XIII. Sforzi del re di Francia per guadagnarsi il favore degli elettori
dell'impero, e inclinazione dei popoli di Germania contraria a un sovrano
straniero. Ancora dell'atteggiamento del pontefice. Elezione a imperatore del
re di Spagna. Impressione per l'elezione di Carlo; ragioni di dissensi col re
di Francia.
Restava la
controversia dello imperio, con grandissima sospensione di tutta la
cristianità, proseguita da l'uno e l'altro re con maggiore caldezza che mai:
nella quale il re di Francia si ingannava ogni dì più, indotto dalle promesse
grandi del marchese di Brandiborg, uno degli elettori; il quale, avendo
ricevuto da lui offerte grandissime di danari, e forse qualche somma di
presente, si era non solo obligato, con occulte capitolazioni, a dargli il voto
suo ma promesso che l'arcivescovo di Magunza suo fratello, uno de' tre prelati
elettori, farebbe il medesimo. Promettevasi eziandio il re molto di un'altra
parte degli elettori, e sperava, in caso che i voti fussino pari, nel voto del
re di Boemia; per il voto del quale, discordando i sei elettori (che tre ne
sono prelati, tre prìncipi) si decide la controversia: però mandò allo
ammiraglio, il quale era andato prima per queste cose in Germania, quantità
grandissima di danari per dare agli elettori. E intendendo che molte delle
terre franche insieme col duca di Vertimbergh, minacciando chi volesse
trasferire lo imperio in forestieri, congregavano molte genti, faceva
provisione di altri danari per opporsi con le armi a chi volesse impedire che
gli elettori non lo eleggessino. Ma era grande la inclinazione de' popoli di
Germania perché la degnità imperiale non si rimovesse di quella nazione, anzi,
insino a' svizzeri, mossi dallo amore della patria comune germanica, avevano
supplicato il pontefice che non favorisse a questa elezione alcuno che non
fusse di lingua tedesca. Il quale, perseverando nondimeno nel favorire il re di
Francia, aveva, sotto pretesto della bolla delle tregue quinquennali, publicata
l'anno precedente, ammonito per brevi il duca di Vertimbergh e molte delle
terre franche che desistessino dall'armi; sperando pure che, dimostrandosi così
ardente per lui, il re avesse a udire con maggiore fede i consigli suoi, co'
quali alla fine si sforzò di persuadergli che, deposta la speranza d'avere a
essere eletto lui, procurasse con quella instanza medesima la elezione di
qualunque altro de' prìncipi di Germania: consiglio dato senza alcuno frutto,
perché l'ammiraglio e Ruberto Orsino, ingannati dalle promesse di quegli che
per trarre danari di mano de' franzesi davano certissime intenzioni, e occupati
dalla passione, l'uno per essere di ingegno franzese e ministro del re, l'altro
di natura leggiero e desideroso di acquistare la grazia sua, lo confermavano
con avvisi vani, ogni dì più, nella speranza di ottenere. Con le quali pratiche
essendosi condotti, secondo l'uso antico a Franchefort, terra della Germania
inferiore, quegli a' quali, non per più antica consuetudine o fondata ragione
ma per concessione di Gregorio [quinto] pontefice romano di nazione tedesco,
appartiene la facoltà di eleggere lo imperadore romano, mentre che stanno in
varie dispute per venire, al tempo debito, secondo gli ordini loro, alla
elezione, uno esercito messo in campagna per ordine del re di Spagna, il quale fu
più pronto a spendere i danari in raccorre gente che a dargli agli elettori,
avvicinatosi a Francofort sotto nome di proibire chi procurasse di violentare
la elezione, accrebbe l'animo agli elettori che favorivano la causa sua, tirò
nella sentenza degli altri quegli che erano dubbi, e spaventò il
brandiburgense, inclinato al re di Francia, talmente che disperato che a questo
concorressino gli altri elettori, e volendo fuggire l'odio e la infamia
appresso di tutta la nazione, non ebbe ardire di scoprire la sua intenzione: in
modo che, venendosi allo atto della elezione, fu eletto, il dì vigesimo ottavo
di giugno, imperadore Carlo d'Austria re di Spagna da' voti concordi di quattro
elettori, l'arcivescovo di Magunza e quello di Cologna, dal conte palatino e
dal duca di Sassonia. Ma l'arcivescovo di Treveri elesse il marchese di
Brandiborg, il quale concorse anche egli alla elezione di se stesso. Né si
dubita che se, per la egualità de' voti, la elezione fusse pervenuta alla
gratificazione del settimo elettore, che sarebbe succeduto il medesimo; perché
Lodovico re di Boemia, il quale era anche re di Ungheria, aveva promesso a
Carlo il voto suo.
Depresse questa
elezione molto l'animo del re di Francia e di quegli che in Italia dependevano
da lui, e per contrario inanimì molto chi aveva speranze o pensieri contrari,
vedendo congiunta tanta potenza in uno principe solo, giovane, e al quale si
sentiva per molti vaticini essere promesso grandissimo imperio e stupenda
felicità; e se bene non fusse copioso di danari quanto era il re di Francia,
nondimeno era tenuto di grandissima importanza il potere empiere gli eserciti
suoi di fanteria tedesca e spagnuola, fanteria di molta estimazione e valore:
cosa che per il contrario accadeva al re di Francia, perché non avendo nel
regno suo fanti da opporre a questi non poteva implicarsi in guerre potenti, se
non cavando, con grandissima spesa e qualche volta con grandissima difficoltà,
fanteria di paesi forestieri; la quale cosa lo necessitava a intrattenere con
grande spesa e diligenza i svizzeri, tollerare da loro molte ingiurie, e
nondimeno non essere mai totalmente sicuro né della loro costanza né della loro
fede. Né si dubitava che tra' due prìncipi, giovani, e tra' quali erano molte
cause di emulazione e di contenzione, avesse finalmente a nascere gravissima
guerra. Perché nel re dì Francia risedeva il desiderio di recuperare il regno
di Napoli, pretendendo avervi giusto titolo: eragli a cuore la reintegrazione
del re don Giovanni al regno di Navarra, della quale comprendeva oramai
essergli state date vane speranze: molesto era a Cesare il pagamento de'
centomila ducati promessi nello accordo di Noion; e gli pareva che il re,
sprezzato l'accordo prima fatto a Parigi, usando immoderatamente la occasione
dello essere egli necessitato a passare in Spagna, l'avesse quasi per forza
costretto a fare concordia nuova: era sempre fresca tra loro la causa del duca
di Ghelleri, la quale sola, per averne il re di Francia la protezione, e lo
stato di Fiandra riputarlo inimicissimo, poteva essere bastante a eccitargli
all'armi. Ma sopratutto generava nell'animo del nuovo Cesare stimoli
ardentissimi il ducato di Borgogna, il quale occupato da Luigi undecimo per
l'occasione della morte di Carlo duca di Borgogna, avolo materno del padre di
Cesare, aveva sempre tormentato l'animo de' successori. Né mancavano stimoli o
cause di controversie per cagione del ducato di Milano, del quale non avendo il
presente re, dopo la morte di Luigi duodecimo, ottenuta né dimandata la
investitura, e pretendendosi molte eccezioni alle ragioni che gli nascevano
della investitura fatta allo antecessore e di invalidità e di perdita di
ragioni, era bastante questo a suscitare guerra tra loro. Nondimeno, né i tempi
né l'opportunità consentivano che per allora facessino movimento: perché, oltre
che a Cesare era necessario ripassare prima in Germania, per pigliare in
Aquisgrana, secondo l'uso degli altri eletti, la corona dello imperio, si
aggiugneva che, essendo ciascuno di loro di tanta potenza, la difficoltà dello
offendersi l'uno l'altro gli riteneva dallo assaltarsi se prima non intendevano
perfettamente la mente e la disposizione degli altri prìncipi, e specialmente
(se si avesse a fare guerra in Italia) quella del pontefice. La quale,
recondita dalle simulazioni e arti sue, non era nota ad alcuno e forse talvolta
non resoluta in se medesimo: benché, più presto per non avere occasione di
negargliene senza offendere gravemente l'animo suo che per libera volontà,
avesse dispensato Carlo ad accettare la elezione fattagli dello imperio, contro
al tenore della investitura del regno di Napoli; nella quale, fatta secondo la
forma delle antiche investiture, gli era proibito espressamente.
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