VIII. Francesco Maria nella Marca. Offerte d'aiuto del re di Francia al
pontefice; sospetti reciproci e sospetti anche del re di Spagna. Battaglia ai
borghi di Rimini; Francesco Maria passa in Toscana; difficoltà di Francesco
Maria e del pontefice. Concordia fra il pontefice e Francesco Maria.
Considerazioni dell'autore sulla guerra e sul modo con cui è stata condotta. Il
re di Spagna prende possesso dei suoi stati; i veneziani riconfermano la lega difensiva
col re di Francia.
Ma in questo
tempo Francesco Maria, poiché per la ritirata, anzi più presto fuga, degli
inimici non aveva avuto facoltà di combattere, avendo l'esercito molto potente,
perché alla fama del non avere resistenza nella campagna concorrevano
continuamente nuovi soldati, tirati dalla speranza delle prede, entrò nella
Marca; dove Fabriano e molte altre terre si composono con lui, ricomperando con
danari il pericolo del sacco e delle rapine de' loro contadi. Saccheggionne
alcune altre, tra le quali Iesi, mentre trattava di comporsi; e dipoi
accostatosi ad Ancona, alla difesa della quale città il legato aveva mandato
gente, vi stette fermo intorno più dì, con detrimento grande, per la perdita
del tempo, delle cose sue, non combattendo ma trattando di accordarsi con gli
anconitani: i quali finalmente, per non perdere le ricolte già mature, gli
pagorono ottomila ducati, non deviando in altro dalla ubbidienza solita della
Chiesa. Assaltò dipoi la città di Osimo poco felicemente. Messe finalmente il
campo alla terra di Corinaldo, dove erano dugento fanti forestieri; da' quali e
dagli uomini della terra fu difesa sì francamente che, statovi intorno ventidue
dì, alla fine, disperato di pigliarla, si levò: con grande diminuzione del
terrore di quello esercito, che non avesse espugnato terra alcuna di quelle che
avevano recusato di comporsi; il che non procedeva né dalla imperizia de'
capitani né dalla ignavia de' soldati, ma perché non avevano artiglierie se non
piccolissima quantità, e piccoli pezzi e quasi senza munizione. E nondimeno era
stato necessario, alle terre le quali non avevano voluto cedergli, dimostrare
da se stesse la sua costanza e il suo valore: perché i capitani dell'esercito
ecclesiastico, de' quali era principale il conte di Potenza, se bene avessino
mandato gente a predare insino in su le mura di Urbino, e Sise, ritornato da
Città di Castello in Romagna, fusse dipoi entrato nel Montefeltro e preso per
forza Secchiano e alcune altre piccole terre, si erano ridotti ad alloggiare
cinque miglia presso a Pesero, deliberati di non soccorrere luogo alcuno né di
muoversi se non quanto gli facesse muovere la necessità del ritirarsi; perché
essendo, quando erano tanto superiori di forze, succedute così infelicemente le
cose, trovandosi ora tanto manco potenti di fanterie, non arebbeno non che
altro ardito di sostenere la fama dello approssimarsi degli inimici.
Nella quale
deliberazione, fatta secondo la mente del pontefice, gli confermava la speranza
della venuta di seimila svizzeri, i quali il papa, seguitando il consiglio del
re di Francia, avea mandato a soldare: perché quel re, dopo la confederazione
fatta, desiderava la vittoria del pontefice, e nel tempo medesimo aveva di lui
il medesimo sospetto che prima. Conservavanlo nel sospetto le relazioni
fattegli da Galeazzo Visconte e da Marcantonio Colonna; l'uno de' quali
restituito dall'esilio nella patria, l'altro per non gli parere che da Cesare
fussino riconosciute l'opere sue, condotti con onorate condizioni agli stipendi
del re, aveano riferito il papa essersi molto affaticato con Cesare e co'
svizzeri contro a lui: e molto più moveva il re, che il pontefice aveva
occultamente fatta nuova confederazione con Cesare col re di Spagna e col re di
Inghilterra; la quale benché gli fusse stato lecito di fare, perché era stata
fatta solamente a difesa, turbava pure non poco l'animo suo. Facevagli
desiderare che si liberasse dalla guerra il timore che se il pontefice non
vedeva pronti gli aiuti suoi non facesse co' prìncipi già detti maggiore
congiunzione; e oltre a questo gli cominciava a essere molesta e sospetta la
prosperità di quello esercito, il nervo del quale erano fanti spagnuoli e
tedeschi. Però, oltre ad avere consigliato il pontefice di armarsi di fanti
svizzeri, gli aveva offerto di mandare di nuovo trecento lancie sotto Tommaso
di Fois monsignore dello Scudo fratello di Odetto; allegando che, oltre alla
riputazione e valore della persona, gli sarebbe utile a fare partire da
Francesco Maria i fanti guasconi, co' quali questi fratelli di Fois, nati di
sangue nobilissimo in Guascogna, aveano grande autorità. Aveva il pontefice
accettata questa offerta ma con l'animo molto sospeso, perché dubitava come
prima della volontà del re, della quale gli aveva accresciuto il sospetto la
fuga de' fanti guasconi, temendo che occultamente non fusse proceduta per opera
di Lautrech. E certamente, chi osservò in questo tempo i progressi de' prìncipi
potette apertamente conoscere che niuno intrattenimento niuno beneficio niuna
congiunzione è bastante a rimuovere de' petti loro la diffidenza che hanno
l'uno dell'altro; perché non solamente era il sospetto reciproco tra il re di
Francia e il pontefice, ma il re di Spagna, intendendo trattarsi della andata
de' svizzeri e di Tommaso di Fois, non era senza timore che il pontefice e il
re congiunti insieme pensassino di spogliarlo del regno di Napoli: le quali
cose si crede che giovassino alle cose del pontefice, perché ciascuno di loro,
per non gli dare causa o giustificazione di alienarsi da sé, cercava di
confermarlo e di assicurarsene co' benefici e con gli aiuti.
Ma Francesco
Maria, partito da Corinaldo, ritornò nello stato d'Urbino, per fare spalle a'
popoli suoi che facessino le ricolte: donde, desiderando assai, come sempre
aveva desiderato, l'acquisto di Pesero, nella quale città era il conte di
Potenza con le sue genti, vi si accostò con l'esercito; e per impedirgli le
vettovaglie messe in mare alcuni navili. Ma all'opposito si preparorno a Rimini
sedici legni tra barche brigantini e schirazzi; i quali come furno armati,
andando a Pesero per sicurtà di certe barche che vi conducevano vettovaglie, si
riscontrorno con quegli di Francesco Maria, co' quali venuti alle mani, messo
in fondo il navilio principale presono tutti gli altri: per il che egli,
disperato di pigliare Pesero, si partì. Facevasi in questo mezzo lo Scudo
innanzi con le trecento lancie; ma tardavano i svizzeri, perché i cantoni
recusavano di concedergli se prima non erano pagati da lui del residuo delle
pensioni vecchie: dalla quale disposizione non si potendo rimuovergli, e il
pontefice impotente per le gravissime spese a sodisfargli, i ministri del
pontefice, dopo avere consumato in questa instanza molti dì, soldorno, senza
decreto publico, duemila fanti particolari di quella nazione e quattromila
altri tra tedeschi e grigioni. I quali essendo finalmente venuti e alloggiati a
Rimini ne' borghi (i quali, divisi dal fiume dal resto della città, sono
circondati di mura), Francesco Maria, entrato di notte sotto le pile del ponte
egregio di marmo che unisce i borghi colla città, non potette passare il fiume,
ingrossato per il ricrescimento del mare. Fu la battaglia grande tralle sue
genti e i fanti alloggiati ne' borghi, nella quale fu ammazzato Gaspari,
capitano della guardia del papa che gli aveva condotti; ma fu maggiore il danno
degli inimici: ammazzati Balastichino e Vinea capitani spagnuoli, ferito
Federico da Bozzole e Francesco Maria di uno scoppietto nella corazza. Voltò
dipoi l'esercito verso Toscana, menato più dalla necessità che dalla speranza,
perché nello stato tanto consumato non si poteva sì grande esercito sostentare.
In Toscana dimorato qualche dì, tralla Pieve di Santo Stefano, il Borgo a
Sansepolcro e Anghiari, terre de' fiorentini, e occupato Montedoglio, luogo
debole e poco importante, dette una lunghissima battaglia ad Anghiari, terra
più forte per la fede e virtù degli uomini che per la fortezza della muraglia o
per altra munizione; la quale non avendo ottenuta, si ridusse sotto l'Apennino,
tra il Borgo e Città di Castello, dove fatti venire quattro pezzi d'artiglieria
da Mercatello, alloggiò meno di un mezzo miglio presso al Borgo, in sulla
strada per la quale si va a Urbino, incerto di quel che avesse a fare: perché, essendo
gli inimici passati dietro a lui in Toscana, [erano] entrati nel Borgo molti
de' soldati italiani, in Città di Castello si era fermato Vitello con un'altra
parte, in Anghiari, nella Pieve a Santo Stefano e nelle altre terre convicine
erano entrati i fanti tedeschi i corsi i grigioni e i svizzeri. Venne
similmente, benché più tardi, Lorenzo de' Medici da Firenze al Borgo; ove
stette intorno Francesco Maria oziosamente molti dì: ne' quali luoghi
cominciando ad avere incomodità grande di vettovaglie, né si vedendo presente
speranza alcuna di potere fare effetto buono, anzi diventato l'esercito suo (il
quale era necessario si sostentasse di prede e di rapine) non manco formidabile
agli amici che agli inimici, cominciava egli medesimo a non conoscere fine lieto
alle cose sue; e i fanti che l'avevano seguitato, non avendo pagamento, non
speranza di potere più molto predare per non avere artiglierie e munizioni di
qualità da sforzare le terre, sopportando carestia di vettovaglie, vedendo gli
inimici accresciuti di forze e di riputazione, poiché si era scoperto loro
tanto favore de' prìncipi, cominciavano a infastidirsi della lunghezza della
guerra, non sperando più poterne avere, né col combattere presto né con la
lunghezza del tempo, felice successo. E al pontefice, da altra parte, accadeva
il medesimo: esausto di danari, poco potente per se stesso a fare le provisioni
necessarie nel campo suo, e dubbio, come mai, della fede de' re e specialmente
del re di Francia, il quale tardamente provedeva al sussidio de' danari
dovutogli per la capitolazione, e perché lo Scudo, fermatosi secondo la volontà
del papa in Romagna, aveva recusato di mandare parte delle sue genti in
Toscana, allegando non le volere dividere.
Però, e prima
che gli eserciti passassino l'Apennino, e molto più ridotte le cose in questo
stato, erano stati vari ragionamenti d'accordo tra il legato e Francesco Maria
insieme co' suoi capitani, interponendosene lo Scudo e don Ugo di Moncada
viceré di Sicilia, mandato dal re cattolico per questo effetto; ma niente era
succeduto insino a quel dì, per la durezza delle condizioni proposte da
Francesco Maria. Finalmente i fanti spagnuoli, indotti dalle difficoltà che si
dimostravano e dalla instanza di don Ugo, il quale trasferitosi a loro e aggiugnendo
le minaccie alla autorità avea dimostrato questa essere precisamente la volontà
del re di Spagna, inclinorno alla concordia: la quale, prestando il
consentimento benché malvolentieri Francesco Maria, e intervenendovi per il
pontefice il vescovo d'Avellino mandato dal legato, si conveniva in questo
modo, consentendo ancora i fanti guasconi per la interposizione dello Scudo:
che il pontefice pagasse a' fanti spagnuoli quarantacinque mila ducati, dovuti
secondo dicevano per lo stipendio di [quattro] mesi, a' guasconi e a' tedeschi
uniti con loro ducati [sessanta] mila, partissino tutti, fra otto dì, dallo
stato della Chiesa, de' fiorentini e di Urbino: che Francesco Maria,
abbandonato nel termine medesimo tutto quello possedeva, fusse lasciato passare
sicuramente a Mantova; potessevi condurre l'artiglierie, tutte le robe sue, e
nominatamente quella famosa libreria che con tanta spesa e diligenza era stata
fatta da Federigo suo avolo materno, capitano di eserciti chiarissimo di tutti
ne' tempi suoi ma chiaro ancora, intra molte altre egregie virtù, per il
patrocinio delle lettere: assolvesselo il pontefice dalle censure, e perdonasse
a tutti i sudditi dello stato d'Urbino e a qualunque gli fusse stato contrario
in questa guerra. La sostanza delle quali cose mentre che più prolissamente si
riduce nella scrittura, voleva Francesco Maria vi si inserissino certe parole
per le quali si inferiva, gli spagnuoli essere quegli che promettevano lasciare
al pontefice lo stato di Urbino; la qual cosa essi ricusando, come contraria
all'onore loro, vennono insieme a contenzione; onde Francesco Maria,
insospettito che non lo vendessino al pontefice, se ne andò all'improviso nel
pivieri di Sestina, con parte de' cavalli leggieri co' fanti italiani guasconi
e tedeschi e con quattro pezzi di artiglieria. Gli spagnuoli, data perfezione
alla concordia e ricevuti i danari promessi andorno nel regno di Napoli,
essendo quando partirno poco più o meno di secento cavalli e quattromila fanti;
feciono il medesimo gli altri fanti, ricevuto il premio della loro perfidia;
agli italiani soli non fu né data né promessa cosa alcuna. Perciò e Francesco
Maria, della salute del quale parve che lo Scudo tenesse cura particolare,
poiché si vedde abbandonato da tutti, aderendo alla concordia trattata prima,
se ne andò per la Romagna e per il bolognese a Mantova, accompagnato da
Federico da Bozzole e cento cavalli e secento fanti.
In questa
maniera si terminò la guerra dello stato di Urbino, continuata otto mesi, con
gravissima spesa e ignominia de' vincitori. Perché dalla parte del pontefice
furono spesi ottocentomila ducati, la maggiore parte de' quali, per la potenza
che aveva in quella città, furno pagati dalla republica fiorentina; e i
capitani appresso a' quali era la somma delle cose furono da tutti imputati di
grandissima viltà, governo molto disordinato, e da alcuni di maligna
intenzione: perché nel principio della guerra, essendo molto potenti le forze
di Lorenzo e deboli quelle degli inimici, non seppeno mai, né con aperto valore
né con industria o providenza, usare occasione alcuna. A' quali princìpi,
succeduta, per la perduta loro riputazione, la confusione e la disubbidienza
dello esercito, si aggiunse nel progresso della guerra il mancamento in campo
di molte provisioni; e in ultimo, avendo la fortuna voluto pigliare piacere de'
loro errori, moltiplicorono per opera di quella tanti disordini che si condusse
la guerra in luogo che il pontefice, scopertesegli insidie alla vita,
travagliato nel dominio della Chiesa, temendo qualche volta e non poco dello
stato di Firenze, necessitato a ricercare con prieghi e con nuove obligazioni
gli aiuti di ciascuno, non potette anche liberarsi da tanti affanni se non
pagando col suo proprio quelle genti dello esercito inimico o che erano state
origine della guerra o che condotte a' soldi suoi, dopo avergli fatto molte
estorsioni, si erano bruttamente rivoltate contro a lui.
In questo anno
medesimo, e quasi alla fine, il re di Spagna andò, con felice navigazione, a pigliare
la possessione de' regni suoi; avendo ottenuto dal re di Francia (tra l'uno e
l'altro de' quali, palliando la disposizione intrinseca, erano dimostrazioni
molto amichevoli) che gli prorogasse per sei mesi il pagamento de' primi
centomila ducati che era tenuto a dargli per l'ultimo accordo fatto tra loro: e
i viniziani riconfermorono per due anni la lega difensiva, che avevano col re
di Francia, col quale stando congiuntissimi tenevano poco conto dell'amicizia
di tutti gli altri; in tanto che ancora non avevano mai mandato a dare
l'ubbidienza al pontefice. Il quale fu molto imputato che avesse mandato legato
a Vinegia Altobello vescovo di Pola, come cosa indegna della sua maestà.
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