X. Morte di Leone decimo; giudizio dell'autore. Terre e fortezze rimaste in
possesso dei francesi; Tornai presa da Cesare; conseguenze della morte del
pontefice nel ducato di Milano; progressi del duca di Ferrara. I francesi e i
veneziani contro Parma; l'opera del commissario Francesco Guicciardini. Sue
parole di fiducia e di rimprovero. Vani assalti dell'esercito nemico a Parma.
Erano le cose
della guerra ridotte in questi termini, e con speranza grande del pontefice e
di Cesare di stabilire la vittoria; perché il re di Francia non poteva se non
con lunghezza di tempo mandare nuove genti in Italia, e la potenza di quegli i
quali contro a lui avevano acquistato Milano, con la maggiore parte di quello
ducato, pareva bastante non solo a conservarlo, ma ad acquistare quello che
ancora restava in mano degli inimici: anzi, già il senato viniziano, spaventato
di tanto successo e temendo che la guerra cominciata contro ad altri non si
trasferisse nella casa propria, dava speranza al pontefice di fare partire del
suo dominio le genti franzesi. Ma da accidente inopinato ebbono subitamente
origine inopinati pensieri. Morì di morte inaspettata, il primo dì di dicembre,
il pontefice Leone: il quale, avendo avuto alla villa della Magliana, dove
spesso si riduceva per sua ricreazione, la nuova dello acquisto di Milano e
ricevutone incredibile piacere, soprapreso la notte medesima da piccola febbre
e fattosi il dì seguente portare a Roma, ancora che da' medici fusse riputato
di piccolo momento il principio della sua infermità, morì fra pochissimi dì:
non senza sospetto grande di veleno, datogli, secondo si dubitava, da Bernabò
Malaspina suo cameriere deputato a dargli da bere. Il quale se bene fusse
incarcerato per questa suspicione, non fu ricercata più oltre la cosa, perché il
cardinale de' Medici, come fu giunto a Roma, lo fece liberare, per non avere
occasione di contrarre maggiore inimicizia col re di Francia, per opera di chi
si mormorava, ma con autore e congetture incerte, Bernabò avergli dato il
veleno. Morì, se tu risguardi l'opinione degli uomini, in grandissima gloria e
felicità, non solo per essere liberato per la vittoria di Milano da pericoli e
spese inestimabili, per le quali, esaustissimo di danari, era costretto
provederne in qualunque modo, ma perché, pochi dì innanzi alla sua morte, aveva
inteso l'acquisto di Piacenza e, il dì medesimo che morì, inteso quello di
Parma: cosa tanto desiderata da lui che certo è, quando deliberò di pigliare la
guerra contro a' franzesi, aveva detto al cardinale de' Medici che ne lo dissuadeva,
muoverlo principalmente il desiderio di recuperare alla Chiesa quelle due
città, la quale grazia quando conseguisse non gli sarebbe molesta la morte.
Principe nel quale erano degne di laude e di vituperio molte cose, e che
ingannò assai la espettazione che quando fu assunto al pontificato si aveva di
lui, conciossiaché e' riuscisse di maggiore prudenza ma di molto minore bontà
di quello che era giudicato da tutti.
Per la morte
del pontefice indebolirono molto le cose di Cesare in Lombardia. Perché non era
da dubitare che il re di Francia, ripreso animo per essergli mancato quello
inimico co' danari del quale si era cominciata e sostenuta tutta la guerra, non
mandasse esercito nuovo in Italia; e che i viniziani per le medesime cagioni
non continuassino nella confederazione con lui: donde si interrompevano i
disegni fatti di assaltare Cremona e Genova; e i ministri di Cesare, i quali
avevano con difficoltà pagato insino a quel dì le genti spagnuole, erano
necessitati a diminuire non senza pericolo le forze, possedendosi in nome del
re di Francia Cremona e Genova, Alessandria, il castello di Milano, le fortezze
di Novara e di Trezzo, Pizzichitone, Domussola, Arona e tutto il Lago Maggiore.
Era anche ritornata alla sua divozione la rocca di Pontriemoli; la quale,
occupata da Palavicino, fu recuperata da Sinibaldo dal Fiesco e dal conte di
Noceto. Né passorono anche felicemente le cose del re di Francia di là da'
monti; perché Cesare, mosse le armi contro a lui, prese la città di Tornai e
poco dipoi la fortezza, nella quale era molta artiglieria e munizione.
Per la morte
del pontefice si introdussono nuovi governi nuovi consigli e nuovi ordini nel
ducato di Milano. I cardinali sedunense e Medici andorono subito a Roma, per
ritrovarsi alla elezione del nuovo pontefice. Riservoronsi i cesarei mille
cinquecento fanti svizzeri, tutti gli altri e i fanti tedeschi licenziati si
partirono. Ritornoronsi le genti de' fiorentini verso Toscana; di quelle della
Chiesa ne menò Guido Rangone una parte a Modena, un'altra parte rimase col
marchese di Mantova nello stato di Milano, più per deliberazione propria che
per consentimento del collegio de' cardinali, il quale, diviso in se medesimo,
non poteva fare determinazione di cosa alcuna: in modo che, querelandosi
Lautrech con loro che i soldati della Chiesa stessino fermi nel ducato di
Milano in pregiudicio del re di Francia (il quale, per le opere de' suoi
predecessori tanto pietose verso la Chiesa, otteneva il titolo di protettore e
di figliuolo primogenito di quella), non furono concordi a fare altra risposta
o deliberazione se non che se ne rimettevano alla determinazione del pontefice
futuro. De' svizzeri che erano a Piacenza n'andorono una parte col vescovo di
Pistoia a Modena, per difesa di quella terra e di Reggio contro al duca di
Ferrara: il quale, uscito dopo la morte di Lione in campagna, con cento uomini
d'arme dumila fanti e trecento cavalli leggieri, e ricuperato per volontà degli
uomini il Bondino e il Finale e la montagna di Modena e la Garfagnana e, con
piccola difficoltà, Lugo, Bagnacavallo e l'altre terre di Romagna, era andato a
campo a Cento.
A Piacenza
restorono i svizzeri del cantone di Zurigo; da' quali, per non si volere
separare, non si potette impetrare che mille di loro andassino alla guardia di
Parma: la quale città essendo restata quasi sprovista, dette animo a Lautrech,
che con seicento lancie e dumila cinquecento fanti era in Cremona, di tentare
di ripigliarla; stimolandolo massime a questo Federigo da Bozzole, il quale per
avere notizia particolare di quelle cose aveva credito grande in questa
materia. Però fu disegnato che Buonavalle con trecento lancie, e Federigo e
Marcantonio Colonna, l'uno con fanti soldati da' franzesi l'altro con fanti de'
viniziani, in numero in tutto cinquemila, assaltassino allo improvviso quella
città; dove erano settecento fanti italiani e cinquanta uomini d'arme del
marchese di Mantova, il popolo bene disposto alla divozione della Chiesa ma
male armato, e invilito per la memoria de' franzesi e delle acerbità usate da
Federigo, e quella parte della città che era stata battuta dal campo della
Chiesa, con le mura ancora per terra senza esservi stata fatta restaurazione
alcuna. Aggiugnevasi la vacazione della sedia apostolica, per la quale gli
animi de' popoli sogliono vacillare e i governatori attendere più alla propria
salute che alla difesa delle terre, non sapendo per chi aversi a mettere in
pericolo. Con questi fondamenti adunque, mandate di notte le fanterie de'
franzesi giù per il fiume del Po insino a Torricella, dove si unirono con loro
le genti d'arme venute da Cremona per terra, ed essendo state condotte da
Cremona molte barche, passorono la notte il Po a Torricella propinqua a Parma a
dodici miglia; con ordine che Marcantonio Colonna, con le fanterie viniziane le
quali erano alloggiate in su Oglio, le seguitasse: il che avendo presentito la
notte medesima Francesco Guicciardini, il quale era andato da Milano per
commissione del cardinale de' Medici alla custodia di Parma, convocato la notte
il popolo e confortatolo alla difensione di loro medesimi, e distribuite in
loro mille picche, che due dì innanzi, sospettando de' casi che potessino
accadere, aveva fatto condurre da Reggio, attendeva sollecitamente a fare le
provisioni necessarie per difendersi. Conoscendo molte difficoltà, per i pochi
soldati che vi erano, non bastanti a sostenerla senza l'aiuto del popolo, nel
quale, ne' casi inopinati e pericolosi, non si può per la natura della
moltitudine fare saldo fondamento, e considerando non potere proibirsi agli
inimici l'entrata nel Codiponte, ritirò i soldati e tutti quegli della terra
nell'altra parte della città; ma non senza grandissima difficoltà: perché,
persuadendosi molti del popolo vanamente che la si potesse difendere, e parendo
duro agli abitatori di quella parte abbandonare le case proprie, non si poteva,
né con ragioni né con autorità, disporgli se non quando si approssimorono gli
inimici; i quali, per avere i parmigiani tardato troppo a volersi ritirare,
mancò poco che insieme alla mescolata con loro non entrassino nell'altra parte
della terra: dove erano molte difficoltà, e principalmente il mancamento de'
danari, in tempo molto importuno, perché era appunto il dì del pagare i fanti,
i quali protestavano, se fra uno dì non erano pagati, di uscirsi della terra.
Entrò il primo dì Federigo da Bozzole con tremila fanti e alcuni cavalli
leggieri nel Codiponte abbandonato, sopragiunse il dì seguente Buonavalle con
le lancie franzesi, e Marcantonio Colonna con dumila fanti de' viniziani; non
con altre artiglierie che con due sagri, perché le strade pessime che sono di
quella stagione ne' luoghi bassi e pieni di acque vicini al Po facevano
impossibile, o almanco molto difficile, il condurre l'artiglierie grosse da
battere la muraglia; e questo non senza perdita di tempo contraria alle
speranze loro fondate in su la celerità, perché tardando molto dubitavano,
benché vanamente, che a Parma non fusse mandato soccorso o da Modena o da
Piacenza. Nondimeno era entrato nel popolo opinione, per avvisi avuti da'
contadini fuggiti del paese, venire artiglierie grosse: donde impauriti
maravigliosamente, e molto più perché, avendo Federigo preso nel contado alcuni
cittadini e fattigli destramente, da certi rebelli parmigiani che erano seco,
empiere di opinione che con Marcantonio e co' franzesi veniva gente molto
grossa e con artiglierie, gli aveva lasciati andare in Parma; dove, avendo
riferito cose assai sopra al vero delle forze degli inimici, empierono il
popolo tutto di tanto spavento che non solo nella moltitudine per tutte le
contrade, ma nel consiglio loro e in quegli magistrati che avevano la cura
delle cose della comunità, si cominciò apertamente a pregare il governatore
che, per liberare sé e i soldati suoi dal pericolo di restare prigione e la
città dal pericolo di essere saccheggiata, consentisse che si accordassino: a
che resistendo il governatore con le ragioni e co' prieghi, e consumandosi il
tempo in dispute, si accrebbe nuova difficoltà, perché essendo il tempo di dare
la paga, i fanti, sollevati, facendo segno di volere uscirsi della città,
tumultuavano. Ottenne nondimeno il commissario, con molte persuasioni, dalla
città che provedessino a una parte de' danari, i quali avendo prima promessi si
erano raffreddati, dimostrando che questo farebbe, in ogni partito che e'
pigliassino, giustificazione non piccola per ogni tempo co' pontefici futuri:
co' quali danari quietò, il meglio si potette, il tumulto. Donde e nel popolo
si augumentava il timore, e i soldati, vedendo che per essere pochi restavano a
discrezione loro e intendendo vacillare gli animi di tutta la città, ridotti in
gravissimo sospetto di non essere in uno tempo medesimo assaltati di dentro e
di fuora, arebbono desiderato più presto che di accordo si arrendesse la terra,
capitolando la salvazione loro, che stare in questo pericolo.
Nel quale stato
delle cose ridotte a non piccola strettezza fu molto necessaria la costanza del
governatore; il quale, ora assicurando i soldati dal pericolo comune a lui con
loro ora confortando i principali della terra congregati tutti in consiglio e
disputando con loro, dimostrava essere vano il timore, per avere egli certezza
che gli inimici non conducevano artiglierie grosse, senza le quali essere ridicolo
il temere che con le scale avessino a entrare per forza nella terra; la
gioventù della quale congiunta co' soldati era bastante a resistere a impeto
molto maggiore. Avere mandato a Modena, dove erano i svizzeri, Vitello e Guido
Rangone con le genti loro, a dimandare soccorso; né dubitare che al più lungo
per tutto il dì seguente lo arebbono tale che gli inimici sarebbono costretti a
partirsi: perché il rispetto dello onore loro, e il timore che perdendosi Parma
non seguitasse maggiore disordine, gli costrigneva, avendo tanta gente quanta
avevano, a farsi innanzi. Avere mandato per il medesimo effetto a Piacenza,
donde essergli data grandissima speranza per le medesime cagioni. Dovere
considerare, che essendo morto il pontefice dal quale era stato onorato ed
esaltato, non gli restare obligazione o stimolo alcuno per il quale, se le cose
fussino in quello grado che essi si immaginavano, avesse a sottoporsi
volontariamente a sì manifesto pericolo; perché non potevano, come sempre aveva
dimostrato la esperienza, i ministri del pontefice morto aspettare dal futuro
pontefice grado o remunerazione alcuna, anzi potere facilmente accadere che il
nuovo pontefice fusse inimico di Firenze patria sua: però, né per rispetti
publici né per rispetti privati avere cagione di desiderare la grandezza della
Chiesa, ma potere bene nascere molti casi per i quali gli sarebbe gratissima la
bassezza. Non avere egli in Parma moglie figliuoli o facoltà alcuna, che avesse
a dubitare che, avendo a ritornare sotto il dominio de' franzesi, avessino a
restare sottoposti alla libidine insolenza e rapine loro: però, non toccando a
lui né sperare utilità se Parma si difendesse né temere, se la si arrendesse,
de' mali che avevano provati sotto il giogo acerbo de' franzesi, e avendo, se la
si perdeva per forza, sottoposta la persona a medesimi pericoli che l'avevano
sottoposta gli altri, potevano essere certi che lo stare suo costante non
procedeva da altro che da conoscere manifestamente, quegli di fuora, non avendo
artiglierie grosse, come era certo non avevano, non essere bastanti a
sforzarla; di che se dubitasse, non contradirebbe, per il desiderio che, come
tutti gli altri uomini, aveva della salute propria, allo accordo, massime che
essendo la sedia vacante, egli non si trovando in Parma con tanta gente che
potesse opporsi alla volontà del popolo, non gli potrebbe di questa loro
deliberazione resultare imputazione o carico alcuno. Colle quali ragioni, parte
parlando separatamente con molti di loro, parte disputando con tutti insieme, parte
togliendo loro tempo con lo andare intorno alla muraglia e fare altre
provisioni, gli aveva intratenuti tutta la notte; perché aveva compreso che,
benché desiderassino ardentemente di accordarsi non per altra cagione che per
timore estremo che avevano di non essere sforzati e saccheggiati, nondimeno gli
raffrenava il conoscere che, accordandosi senza il consentimento suo, non
potevano fuggire nota di essere ribelli. Ma essendo apparita l'alba del dì, dì
dedicato a san Tommaso apostolo, e già cominciatosi a conoscere, per le palle
che tiravano i due sagri stati piantati quella notte, che non vi era
artiglieria da battere la muraglia, credette il governatore, ritornando in
consiglio, trovare variati e assicurati gli animi di tutti; ma trovò totalmente
contraria disposizione, e il timore tanto più augumentato quanto per essere già
il principio del dì pareva loro approssimarsi più al pericolo: in modo che, non
udendo più le ragioni, cominciavano, non solo con apertissima instanza ma
eziandio con protesti e quasi con tacite minaccie, a strignerlo che consentisse
allo accordo. A' quali avendo risposto risolutamente che, poi che non era in
potestà sua proibire loro questi ragionamenti e questi pensieri, come farebbe
se avesse in Parma maggiori forze, non gli restava altra sodisfazione della
ingiuria che trattavano di fare alla sedia apostolica e a sé, ministro di
quella, che vedere che se si risolvevano ad accordarsi non potevano fuggire la
infamia di essere rebelli e mancatori di fede al loro signore; esprobrando con
caldissime parole il giuramento della fedeltà che, pochi dì innanzi, avevano
nella chiesa maggiore prestato solennemente in sua mano alla sedia apostolica;
e che, quando bene vedesse innanzi agli occhi la morte manifestissima da loro,
tenessino per certo che da lui mai arebbono altra conclusione se non quando,
per sopravenire nuove genti o artiglierie grosse nel campo degli inimici o per
altro accidente, conoscesse essere maggiore il pericolo del perdersi che la
speranza del difendersi. Dopo le quali parole essendosi uscito del consiglio,
parte perché le restassino negli orecchi e ne' petti loro con maggiore
autorità, parte per dare ordine a molte cose che erano necessarie se gli
inimici volessino dare, come si credeva, quel dì la battaglia, stettono sospesi
e quasi attoniti per lungo spazio. Finalmente, prevalendo il timore a tutti gli
altri rispetti, e risoluti in ogni caso di mandare fuora a praticare
d'arrendersi, mandorono alcuni del numero loro a protestare al commissario che,
se egli perseverava nella ostinazione di non consentire che si salvassino,
erano disposti farlo per loro medesimi, per fuggire il pericolo evidentissimo
del sacco. Ma in quel tempo medesimo che volevano esporre la imbasciata
cominciorono a sentirsi i gridi di quegli che erano a guardia delle porte e
delle mura, e le campane della torre più alta della città che davano segno che
gli inimici, usciti di Codiponte in ordinanza, si accostavano alle mura per
dare lo assalto; donde il commissario, rivoltosi a coloro che ancora non avevano
parlato, disse: - Quando bene volessimo tutti, non siamo più a tempo ad
accordarci; bisogna o difenderci onorevolmente o andare vituperosamente a sacco
o restare prigioni; se non volete fare come Ravenna e Capua, saccheggiate
quando con gli inimici alle mura si trattavano gli accordi. Io insino a qui ho
fatto quello che poteva fare uno uomo solo, e condottivi per beneficio vostro
in grado che è necessario o vincere o morire; se ora bastassi solo a difendere
la città non mancherei di difenderla, ma non si può senza l'aiuto vostro: però,
non siate manco gagliardi e manco caldi a difendere, come potete fare
facilmente, la vita e la roba vostra e l'onore delle vostre moglie e figliuoli,
che siate stati importuni a volere, senza necessità, mettervi sotto la servitù
de' franzesi, che, come sapete, tutti sono capitalissimi inimici vostri.
Dopo le quali
parole avendo voltato il cavallo in altra parte, restando ciascuno confuso per
il timore, e per parere loro non essere più a tempo a tentare altri rimedi, si
lasciorono da parte i ragionamenti dello accordarsi, e fu necessario attendere
alla difesa: perché una parte degli inimici, avendo quantità grandissima di
scale, raccolta il dì dinanzi del paese, si erano accostati a uno bastione che,
dalla parte di verso il Po, aveva fatto fare Federigo, quando, partito il campo
degli ecclesiastici, rimase alla custodia di Parma; e lo combattevano
virilmente; e nel tempo medesimo un'altra parte dava l'assalto molto feroce
alla porta che va a Reggio, e medesimamente si combatteva in due altri luoghi:
con tanta più difficoltà del difendersi, quegli di dentro, quanto gli inimici
erano più freschi e stimolati con le parole da' capitani, massime da Federigo;
e gli uomini della terra pieni di spavento non si accostavano, da pochissimi in
fuora, alla muraglia, anzi la più parte rinchiusi per le case, come se
aspettassino di punto in punto l'estremo caso della città. Durorono questi
assalti, rinfrescati più volte, per spazio di quattro ore; diminuendosi sempre
il pericolo di quegli di dentro, non solo per la stracchezza degli inimici, che
battuti e feriti da più bande diminuivano di animo, ma eziandio perché vedendo
quegli della terra succedere la difesa felicemente, preso ardire, concorrevano
di mano in mano prontamente alla muraglia, non mancando il commissario di fare
sollecitamente per tutto le necessarie provisioni: talmente che, innanzi
cessasse la battaglia, non solo era concorso tutto il popolo e i religiosi
ancora a combattere alla muraglia, ma eziandio moltissime donne attendendo a
portare vino e altri rinfrescamenti agli uomini suoi. In modo che quegli di
fuora, disperati della vittoria, e ritiratisi con perdita e ferite di molti di
loro nel Codiponte, la mattina seguente si levorono; e stati uno dì o due vicini
a Parma se ne ritornorono di là dal Po; asserendo Federigo, nessuna cosa in
questa espedizione, della quale era stato autore, averlo ingannato se non il
non avere creduto che uno governatore, non uomo di guerra e venuto nuovamente
in quella città, avesse, essendo morto il pontefice, voluto più presto, senza
alcuna speranza di profitto, esporsi al pericolo che cercare di salvarsi,
potendo farlo senza suo disonore o infamia alcuna.
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