cose
della guerra si aggiungono sempre a' disordini nuovi disordini, i fanti
italiani, vedendo la necessità che s'avea di loro, la mattina seguente
tumultuorno: i quali per quietare bisognò, ne' pagamenti, concedere dimande
immoderate; non essendo né più vergogna né minore avarizia ne' capitani che ne'
fanti. Ed era certo cosa maravigliosa che nello esercito di Francesco Maria,
nel quale a' soldati non si davano mai i danari, fusse tanta concordia
ubbidienza e unione; non dependendo tanto questo, come con somma laude si dice
di Annibale cartaginese, dalla virtù o autorità del capitano quanto dallo
ardore e ostinazione de' soldati: e per contrario, che nello esercito della
Chiesa, ove a' tempi debiti non mancavano eccessivi pagamenti, fussino tante
confusioni e disordini, e tanto desiderio ne' fanti di passare agli inimici.
Donde apparisce che non tanto i danari quanto altre cagioni mantengono spesso
la concordia e l'ubbidienza negli eserciti.
Spaventati da
tanti accidenti, il legato e gli altri che intervenivano nel consiglio,
esaminato lungamente quello che per rimedio delle cose afflitte fusse da fare,
né essendo più prudenti o abbondanti di modi abili a provedere dopo i disordini
seguiti che fussino stati a provedere che non seguissino, movendogli ancora gli
interessi e le cupidità particolari, conchiuseno essere da confortare il
pontefice che restituisse i Bentivogli in Bologna innanzi che essi, preso animo
dalla declinazione delle cose o incitati da altri, facessino qualche movimento:
al quale come si potrebbe resistere, mostrarlo le difficoltà che avevano di
sostenere la guerra in uno luogo solo. Però avendo, per dare maggiore autorità
a tale consiglio o per più giustificazione, in ogni evento, di tutti, fatto
distendere in iscrittura il parere comune e sottoscrittolo di mano del legato e
dell'arcivescovo Orsino (l'uno de' quali era congiunto d'antica amicizia a'
Bentivogli, l'altro di parentado) e da tutti i capitani, mandorono, per il
conte Ruberto Boschetto gentiluomo modonese, al papa questa scrittura. La quale
non solo fu disprezzata da lui, ma si lamentò con parole molto acerbe che i
ministri suoi, e quegli che da lui avevano ricevuti tanti benefici o potevano
sperare a ogn'ora di riceverne, gli proponessino, con tanto piccola fede e
amore, consigli non manco perniciosi che i mali i quali gli facevano gli
inimici; risentendosene principalmente contro all'arcivescovo Orsino, per
essere forse stato principale stimolatore degli altri a questo consiglio: il
quale sdegno si crede che forse fusse cagione di torgli la dignità del
cardinalato, la quale gli era promessa da tutti nella prima promozione.
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