XI. Desiderio di Cesare che venga designato un suo nipote a re dei romani;
sue preferenze per Ferdinando, e preferenze dei suoi consiglieri per Carlo.
Azione del re di Francia contraria all'incoronazione imperiale di Cesare. Morte
di Cesare; giudizio dell'autore.
In questo anno
medesimo Cesare, desideroso di stabilire la successione dello imperio romano,
dopo la morte, in uno de' nipoti, trattava con gli elettori di farne eleggere
uno in re de' romani; la quale degnità chi ha conseguito succede immediatamente
senza altra elezione o confermazione, morto lo imperadore, allo imperio: e
perché a questa elezione non si può pervenire insino a tanto che chi è stato
eletto allo imperio non ha ottenuto la corona imperiale, faceva instanza col
pontefice che con esempio nuovo lo facesse, per mano di alcuni cardinali
deputati legati apostolici a questo atto, incoronare in Germania. E benché
Cesare avesse prima desiderato che questa degnità fusse conferita a Ferdinando
suo nipote, parendogli conveniente che, poiché al fratello maggiore erano
concorsi tanti stati e tanta grandezza, egli si sostentasse con questo grado, e
giudicando, che per mantenere più illustre la casa sua e per tutti i casi
sinistri che nella persona del maggiore potessino succedere, essere meglio
avervi due persone grandi che una sola; nondimeno, stimolato in contrario da
molti de' suoi e dal cardinale sedunense, e da tutti quegli i quali temevano e
odiavano la potenza de' franzesi, rifiutato il primo consiglio, voltò l'animo a
fare opera che a questa degnità fusse assunto il re di Spagna: dimostrandogli
questi tali essere molto più utile alla esaltazione della casa di Austria
accumulare tutta la potenza in uno solo che, dividendola in più parti, fargli
manco potenti a conseguitare i disegni loro. Essere tanti e tali i fondamenti
della grandezza di Carlo che, aggiugnendosegli la degnità imperiale, si potesse
sperare che avesse a ridurre Italia tutta e grande parte della cristianità in
una monarchia; cosa non solo appartenente alla grandezza de' suoi discendenti
ma ancora alla quiete de' sudditi e, per rispetto delle cose degli infedeli, a
beneficio di tutta la republica cristiana. Ed essere ufficio e debito suo
pensare allo augumento e alla esaltazione della degnità imperiale, stata tanti
anni nella persona sua e nella famiglia di Austria; la quale, insino a quello
dì, stata per la impotenza sua e de' suoi antecessori maggiore in titolo e in
nome che in sostanza e in effetti, non si poteva sperare aversi a sollevare né
ritornare al pristino splendore se non trasferendosi nella persona di Carlo e
congiugnendosi alla sua potenza: la quale occasione, portatagli dall'ordine
della natura e della fortuna, non essere ufficio suo di impedire anzi di
augumentare. Vedersi per gli esempli degli antichi imperadori, Giulio Cesare,
Augusto e molti de' suoi successori, che mancando di figliuoli e di persone
della medesima stirpe, gelosi che non [si] spegnesse o diminuisse la degnità
riseduta nella persona loro, avere cercato successori, remoti di congiunzione o
non attenenti eziandio in parte alcuna per mezzo delle adozioni; ed essere
fresco l'esempio del re cattolico, che amando come figliuolo Ferdinando,
allevato continuamente appresso a lui, né avendo non che altro mai veduto
Carlo, anzi provatolo nella sua ultima età poco ubbidiente a' precetti suoi,
nondimeno, non avuta compassione della povertà di quello che amava come
figliuolo, non gli aveva fatto parte alcuna di tanti stati suoi, né di quegli
eziandio che per essere acquistati da lui proprio era in facoltà sua di
disporre, anzi avere lasciato tutto a quello che quasi non conosceva se non per
strano. Ricordarsi Cesare il medesimo re averlo sempre confortato ad acquistare
a Ferdinando stati nuovi ma a lasciare la degnità imperiale a Carlo; ed essersi
veduto che per fare maggiore la grandezza del successore aveva, forse con
consiglio dannato da molti e per avventura ingiusto ma non mosso da altra
cagione che da questo, spogliato del regno d'Aragona il casato suo proprio
tanto nobile e tanto illustre, e consentito, contro al desiderio comune della
maggiore parte degli uomini, che il nome della casa sua si spegnesse e si
annichilasse.
A questa
instanza di Cesare si opponeva con ogni arte e industria il re di Francia,
essendogli molestissimo che a tanti regni e stati del re di Spagna si
aggiugnesse ancora l'autorità imperiale, che ripigliando vigore da tanta
potenza diventerebbe formidabile a ciascuno: però cercando di disturbarla
occultamente appresso agli elettori, faceva instanza col pontefice che non
consentisse di mandare, con esempio nuovo, a Cesare la corona; e a' viniziani
aveva mandato imbasciadori perché si unissino seco a fare opposizione:
ammonendo e il pontefice e loro del pericolo porterebbono di tanta grandezza.
Nondimeno, e già gli elettori erano in grande parte tirati nella sentenza di
Cesare, e già quasi assicurati de' danari che per questa elezione si
promettevano loro dal re di Spagna, il quale avea mandato per questo
dugentomila ducati nella Alamagna, non potendo anche con onestà, né forse senza
pericolo di scandolo, avuto rispetto agli esempli passati, denegare questa
petizione; né si credeva che il pontefice, ancora che gli fusse molestissimo,
recusasse di concedere che per mano di legati apostolici Cesare ricevesse in
Germania in suo nome la corona dello imperio, con ciò sia che lo andare a
incoronarsi a Roma, se bene con maggiore autorità della sedia apostolica, fusse
per ogn'altro rispetto più presto cerimonia che sostanzialità.
Con questi
pensieri e con queste azioni si consumò l'anno mille cinquecento diciotto, non
essendo ancora fatta la deliberazione dagli elettori; la quale, per nuovo
accidente, diventò più dubbia e più difficile: per la morte di Cesare,
succeduta ne' primi dì dell'anno mille cinquecento diciannove. Morì a Linz,
terra posta ne' confini dell'Austria, intento come sempre alle caccie delle
fiere; e con la medesima fortuna con la quale era vivuto quasi sempre; e la
quale, statagli benignissima in offerirgli grandissime occasioni, non so se gli
fusse parimente avversa in non gliene lasciare conseguire, o se pure quello che
insino alla casa propria gli era portato dalla fortuna ne lo privasse la
incostanza sua, e i concetti male moderati e differenti spesso dai giudìci
degli altri uomini, congiunti ancora con smisurata prodigalità e dissipazione
di danari; le quali cose gli interroppono tutti i successi e l'occasioni.
Principe, altrimenti, peritissimo della guerra, diligente secreto
laboriosissimo, clemente benigno e pieno di molte egregie doti e ornamenti.
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