IX. Gloria derivata a Prospero Colonna dal successo ottenuto. L'esercito
ispano-pontificio alloggia a Marignano; di qui marcia verso
Milano. Entrata in Milano; anche le altre città del ducato passano agli
ispano-pontifici. Sdegno degli svizzeri perché i loro fanti
hanno combattuto contro i francesi.
Esaltò insino
al cielo la passata dell'Adda il nome di Prospero, il quale prima, per la
ritirata di Parma e per la lentezza del suo procedere, era infame a Roma e in
tutto l'esercito; ma cancellandosi spesso per l'ultime cose la memoria delle
prime, si celebravano popolarmente le laudi sue, che senza sangue e senza
pericolo, ma totalmente con consiglio e con industria degna di peritissimo
capitano, avesse furato agli inimici il passo di quel fiume; il quale Lautrech
si prometteva tanto di proibirgli che, oltre a quello che ne diceva
publicamente, avesse scritto al re che assolutamente lo impedirebbe. E
nondimeno non mancavano di quegli che, con ragioni o vere o apparenti, si
sforzassino di estenuare la gloria di questo fatto, allegando non avere avuta
virtù o industria rara né la invenzione né l'esecuzione, perché la natura da se
stessa insegna a ciascuno che truova opposizione a' fiumi o passi stretti di
cercare di passare o di sopra o da basso, dove non sia chi impedisca; il passo
di Vauri essere stato propinquo, opportunissimo e passo per l'ordinario
frequentato, e Lautrech essere stato tanto negligente a farlo guardare che la
negligenza sua non avea lasciato luogo alla industria; perché, in quale altra
cosa potersi commendare la providenza di Prospero che nell'avere provedute
occultamente le barche, e governata la cosa col silenzio necessario? Altri,
forse troppo diligenti giudici delle cose, e più pronti a riprendere gli errori
dubbi che a laudare l'opere certe, non contenti di diminuire la fama della sua
industria, riprendevano che in lui non fusse stata né la providenza né l'ordine
conveniente; perché non avendo mandato comandamento alle genti destinate al
soccorso, le quali erano alloggiate in Trevi, Caravaggio e in vari luoghi, che
si movessino, se non quando ebbe notizia che i fanti mandati innanzi aveano
occupato Vauri, tardorono per necessità insino a mezzo dì, i primi, ad arrivare
in sulla ripa del fiume, più di quattordici ore poi che i primi fanti erano
passati: di maniera che non si dubita che se Lautrech avesse, quando n'ebbe
notizia, fatto quel che fece dopo molte ore, e arebbe recuperato Vauri e rotto
i fanti che erano passati, perché a soccorrergli pervenivano tardi i
provedimenti ordinati. Ma non oscurorno queste interpretazioni la gloria di
Prospero, perché è considerato comunemente dagli uomini l'evento delle cose;
per il quale, ora con laude ora con infamia, secondo che è o felice o avverso,
si attribuisce sempre a consiglio quel che spesso è proceduto dalla fortuna.
Partito
Lautrech dalla ripa dell'Adda, niuno dubbio era che gli inimici, i quali il dì
seguente gittorno il ponte tra Rivolta e Casciano, dovessino quanto più presto
si poteva accostarsi a Milano: nondimeno Prospero, il cui consiglio, biasimato
comunemente dal volgo, fu approvato da' periti dell'arte militare, volle che il
primo dì, per più lungo circuito, si andasse ad alloggiare a Marignano, terra
parimente propinqua a Milano e Pavia; perché non si potendo, per i tempi già
freddi e molto piovosi, soggiornare in campagna, gli parve più opportuno
l'accostarsi a Milano da quella parte dalla quale, se come si credeva riuscisse
difficile l'entrarvi, potesse subito voltarsi a Pavia, ove Lautrech, per
ridurre tutte le forze a Milano, non avea lasciato alcuno presidio, per
collocare in quella città, abbondante e molto opportuna, la sedia della guerra.
Da altra parte Lautrech, il quale, ridotto a poco numero di fanti, era stato da
principio inclinato a guardare solamente la città di Milano, considerando poi
che se abbandonava i borghi dava comodità agli inimici di alloggiamento, e così
facoltà di potere attendere oziosamente alla espugnazione, deliberò di guardare
anche i borghi: consiglio certamente valoroso e prudente se fusse stato
accompagnato dalla debita vigilanza, e per il quale, per gli accidenti
inopinati che dopo pochissimi dì succederono, arebbono le cose sortito fine
molto diverso da quello che ebbono. Ma l'esercito degli inimici, del quale la
maggiore parte era alloggiata a Marignano e i svizzeri più innanzi alla Badia
di Chiaravalle, stato fermo tre dì per aspettare l'artiglierie, che per la
difficoltà delle strade non si erano potute condurre, si indirizzò il
decimonono dì di novembre a Milano, con intenzione, che se il dì medesimo non
si entrava, di andarsene il dì seguente a Pavia; dove già, per occuparla, era
stata mandata una parte de' cavalli leggieri. E accadde quella mattina cosa
notabile: che essendosi fermati in uno prato appresso a Chiaravalle i legati e
i principali dello esercito, per dare luogo a' svizzeri di camminare,
sopragiunse uno vecchio, di presenza e di abito plebeo, il quale, affermando
essere mandato dagli uomini della parrocchia di San Siro di Milano, sollecitava
con grandissima esclamazione che si andasse innanzi, perché, per ordine dato,
non solo gli uomini di quella parrocchia ma tutto il popolo di Milano, subito
che si accostasse l'esercito, al suono delle campane di tutte le parrocchie,
piglierebbe l'armi contro a' franzesi: cosa che parve poi maravigliosa perché,
per qualunque diligenza che si facesse poi di ritrovarlo, non fu mai possibile
sapere né chi fusse né da chi fusse stato mandato.
Camminò adunque
l'esercito in ordinanza verso porta Romana, fermate l'artiglierie grosse al
capo di una via che si voltava a Pavia; nella prima fronte del quale essendo il
marchese di Pescara co' fanti spagnuoli, si accostò, appropinquandosi già la
notte, al fosso tra porta Romana e porta Ticinese, e presentati gli
scoppiettieri contro a un bastione fatto nel luogo che si dice Vicentino
appresso alla porta detta Lodovico, più per tentare che per speranza di
ottenere, i fanti viniziani che n'aveano la custodia, non sostenuta non che
altro la presenza degli inimici, voltate con inestimabile viltà le spalle, si
messono in fuga; il medesimo feciono i svizzeri che alloggiavano appresso a
loro: in modo che i fanti spagnuoli, passato senza difficoltà il fosso e il
riparo, entrorno nel borgo. Nell'entrare de' quali fu preso, ricevuta nel
prenderlo una leggiera ferita, Teodoro da Triulzi, che disarmato in su una
muletta correva al rumore; il quale pagò poi al marchese di Pescara ventimila
ducati per la sua liberazione. Salvossi con fatica grande Andrea Gritti, e
unitisi fuggendo co' franzesi, tutti insieme con lungo circuito si ritirorono
nella città: nella quale non avendo fatta provisione di difendersi, e avendo
pochissimi fanti e l'animo del popolo inclinato alla rebellione, feciono alto
intorno al castello. Da altra parte il marchese di Pescara, seguitando
sollecitamente la prosperità della fortuna, accostatosi a porta Romana
(ritengono le porte della città e quelle de' borghi il nome medesimo) fu da'
principali della fazione ghibellina che aveano occupata la porta messo dentro;
e poco dipoi entrorono nel medesimo modo, per la porta Ticinese, il cardinale
de' Medici, il marchese di Mantova, Prospero e una parte dello esercito:
ignorando quasi i vincitori in quale modo o per quale disordine si fusse con
tanta facilità acquistata tanta vittoria. Ma la cagione principale procedette
dalla negligenza de' franzesi; perché, per quello si potette comprendere poi,
non aveva Lautrech avuto notizia che quel giorno l'esercito fusse mosso, anzi
si credé che l'essere per le grandissime pioggie le strade molto rotte gli
desse sicurtà che quel dì gli inimici non fussino per muovere l'artiglierie,
senza le quali non pensava si mettessino ad assaltare i ripari: però, nel tempo
medesimo che essi entrorono dentro, cavalcava con altri capitani disarmato
oziosamente per Milano; e lo Scudo, stracco dalle vigilie della notte
precedente, dormiva nel proprio alloggiamento. E nondimeno si credé che, poi
che ebbe fuggendo raccolte le genti in sulla piazza del castello, arebbe avuta
non piccola occasione di offendere gli inimici; de' quali una parte era
alloggiata molto disordinatamente in Milano, un'altra restata ne' borghi col
medesimo disordine, e un'altra parte alloggiata confusa e sparsa di fuora: ma
impedito, dal timore e dallo errore delle tenebre, di discernere in sì breve
tempo lo stato degli inimici, se ne andò la notte medesima con l'esercito a
Como; dove lasciati cinquanta uomini d'arme e seicento fanti, preso il cammino
per la Pieve di Inzino e passata Adda a Lecco, si ridusse in quel di Bergamo,
restando il castello di Milano bene guardato e proveduto.
Seguitorono
l'esempio di Milano Lodi e Pavia; e nel tempo medesimo il vescovo di Pistoia e
Vitello, che, lasciata a dietro Parma, erano andati alla volta di Piacenza,
furono accettati spontaneamente da quella città; e la medesima inclinazione
seguitò la città di Cremona: dove, venuta nuova non solo della mutazione di
Milano ma eziandio che le genti franzesi erano state rotte, il popolo levato in
armi cominciò a chiamare il nome dello imperio e del duca di Milano. La quale
cosa intesa da Lautrech, che già era arrivato in bergamasco, mandò lo Scudo con
parte delle genti a ricuperarla: il quale, essendo ributtato dal popolo,
Lautrech, ancora che, per la facilità che vi era di soccorrerla da tanti
svizzeri che erano in Piacenza, avesse piccola speranza di prospero successo,
vi si indirizzò con tutte le genti; avendo, per parergli essere impotente a
sostenere tante cose, ordinato che Federigo da Bozzole abbandonasse Parma. E
gli succedette la cosa felicemente, perché il vescovo di Pistoia, se bene
avesse commissione dal cardinale de' Medici, subito che intese la rebellione di
Cremona, di mandarvi, per stabilire quello acquisto, parte de' svizzeri,
nondimeno, non volendo dividergli né implicargli in altre faccende, per la
cupidità che aveva di andare con essi alla impresa che si destinava di Genova,
ritardò tanto che Lautrech, tenendosi per lui il castello né vi essendo altra
difensione che quella del popolo (il quale subito gli mandò imbasciadori a
dimandare venia del delitto), la ricuperò facilmente; dalla quale cosa ripreso
animo, espedì subito a Federigo da Bozzole che non abbandonasse Parma. Ma
Federigo, già partitosene, aveva con tutte le genti passato il Po; e Vitello,
il quale con le sue genti andava a Piacenza, essendo, quando Federigo partì,
vicino a Parma, chiamato con grandissimo consenso del popolo vi era entrato
dentro; e a Milano, attendendosi ad acquistare il resto dello stato, con
disegno di ridursi a spesa più temperata, fu mandato nel tempo medesimo il
marchese di Pescara, con le genti spagnuole e co' tedeschi e grigioni, a campo
a Como. La quale città poiché ebbe cominciato a battere con l'artiglierie,
quegli che vi erano dentro non sperando soccorso si accordorono, con condizione
che e le genti franzesi e gli uomini della terra con le loro robe fussino
salvi; e nondimeno, quando i franzesi volevano partirsi, gli spagnuoli entrati
dentro la saccheggiorono con infamia grande del marchese; il quale, non molto
poi, imputato da Giovanni Cabaneo, capo di quella gente, di fede rotta, fu
chiamato a duello.
Mandorono da
Milano nel tempo medesimo il vescovo di Veroli a' svizzeri per fermare gli
animi loro; ma essi, come fu pervenuto a Bellinzone, lo messono in custodia
perché, malcontenti che i fanti loro fussino proceduti contro al re di Francia,
si lamentavano non solo del cardinale sedunense e del pontefice e di tutti i
ministri suoi ma, tra gli altri, particolarmente di Veroli, che essendo, quando
furono levati i fanti, nunzio del pontefice appresso a loro, si fusse
affaticato per indurgli a contravenire alla eccezione contro la quale erano
stati conceduti.
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