VI. Rammarico del pontefice e meraviglia generale per la decisione presa
dai comandanti dell'esercito ispano-pontificio; posizione
degli eserciti nemici. Sfortuna dell'esercito di Cesare in Fiandra. Nuovi piani
di guerra degli ispano-pontifici. Cattiva fortuna e
temerità dei fuorusciti milanesi. Vano tentativo di Giovanni de' Medici contro
il ponte di barche sul Po. L'esercito pronto a passare al di là del fiume. Gli
svizzeri lasciati nelle terre della Chiesa e contro il duca di Ferrara.
Afflisse questa
deliberazione maravigliosamente il pontefice, che aspettava che i suoi fussino
entrati in Parma; parendogli di essere caduto, contro a ogni ragione, della
speranza della vittoria, e trovandosi entrato in profondissimo pelago e
sottoposto a peso gravissimo, perché, dalle genti d'arme e fanti spagnuoli in
fuora, generalmente tutta la spesa della guerra si sopportava da lui; e, quel
che era peggio, dubitando della fede de' capitani cesarei. Nella quale
dubitazione concorrevano ancora molti, i quali si persuadevano che il ritirare
il campo da Parma non fusse stato timore ma artificio, come quegli che avessino
sospetto che il pontefice, recuperata che avesse Parma e Piacenza, non gli
appartenendo più altro dello stato di Milano, raffreddasse i pensieri della
guerra, né volesse per gli interessi degli altri sostenere più tanta spesa e
tanto travaglio: di che faceva fede il conoscersi quanto lentamente fussino proceduti
a porre il campo a Parma; lo averlo posto in luogo impertinente, poiché presa
la minore parte della terra si aveva con le medesime difficoltà a cercare di
pigliare l'altra; vedere con quanta dilazione e lentezza avevano governato la
oppugnazione, come se industriosamente dessino tempo alla venuta del soccorso
de' franzesi; e che ultimamente, essendo già in possessione di parte della
terra, al nome solo dello approssimarsi Lautrech ancora che con esercito
inferiore, l'avessino vituperosamente abbandonata. Alcuni altri dubitavano che,
senza coscienza di Prospero, potesse essere stato artificio del marchese di
Pescara, detrattore quanto poteva e invidioso della gloria sua. Nondimeno, fu
forse più sana opinione di quegli che credettono che si fusse proceduto
sinceramente; né avergli mosso altro che il timore dello essersi approssimato
Lautrech, ingannati in grande parte perché i primi avvisi significorono le
forze sue essere molto maggiori. Certo è che più che gli altri se ne
maravigliorno i capitani de' franzesi, ridotti in piccola speranza che Parma si
difendesse; perché i svizzeri, regolandosi più secondo la loro natura che
secondo la necessità di quegli che gli pagavano, procedevano innanzi con
grandissima tardità. Perciò molti di loro, non attribuendo la partita degli
inimici a timore, interpretavano più presto che Prospero come peritissimo
capitano, sapendo in quanto disordine mette gli eserciti il sacco delle città e
reputando molto difficile il proibire che i soldati non saccheggiassino Parma,
giudicasse molto pericoloso, avendo gli inimici tanto vicini, il pigliarla.
Quello che si sia, Lautrech, proveduta Parma di nuove genti, fermatosi a
Fontanella, mandò tre dì poi una parte dello esercito a pigliare Roccabianca,
castello del parmigiano vicino al Po; il quale poiché fu battuto con
l'artiglierie, Orlando Palavicino signore del luogo, disperato di avere
soccorso, arrendé la terra e la fortezza con facoltà di uscirsene. Distese poi
l'esercito tra San Secondo e il Taro, per governarsi secondo i progressi degli
inimici; avendo preso molto animo, parte per la difesa di Parma parte per
essere i nuovi svizzeri arrivati a Cremona: la giunta de' quali, ancora che
Lautrech gli avesse fatto fermare a Cremona, fu cagione che lo esercito
inimico, non gli parendo stare sicuro a San Lazzero, si ritirò in su il fiume
di Lenza dalla parte di verso Reggio, con intenzione di allontanarsi ancora più
se i franzesi si facessino innanzi. Anzi arebbono i capitani, senza aspettargli
altrimenti, fatto maggiore ritirata se le querele del pontefice e degli agenti
di Cesare, e la infamia che sentivano avere per tutto lo esercito, non gli
avesse ritenuti. Stettono in questo modo molti dì gli eserciti, facendo
nondimeno Lautrech molto spesso correre i suoi cavalli e quegli che erano in
Parma, per la via della montagna, insino a Reggio, con non piccolo impedimento
delle vettovaglie le quali da Reggio si conducevano agli inimici, e con piccola
laude di Prospero, lentissimo per natura a fare correre i cavalli leggieri e a
tutti i movimenti benché piccoli.
Simile fortuna
aveano le cose di Cesare di là da' monti: perché, essendo dalla parte di
Fiandra entrato nello stato del re di Francia con potente esercito, e posto il
campo a Masera con speranza grande di ottenerla, trovando la espugnazione più
difficile e venendo il soccorso potente del re di Francia, si ritirò, con
gravissimo pericolo che le genti sue non fussino rotte.
Ma in Italia
non erano, per i successi infelici, allentati i pensieri della guerra; perché
gli inimici de' franzesi, non pensando più alla espugnazione di Parma né di
altre terre, deliberavano di entrare più dentro, nel ducato di Milano;
aggiugnendo all'esercito tanti fanti italiani che in tutto fussino seimila, i
quali continuamente si soldavano. Alla quale deliberazione gli faceva procedere
più audacemente la speranza che agli stipendi del pontefice scendessino di
nuovo dodicimila svizzeri: i quali se bene, da principio, il cardinale
sedunense, che nelle diete procurava apertamente contro a' franzesi, ed Ennio
vescovo di Veroli nunzio apostolico e gli oratori di Cesare avessino recusati,
perché non si concedevano se non per difesa dello stato della Chiesa e con
espresso comandamento che non andassino a offendere lo stato del re di Francia,
nondimeno, poiché altrimenti non gli potevano impetrare, gli aveano finalmente
accettati eziandio con questa condizione; sperando, discesi che fussino in
Italia, potere, mediante la loro avarizia e instabilità e le corruttele e
l'arti che si userebbono co' capitani, indurgli a seguitare l'esercito contro
al ducato di Milano. Né in questa deliberazione dell'andare innanzi era di
molta dubitazione a quale parte s'avessino a dirizzare, perché nel continuare
la guerra di qua dal fiume del Po apparivano manifestamente grandissime
difficoltà: disperata era l'espugnazione di Parma; lasciandosi a dietro quella
città bisognava andare a combattere con gli inimici, cosa evidentemente
perniciosa perché erano alloggiati in luoghi forti e agli alloggiamenti
disposta opportunamente copia grandissima di artiglierie; dimorare tra Parma e
loro o procedere più innanzi senza combattere non si poteva, perché stando tra
le terre possedute da loro e l'esercito sarebbono in pochissimi dì mancate le
vettovaglie, non si potendo né averne del paese inimico né condurne da lontano.
Queste difficoltà si fuggivano trasferendo la guerra di là dal Po: perché in
quel paese, abbondante per sua natura e che non avea sentiti i danni della
guerra, confidavano trovare vettovaglie copiosamente, e non dovere avere
ostacolo alcuno insino al fiume della Adda, perché lasciando Cremona a mano
sinistra e accostandosi all'Oglio non vi erano terre da resistere; e
persuadendosi che il senato viniziano non volesse sottoporre le genti sue, per
gli interessi d'altri, alla fortuna di una battaglia, credevano che i franzesi
non ardirebbono opporsi se non al transito dell'Adda. Anzi era speranza di
molti che, approssimandosi l'esercito a' confini de' viniziani, essi per
sicurtà delle cose proprie richiamerebbono la maggiore parte degli aiuti dati
al re. E oltre a tutte queste cose, quel che si stimava molto, il passare di là
dal Po era opportunissimo a unirsi co' svizzeri.
Ma mentre che
si preparano molte cose necessarie a questa nuova deliberazione, di artiglierie
di munizioni di guastatori di ponti e di vettovaglie, mentre che in Toscana e
in Romagna si soldano i fanti italiani, il conte Guido Rangone, per
comandamento del pontefice, con una parte de' fanti che erano già soldati e con
le genti che erano appresso a sé, si mosse contro alla montagna di Modena: la
quale montagna, né mentre che Modena era stata sotto Cesare né poi quando era
stata dominata dalla Chiesa, aveva riconosciuto altro signore che il duca di
Ferrara. Ma intesa questa mossa dagli uomini del paese, e che nel tempo
medesimo si moveano molti fanti comandati di Toscana, senza aspettare di essere
assaltati, chiamorno il nome della Chiesa. Nel tempo medesimo fuggì da Milano
Bonifazio vescovo d'Alessandria, figliuolo già di Francesco Bernardino
Visconte, perché vennono a luce alcune cose trattava contro a' franzesi. Venne
medesimamente a luce un trattato tenuto in Cremona per Niccolò Varolo, uno de'
principali fuorusciti di quella città; per il quale di alcuni cremonesi che ne
erano consci fu preso il debito supplicio. Né so quale in questo tempo [fusse]
maggiore, o la mala fortuna o la temerità e imprudenza de' fuorusciti del
ducato di Milano, de' quali numero grandissimo seguitava l'esercito; perché non
solamente tutte le cose tentate da loro riuscivano infelicemente ma, intenti a
predare tutto il paese, difficultavano il venire delle vettovaglie: non
ricompensando questi mali (io eccettuo sempre il Morone) con alcuna diligenza o
intelligenza di spie. Anzi, avendo molto prima Prospero mandatigli verso
Piacenza, poi che ebbono fatti danni grandissimi agli amici e agli inimici,
venuti tra loro medesimi a quistione nel dividere la preda, fu da Estor
Visconte e alcuni altri ammazzato Piero Scotto piacentino, uno de' principali.
Tentò Prospero,
in questo tempo medesimo, di abbruciare le barche del ponte de' franzesi
ridotte con poca guardia appresso a Cremona, per avere tanto maggiore spazio a
procedere più innanzi, mentre che Lautrech raccoglieva le barche necessarie a rifare
il ponte; ma la lunghezza del cammino fu cagione che Giovanni de' Medici,
mandato a questa fazione con dugento cavalli leggieri e trecento fanti
spagnuoli, non vi potette giugnere se non passata la notte: onde i nocchieri,
sentito il romore levato da' paesani, ritirorno le barche in mezzo al Po,
sicuri di non essere offesi dagli inimici fermatisi in sulla riva.
Finalmente,
preparate tutte le cose necessarie a passare il Po, l'esercito andò a
Bresselle, ove era gittato il ponte fatto con le barche; nel qual luogo si dice
il letto del fiume essere più largo che in alcuno altro. Ma innanzi passasse,
essendo a' pensieri di offendere altri congiunta la necessità di pensare a
difendere sé proprio, fu mandato alla cura delle terre della Chiesa che
rimanevano indietro Vitello Vitelli, con cento cinquanta uomini d'arme e
altrettanti cavalli leggieri e con dumila fanti dell'ordinanze de' fiorentini:
dove similmente andò il vescovo di Pistoia coi duemila svizzeri, perché non
pareva sicuro menargli contro a' franzesi co' quali militavano tanti fanti
della nazione medesima, conceduti per decreto e con le bandiere publiche; e
tanto più non avendo certezza quel che fussino per deliberare i nuovi svizzeri,
de' quali, congregati a Coira, s'aspettava a ogn'ora la certezza che fussino
mossi. Al vescovo e [a] Vitello fu commesso non solamente il difendere Modena e
l'altre terre della Chiesa, se alcuno si movesse contro a quelle, ma
d'assaltare il duca di Ferrara: il quale, attribuendo a sé la gloria d'avere
liberata Parma, occupato il Finale e San Felice non procedeva più oltre. Perché
il pontefice, augumentato per questo insulto l'odio, procedeva, con le censure
e monitori ecclesiastici contro a lui, alla privazione del ducato di Ferrara.
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