VII. Congiura del cardinale Alfonso Petrucci contro il pontefice. Esami e
pene dei congiurati. Nomine numerose di nuovi cardinali, di cui alcuni
appartenenti a famiglie nobili romane.
Ma non
procedevano in questo tempo più felicemente le cose del pontefice nelle altre
azioni che ne' travagli della guerra: alla vita del quale insidiava Alfonso
cardinale di Siena, sdegnato che il pontefice, dimenticatosi delle fatiche e
de' pericoli sostenuti già per Pandolfo Petrucci suo padre perché i fratelli e
lui fussino restituiti nello stato di Firenze, e delle opere fatte da sé,
insieme con gli altri cardinali giovani nel conclave, perché e' fusse assunto
al pontificato, avesse in ricompensazione di tanti benefici fatto cacciare di
Siena Borghese suo fratello e lui; donde privato eziandio delle facoltà paterne
non poteva sostenere splendidamente, come soleva, la degnità del cardinalato.
Però ardendo di odio, e quasi ridotto in disperazione, aveva avuto pensieri
giovenili di offenderlo egli proprio violentemente con l'armi; ma ritenendolo
il pericolo e la difficoltà della cosa più che lo esempio o lo scandolo comune
in tutta la cristianità, se uno cardinale avesse di sua mano ammazzato uno
pontefice, aveva voltato tutti i pensieri suoi a torgli la vita col veleno, per
mezzo di Batista da Vercelli, famoso chirurgico e molto intrinseco suo. Del
quale consiglio, se tal nome merita così scelerato furore, questo aveva a
essere l'ordine: sforzarsi, col celebrare, poiché altra occasione non ne aveva,
con somme laudi la sua perizia, che il pontefice, il quale per una fistola
antica che aveva sotto le natiche usava continuamente l'opera di medici di
quella professione, pigliandone buono concetto lo chiamasse alla cura sua. Ma
la impazienza di Alfonso difficultò molto la speranza di questa cosa. La quale
mentre che si tratta con lunghezza, Alfonso non sapendo contenersi di
lamentarsi molto palesemente della ingratitudine del pontefice, diventando ogni
dì più esoso, e venuto in sospetto che non macchinasse qualche cosa contro allo
stato, fu finalmente quasi costretto di partirsi, per sicurtà di se stesso, da
Roma. Ma vi lasciò Antonio Nino suo secretario; tra il quale e lui essendo
continuo commercio di lettere, comprese il pontefice, per alcune che furono
intercette, trattarsi contro alla vita sua. Però, sotto colore di volere
provedere alle cose di Alfonso, lo chiamò a Roma, concedutogli salvocondotto, e
data, per la bocca propria, fede di non lo violare allo oratore del re di
Spagna. Sotto la quale sicurtà, ancora che conscio di tanta cosa, andato
imprudentemente innanzi al pontefice, furono, egli e Bandinello cardinale de'
Sauli genovese, fautore anche esso della assunzione di Lione al pontificato ma
intrinseco tanto di Alfonso che si pensava fusse conscio d'ogni cosa, ritenuti
nella camera medesima del papa, donde furono menati prigioni in Castello Santo
Agnolo; e subitamente ordinato che Batista da Vercelli, il quale allora
medicava in Firenze, fusse incarcerato e incontinente mandato a Roma. Sforzossi
con ardentissime querele e pretesti di fare liberare Alfonso l'oratore del re
di Spagna, allegando la fede data a lui come a oratore di quel re non essere
altro che la fede data al re proprio. Ma il pontefice rispondeva che in uno
salvocondotto, quantunque amplissimo e pieno di clausule forti e speciali, non
si intende mai assicurato il delitto contro alla vita del principe se non vi è
nominatamente specificato: avere la medesima prerogativa la causa del veleno,
aborrito tanto dalle leggi divine e umane e da tutti i sentimenti degli uomini
che aveva bisogno di particolare e individua espressione.
Prepose il
pontefice all'esamina loro Mario Perusco romano, procuratore fiscale, dal quale
rigorosamente esaminati confessorono il delitto macchinato da Alfonso con
saputa di Bandinello; la quale confessione fu confermata da Batista cerusico e
da Pocointesta da Bagnacavallo, il quale sotto Pandolfo suo padre e sotto
Borghese suo fratello era stato lungamente capitano della guardia che stava
alla piazza di Siena; i quali due furono publicamente squartati. Ma dopo questa
confessione fu, nel prossimo concistorio, ritenuto e condotto nel castello
Raffaello da Riario cardinale di San Giorgio, camarlingo della sedia
apostolica; il quale per le ricchezze, per la magnificenza della sua corte e
per il tempo lungo che era stato in quella dignità, era senza dubbio principale
cardinale del collegio: il quale confessò non gli essere stata comunicata
questa macchinazione, ma il cardinale di Siena, lamentandosi e minacciando il
pontefice, avergli detto più volte parole per le quali aveva potuto comprendere
avere in animo, se ne avesse occasione, di offenderlo nella persona. Querelossi
dipoi il pontefice, in uno altro concistorio, nel quale i cardinali, non
assuefatti a essere violati, erano tutti smarriti di animo e spaventati, che
così crudelmente e sceleratamente fusse stato insidiato alla vita sua da quegli
i quali, costituiti in tanta degnità e membri principali della sedia
apostolica, erano sopra tutti gli altri obligati a difenderla; lamentandosi
efficacemente del suo infortunio, e che non gli fusse giovato l'essere stato e
l'essere continuamente benefico e grato con ognuno, eziandio insino a grado che
da molti ne fusse biasimato: soggiugnendo che in questo peccato erano ancora degli
altri cardinali, i quali se innanzi che fusse licenziato il concistorio
confessassino spontaneamente il loro delitto, essere parato a usare la clemenza
e a perdonare loro, ma che finito il concistorio si userebbe contro a chi fusse
congiunto a tanta sceleratezza la severità e la giustizia. Per le quali parole
Adriano cardinale di Corneto e Francesco Soderino cardinale di Volterra,
inginocchiati innanzi alla sedia del pontefice, dissono, il cardinale di Siena
avere con loro usate delle medesime parole che aveva usate col cardinale di San
Giorgio.
Finiti e
publicati nel concistorio gli esamini, furono Alfonso e Bandinello, per
sentenza data nel concistorio publico, privati della degnità del cardinalato,
degradati e dati alla corte secolare. Alfonso, la notte prossima, fu
occultamente nella carcere strangolato; la pena di Bandinello permutata, per
grazia del pontefice, dalla morte a perpetua carcere: il quale, non molto poi,
non solo lo liberò dalla carcere ma, pagati certi danari, lo restituì alla
degnità del cardinalato; benché con lui avesse più giusta causa di sdegno
perché, beneficato sempre da lui e veduto molto benignamente, non si era
alienato per altro che per la amicizia grande che aveva con Alfonso, e per
sdegno che il cardinale de' Medici gli fusse stato anteposto nella petizione di
certi benefici. E nondimeno non mancorono interpretatori, forse maligni, che
innanzi fusse liberato dalla carcere gli fusse stato dato, per commissione del
pontefice, veleno, di quella specie che non ammazzando subitamente consuma in
progresso di tempo la vita di chi lo riceve. Col cardinale di San Giorgio, per
essere il delitto minore, ancora che le leggi fatte e interpretate da' prìncipi
per sicurtà de' loro stati voglino che nel crimine della maestà lesa sia
sottoposto all'ultimo supplicio non solo chi macchina ma chi sa chi accenna
contro allo stato, e molto più quando si tratta contro alla vita del principe,
procedette il pontefice più mansuetamente; avendo rispetto alla sua età e
autorità, e alla congiunzione grande che innanzi al pontificato era lungamente
stata tra loro. Però, se bene fusse, per ritenere l'autorità della severità,
nella sentenza medesima privato del cardinalato, fu quasi incontinente,
obligandosi egli a pagare quantità grandissima di danari, restituito per grazia
eccetto che alla voce attiva e passiva; alla quale fu, innanzi passasse uno
anno, reintegrato. A Adriano e Volterra non fu dato molestia alcuna, eccetto
che tacitamente pagorno certa quantità di danari: ma non si confidando, né
l'uno né l'altro, di stare in Roma sicuramente né con la conveniente dignità,
Volterra con licenza del pontefice se ne andò a Fondi, dove sotto l'ombra di
Prospero Colonna stette insino alla morte del pontefice; e Adriano, partitosi
occultamente quello che si avvenisse di lui non fu mai più che si sapesse né
trovato né veduto in luogo alcuno.
Costrinse
l'acerbità di questo caso il pontefice a pensare alla creazione di nuovi
cardinali, conoscendo quasi tutto il collegio, per il supplizio di questi e per
altre cagioni, avere l'animo alienissimo da lui: alla quale procedé tanto
immoderatamente che pronunziò, in una mattina medesima, in concistorio,
consentendo il collegio per timore e non per volontà, trentuno cardinali; nella
abbondanza del quale numero ebbe facoltà di sodisfare a molti fini e di
eleggere di ogni qualità di uomini. Perché promosse due figliuoli di sorelle
sue, e alcuni di quegli che, stati e nel ponteficato e prima a' servizi suoi, e
grati al cardinale de' Medici e a lui per diverse cagioni, non erano per altro
rispetto capaci di tanta degnità; sodisfece nella creazione di molti a prìncipi
grandi, creandogli a istanza loro; molti ne creò per danari, trovandosi esausto
e in grandissima necessità: furonvene alcuni chiari per opinione di dottrina, e
tre generali, è questo tra loro il supremo grado, delle religioni di Santo
Agostino di Santo Domenico e di Santo Francesco; e, quello che fu rarissimo in
una medesima promozione, due della famiglia de' Triulzi, movendolo nell'uno
l'essere suo cameriere e il desiderio di sodisfare a Gianiacopo, nell'altro la
fama della dottrina aiutata da qualche somma di danari. Ma quello che dette
maggiore ammirazione fu la creazione di Franciotto Orsino e di Pompeio Colonna
e di cinque altri romani delle famiglie principali che seguitavano o questa o
quella fazione: con consiglio contrario alle deliberazioni dell'antecessore, ma
riputato imprudente e che riuscì poco felice per i suoi. Perché, essendo sempre
la grandezza de' baroni di Roma depressione e inquietudine de' pontefici,
Giulio, essendo mancati i cardinali antichi di quelle famiglie, le quali
Alessandro sesto per spogliarle degli stati propri aveva acerbamente
perseguitate, non aveva mai voluto rimettere in alcuna di loro quella degnità;
Lione tanto immoderatamente fece il contrario: non potendo però dirsi che fusse
stato tirato da' meriti delle persone; perché Franciotto fu promosso dalla
professione della milizia alla degnità del cardinalato, e a Pompeio doveva
nuocere la memoria che, con tutto fusse vescovo, avea, per occasione della
infermità [di Giulio], cercato di fare tumultuare il popolo romano contro allo
imperio de' sacerdoti, e dipoi si era ribellato apertamente con l'armi dal
medesimo pontefice, dal quale era stato per questo privato della degnità
episcopale.
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