VIII. Discesa degli svizzeri: loro riluttanza ad assaltare il ducato di
Milano: concordato con l'esercito ispano-pontificio.
Partenza degli svizzeri dall'esercito francese e causa che l'ha determinata. Il
Lautrec spera di far resistenza ai nemici sull'Adda. Prime milizie mandate da
Prospero Colonna a passare il fiume. Gli ispano-pontifici
passano l'Adda; il Lautrec si ritira a Milano.
Erano intanto i
svizzeri scesi nel territorio di Bergamo, e nondimeno, pieni di dispareri e di
difficoltà, ritardavano il venire più innanzi, avendo espressamente recusato il
volgersi ad assaltare il ducato di Milano, come il cardinale sedunense e gli
agenti del pontefice e di Cesare facevano instanza: facevano anche difficoltà
di andare a unirsi con l'esercito che gli aspettava a Ostiano, come preparato
di procedere alla offesa del re di Francia, offerendo di andare in qualunque
luogo paresse al pontefice nello stato della Chiesa, per la difensione del
quale avevano accettato lo stipendio; e nondimeno consentendo, come spesso
interpretano le cose barbaramente, di andare ad assaltare Parma e Piacenza,
come città appartenenti manifestamente alla Chiesa o almeno come di ragione non
certa del re di Francia. Dimandavano ancora che innanzi che si movessino
fussino mandati a loro dall'esercito trecento cavalli leggieri, con l'aiuto de'
quali potessino raccorre le vettovaglie per il paese donde passavano.
Finalmente, pervenuti i cavalli, i quali all'improviso passorono con celerità
grande per il territorio de' viniziani, si mossono per andare in luogo vicino
all'esercito, dove più comodamente si potesse consultare e risolvere quello
avessino a fare; e in cammino cacciorono alcune genti de' franzesi e de'
viniziani le quali, per proibire loro il passare più innanzi, si erano fermate
a Pontoglio o vero al lago Eupilo. Cominciossi, come furno approssimati
all'esercito, a fare instanza per disporgli a unirsi contro a' franzesi; per la
qual cosa andavano innanzi e indietro molti messi e imbasciate: e vi andò in
nome del cardinale de' Medici l'arcivescovo di Capua. Finalmente, quegli del
cantone di Zurich, i quali sì come hanno maggiore autorità fanno professione di
governarsi con maggiore gravità, negorno costantemente; gli altri, dopo molte
sospensioni, né ricusorono espressamente né accettorono la dimanda fatta, non
negando di volere seguitare l'esercito ma non dichiarando se dietro alle sue
vestigie fussino per entrare nel ducato di Milano: in modo che, per consiglio
di Sedunense e de' capitani, la volontà de' quali era stata guadagnata con
molte promesse, si deliberò di procedere innanzi, sperando che, poi che non
recusavano di seguitare, avessino facilmente a essere condotti in qualunque
luogo andasse lo esercito. Così, voltati i zuricani, i quali erano quattromila,
verso Reggio, l'esercito, poi che tra Gabbioneta e Ostiano fu dimorato circa uno
mese, si congiunse a Gambara cogli altri svizzeri: procedendo in mezzo di
quello due legati, Sedunense e Medici, con le croci d'argento, circondate
(tanto oggi si abusa la riverenza della religione), tra tante armi e
artiglierie, da bestemmiatori, omicidiali e rubatori.
Andorono in tre
alloggiamenti, per le terre de' viniziani, a Orcivecchio loro castello,
scusandosi col senato questo essere un transito necessario e non farsi per
desiderio di offendergli; così come essi si erano scusati essere stato sforzato
Andrea Gritti loro proveditore di consentire a Lautrech che mandasse
l'artiglierie a Pontevico. A Orcivecchio arrivorono corrieri mandati da'
signori delle leghe a comandare a' svizzeri che partissino dello esercito;
simile comandamento feciono per altri corrieri a quegli che erano nel campo
franzese, allegando essere cosa indegna del nome loro che in due eserciti
inimici fussino colle bandiere publiche i fanti suoi. Ma di questi comandamenti
gli effetti furno diversi: perché i corrieri, fatti industriosamente ritenere
nel cammino, non pervennero a quegli che erano con Sedunense; ma i svizzeri de'
franzesi partirno quasi tutti improvisamente, mossi (come si credé) non tanto
dai comandamenti ricevuti né dalla lunghezza della milizia, della quale
sogliono sopra tutti gli altri essere impazienti, quanto perché a Lautrech, non
gli essendo mandati danari di Francia né bastando quegli che acerbamente
riscoteva del ducato di Milano, era mancata la facoltà di pagargli. Nel qual
luogo debbe meritamente considerarsi quanto possa la malignità e la imprudenza
de' ministri appresso a' prìncipi che o per negligenza non vacano alle faccende
o per incapacità non discernono da se stessi i consigli buoni da' cattivi:
perché essendo stati ordinati trecentomila ducati per mandargli a Lautrech,
secondo la promessa che gli era stata fatta, la reggente madre del re,
desiderosa tanto che non crescesse la sua grandezza che si dimenticasse
dell'utilità del proprio figliuolo, procurò che i generali, senza saputa del re,
convertissino questa somma di danari in altri bisogni. Donde Lautrech, confuso
d'animo e pieno di grandissima molestia, poiché per la partita de' svizzeri il
successo delle cose, il quale prima si prometteva felice, era diventato molto
dubbio, lasciata guardata Cremona e Pizzichitone, si ridusse col resto
dell'esercito a Cassano; sperando di proibire agli inimici il transito
dell'Adda, così per l'altre difficoltà che hanno gli eserciti a passare i fiumi
quando in sulla ripa opposita è chi resista, come perché in quel luogo è tanto
più rilevata la ripa verso Milano che maggiore è l'offesa che con l'artiglierie
si fa agli inimici che quella che si riceve. Da altra parte i legati apostolici
e i capitani, partiti da Orcivecchi e passato di nuovo il fiume dell'Oglio,
erano in tre alloggiamenti venuti a Rivolta; non sentendo più la incomodità
delle vettovaglie, perché le terre della Ghiaradadda abbandonate da' franzesi
ne somministravano abbondantemente. Quivi intenti gli eserciti l'uno a
guadagnare, l'altro a proibire il transito del fiume, Prospero e gli altri
capitani preparavano di gittare il ponte tra Rivolta e Cassano; cosa molto
dubbia e difficile per la opposizione degli inimici: dove avendo consumato due
o tre dì in varie disputazioni e consigli, finalmente Prospero, non conferiti
al marchese di Pescara i suoi pensieri acciò che non partecipasse della gloria
di questa cosa e, perché non gli pervenisse a notizia, rifiutata l'opera de'
fanti spagnuoli, tolte occultamente del fiume Brembo due barchette, mandò di
notte con grandissimo silenzio alcune compagnie di fanti italiani a passare il
fiume dirimpetto alla terra di Vauri.
È Vauri terra
aperta e senza mura, posta in su la riva dell'Adda, distante cinque miglia da
Casciano, ove è l'opportunità di passare il fiume; e ha nel mezzo un piccolo
ridotto di mura rilevato, a uso di rocchetta. Guardava questo luogo con pochi
cavalli Ugo conte de' Peppoli, luogotenente della compagnia delle lancie che
aveva in condotta dal re di Francia Ottaviano Fregoso: il quale, sentito lo
strepito, fattosi incontro in sulla riva, fu facilmente sforzato a dare luogo
per la violenza degli scoppietti; ma si credé che arebbe fatto facilmente
resistenza se a' cavalli che aveva seco fusse stato aggiunto qualche numero di
scoppiettieri, come esso affermava avere dimandati a Lautrech. Raccoglievansi i
fanti, secondo che passavano, in uno rilevato con un poco di forte che è nella
terra sopradetta, aspettando venisse il soccorso ordinato da Prospero; il
quale, subito che ebbe avviso del principio felice, si voltò quasi tutti i
fanti dello esercito alloggiati in diverse castella della Ghiaradadda, con
ordine che quegli che prima arrivassino, e poi gli altri successivamente,
passassino subito il fiume in sulle medesime barchette, e in su due altre di
quelle che seguitavano l'esercito, per gittare il ponte in su' fiumi: le quali
la notte medesima erano state tirate per terra in sulla riva medesima. Andò ed
egli e gli altri capitani, col cardinale de' Medici, incontinente al medesimo
cammino, lasciato ordine a Rivolta che se i franzesi si discostavano si
gittasse subito il ponte. Ma a Vauri fu per alquante ore incerto il successo
della cosa. Perché se Lautrech, come prima ebbe notizia gli inimici essere
passati, v'avesse voltata subito una parte dell'esercito, non è dubbio che gli
opprimeva; ma poiché per più ore fu stato sospeso di quello dovesse fare, mandò
lo Scudo con [quattro]cento lancie e co' fanti franzesi e, dietro, alcuni pezzi
d'artiglieria: i quali, camminando con celerità, cominciorno vigorosamente a
combattere il luogo dove si erano ritirati gli inimici, nel tempo medesimo che
in su l'altra riva compariva la gente che veniva al soccorso; per la speranza
del quale si difendevano costantemente, ancora che lo Scudo, smontato a piede
con tutti gli uomini d'arme, combattesse ferocemente nello stretto delle vie:
né si dubita che se a tempo fussino arrivate l'artiglierie gli arebbono
espugnati. Ma già dall'altra ripa sollecitavano continuamente di passare,
secondo che comportava la capacità delle barche, Tegane capitano de' grigioni e
due bandiere di fanti spagnuoli, mosse da' conforti del cardinale de' Medici e
de' capitani. Ma senza conforto di alcuno, stimolato dalla propria magnanimità
e sete grandissima della gloria, passò Giovanni de' Medici, portato da uno
cavallo turco, per la profondità dell'acqua notando insino all'altra ripa;
dando nel tempo medesimo terrore agli inimici e conforto agli amici. Finalmente
lo Scudo, ancora che nello istante medesimo arrivassino le artiglierie,
disperato della vittoria, perduta una bandiera, si ritirò a Cassano: donde
Lautrech ridusse tutto l'esercito a Milano. Dove arrivato, o per non perdere
l'occasione di saziare l'odio prima conceputo o per mettere con l'acerbità di
questo spettacolo terrore negli animi degli uomini, fece decapitare
publicamente Cristofano Palavicino: spettacolo miserabile, per la nobiltà della
casa e per la grandezza della persona e per la età, e per averlo messo in
carcere molti mesi innanzi alla guerra.
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