XII. Mutamento politico in Perugia. Difficoltà nella nomina del pontefice
ed ambizione del cardinale de' Medici. Elezione di Adriano sesto. Il duca
d'Urbino e i Baglioni marciano verso Siena. Apprensioni e provvedimenti dei
fiorentini; il fallimento dell'impresa. Tacita tregua d'armi in Umbria in
Toscana e nel ducato di Milano.
Fu il primo
fatto dell'anno mille cinquecento ventidue la mutazione dello stato di Perugia,
succeduta, come fu giudicio comune, non meno per la viltà de' difensori che per
la virtù degli assaltatori. I quali, accresciuti di numero di volontari insino
alla somma di dugento uomini d'arme trecento cavalli leggieri e cinquemila
fanti, ed entrati nel borgo di San Piero abbandonato da quegli di dentro,
dettono, il quarto dì dell'anno nuovo, la battaglia con grandissima quantità di
scale, dalla porta di San Piero da porta Sogli e da porta Brogni e da più altre
parti; avendo prima piantati, per levare le difese, in più luoghi, sette pezzi
di artiglieria da campagna commodati loro dal duca di Ferrara. La quale
battaglia, cominciata all'alba del dì e rinfrescata più volte, si può dire che
continuasse quasi tutto il giorno; e ancora che da due o tre luoghi entrassino
nella terra, difesa solamente da' soldati perché il popolo non si moveva,
furono sempre rimessi fuora con la morte di molti di loro: onde Gentile e il
commissario fiorentino, cresciuti di animo, speravano d'avere non meno
felicemente a difendersi gli altri dì. Ma la timidità di Vitello fu cagione che
le cose avessino esito molto diverso. Perché temendo che il popolo più
inclinato a' figliuoli di Giampagolo che a Gentile non si movesse in favore
loro, né parendogli piccola importanza che avessino preso l'alloggiamento ne'
borghi tra le due porte di San Piero, ma sopratutto mosso dal sospetto d'avere,
se le cose succedessino sinistramente, in pericolo la vita propria, per l'odio
che sapeva portargli il duca di Urbino e i figliuoli di Giampagolo, significò
agli altri capitani, la notte, di volersi partire; allegando il soprasedere suo
non fare utilità alcuna, perché essendo stato il dì precedente, quando si dava
la battaglia, ferito da uno scoppio nel dito minore del piede destro, era tanto
soprafatto dal dolore che la necessità l'aveva costretto a fermarsi nel letto;
e benché Gentile e gli altri si sforzassino di rimuoverlo con molti prieghi da
questa intenzione, dimostrandogli quanto invilirebbe i soldati e il popolo della
città la sua partita, deliberorono, poiché stava pertinace, di seguitarlo. Così
la notte medesima andorono a Città di Castello, e Perugia ricevette dentro i
fratelli Baglioni; con ammirazione incredibile di tutti quegli che avendo avuta
notizia, per lettere scritte la notte medesima, del felice successo avuto il
giorno precedente contro agli inimici, intesono, poche ore poi, Vitello e gli
altri averla vilmente abbandonata.
Non era a
questo tempo espedita la elezione del nuovo pontefice, differita per la
discordia grande de' cardinali, causata principalmente perché il cardinale de'
Medici, aspirando al pontificato, e potente per la riputazione della grandezza
sua e per le entrate e per la gloria guadagnata nello acquisto di Milano, aveva
uniti a sé i voti di quindici altri cardinali, mossi o per interessi propri o
per la amicizia che avevano seco o per la memoria de' benefici ricevuti da
Lione, e alcuni per speranza che quando fusse disperato di conseguire per sé il
pontificato diventerebbe fautore di quegli che fussino stati pronti a
favorirlo. Ma a questo suo desiderio repugnavano molte cose: il parere a molti
cosa perniciosa che a uno pontefice morto succedesse uno pontefice della
medesima famiglia, come esempio di cominciare a dare il pontificato per
successione: opponevansi tutti i cardinali vecchi, i quali pretendevano per sé
propri a tanta degnità, né potevano tollerare che e' fusse eletto uno minore di
cinquanta anni: contrari tutti quegli che seguitavano la parte franzese; alcuni
di quegli che seguitavano la parte imperiale, perché il cardinale Colonna,
ancora che da principio avesse dimostrato di volergli essere favorevole, aveva
dipoi molto scopertamente dimostratogli opposizione; inimici accerrimi quegli
cardinali che erano stati malcontenti di Lione. E nondimeno, in queste
difficoltà, lo sosteneva una speranza efficacissima, perché essendo più che la
terza parte del collegio quegli che gli aderivano, non si poteva, mentre
stavano uniti, fare senza consentimento loro l'elezione; donde sperava che per
la lunghezza del tempo s'avessino o a straccare o a disunirsi gli avversari,
tra' quali erano molti inabili per l'età a tollerare lungo disagio; e perché
concordi tra loro in non creare lui erano discordi in creare altri, pensando ciascuno
a eleggere o sé o amici suoi, e ostinatissimi molti di loro a non cedere l'uno
all'altro. Ma mollificò alquanto la mutazione dello stato di Perugia la
pertinacia del cardinale de' Medici, per la instanza del cardinale de'
Petrucci, uno de' cardinali che gli aderivano; il quale, capo dello stato di
Siena, temendo che per l'assenza sua le cose di quella città, alla quale si
intendeva volere voltarsi il duca di Urbino con quelle genti, non facessino
mutazione, sollecitava che si eleggesse il nuovo pontefice: per la instanza del
quale, ed eziandio per lo interesse del pericolo nel quale mutandosi il governo
di Siena incorrerebbe quello di Firenze, mosso il cardinale de' Medici,
cominciò a inclinarsi al medesimo; ma non risoluto totalmente a chi volesse eleggere.
Mentre che, secondo l'uso, una mattina in conclave si fa lo scrutinio, essendo
proposto Adriano cardinale di Tortosa, di nazione fiammingo ma che, stato in
puerizia di Cesare maestro suo e per opera sua promosso da Lione al
cardinalato, rappresentava in Spagna l'autorità sua, fu proposto, senza che
alcuno avesse inclinazione di eleggerlo ma per consumare invano quella mattina.
Ma cominciandosegli a scoprire qualche voto, il cardinale di San Sisto, quasi
con perpetua orazione, amplificò le virtù e la dottrina sua; donde, cominciando
alcuni cardinali a cedergli, seguitorono di mano in mano gli altri, più presto
con impeto che con deliberazione: in modo che, co' voti concordi di tutti, fu
creato quella mattina sommo pontefice; non sapendo quegli medesimi che
l'avevano eletto rendere ragione per che causa, in tanti travagli e pericoli
dello stato della Chiesa, avessino eletto uno pontefice barbaro e assente per
sì lungo spazio di paese, e al quale non conciliavano favore né meriti
precedenti né conversazione avuta con alcuni altri cardinali, da' quali appena
era conosciuto il suo nome, e che mai non aveva veduto Italia, e senza pensiero
o speranza di vederla. Della quale estravaganza, non potendo con ragione alcuna
escusarsi, trasferivano la colpa nello Spirito Santo, solito, secondo dicevano,
a ispirare nella elezione de' pontefici i cuori de' cardinali: come se lo
Spirito Santo, amatore precipuamente de' cuori e degli animi mondissimi, non si
sdegnasse di entrare negli animi pieni di ambizione e di incredibile cupidità,
e sottoposti quasi tutti a delicatissimi, per non dire inonestissimi, piaceri.
Ebbe la novella della elezione a Vittoria, città di biscaia; la quale avuta,
non mutando il nome che prima aveva, si fece denominare Adriano sesto.
Mutato lo stato
di Perugia, poiché, con detrimento non piccolo degli altri disegni, ebbono
tardato le genti a muoversi qualche dì, partirono, per raccorre danari dagli
amici di Perugia e di Todi (dove Cammillo Orsino aveva rimesso i fuorusciti),
il duca d'Urbino e gli altri, lasciato Malatesta in Perugia; camminando con
celerità grande verso Siena, avendo con loro [Lattanzio] Petruccio, che da
Lione era stato privato del vescovado di Soana, perché Borghese e Fabio
figliuoli di Pandolfo Petrucci erano stati proibiti da' ministri imperiali
partire da Napoli. In Siena quegli che reggevano non aveano altra speranza che
nel soccorso de' fiorentini, per la intelligenza che avevano col cardinale de'
Medici: a instanza del quale, quegli che aderendo a lui governavano in sua
assenza lo stato di Firenze, come intesono la partita del duca da Perugia,
mandorono subito a Siena Guido Vaina con cento cavalli leggieri, e danari per
aggiugnere qualche numero di fanti a quegli che erano stati soldati da' sanesi.
Ma il principale fondamento era nelle forze disegnate molti dì innanzi: perché,
come intesono la prima mossa del duca di Urbino e de' Baglioni, temendo alle
cose di Toscana, avevano trattato di soldare i svizzeri del cantone di Berna; i
quali, in numero poco più di mille, si erano fermati col vescovo di Pistoia in
Bologna, disprezzati i comandamenti fatti da' loro signori che ritornassino in
Elvezia: la quale pratica, benché per molte difficoltà fatte dal vescovo di
Pistoia, desideroso di presentare questa gente al futuro pontefice, fusse
andata in lungo più che non sarebbe stato di bisogno, nondimeno si era pure
finalmente con gravisima spesa conchiusa; soldando eziandio quattrocento fanti
tedeschi unitisi co' svizzeri in Bologna. Avevano anche chiamato di Lombardia
Giovanni de' Medici, non dubitando con questo presidio, pure che arrivasse al
tempo debito, di assicurare le cose di Siena; le quali erano ridotte in
gravissimo pericolo per essere la maggiore parte del popolo inimica al governo
presente, e per l'odio antico co' fiorentini tutti malvolentieri comportavano
che le genti loro entrassino in Siena: e accresceva il pericolo l'assenza del
cardinale Petruccio, in luogo del quale se bene Francesco suo nipote facesse
ogni opera possibile per sostenere le cose, nondimeno non era della medesima
autorità che il cardinale. Però, non repugnando i principali, intenti a fuggire
o a prolungare in qualunque modo il pericolo presente, avevano già mandato
imbasciadori al duca di Urbino, subito che entrò nel territorio di Siena: il
quale, benché da principio avesse dimandato la mutazione dello stato e
trentamila ducati, aveva dipoi mitigato le dimande, in modo che non
mediocremente si dubitava che, o per consentimento di quegli che reggevano o
per movimento del popolo contro alla volontà loro, non si facesse tra il duca e
i sanesi composizione. Pure, entrando continuamente in Siena gente de'
fiorentini e risonando la fama dello essere già vicino Giovanni de' Medici e i
svizzeri, quegli che erano alieni dall'accordo impedivano con maggiore animo si
conchiudesse; in modo che il duca, accostatosi alle mura di Siena, non avendo
nell'esercito suo più di settemila uomini ma di gente collettizia, poiché vi fu
dimorato uno giorno, raffreddandosi le speranze dello accordo e già vicini a una
giornata i svizzeri, si levò dalle mura di Siena per ritirarsi nel suo stato.
Soccorsa Siena,
le medesime genti si voltorno verso Perugia; pigliando i fiorentini occasione a
quel che prontamente desideravano dall'esserne stati ricercati dal collegio de'
cardinali, sotto nome del quale si governava, per l'assenza del pontefice, lo
stato della Chiesa: però procedeva nell'esercito personalmente il cardinale di
Cortona, legato, insino a tempo di Lione, della città di Perugia. Ma nel collegio
non era, dopo la creazione del pontefice, maggiore unione o stabilità che fusse
stata nel conclave, anzi erano le variazioni più apparenti, perché avevano
statuito che ciascuno mese si governassino le cose per tre cardinali sotto nome
di priori: l'ufficio de' quali era congregare gli altri e dare espedizione alle
cose determinate. Tre adunque di questi, entrati nuovamente e oppositi al
cardinale de' Medici, il quale eletto il pontefice era subito ritornato a
Firenze, cominciorono a esclamare e protestare che le genti de' fiorentini non
molestassino le terre della Chiesa: le quali, avendo già saccheggiato la terra
di Passignano che aveva ricusato alloggiarle, e di poi alloggiate all'Olmo
vicino a tre miglia di Perugia, con speranza quasi certa di ottenere, arebbono
disprezzati questi comandamenti se non avessino presto conosciuta la vanità di
queste speranze; perché i Baglioni avevano chiamati molti soldati in Perugia,
ed era molto maggiore col popolo l'autorità loro che quella di Gentile che
seguitava l'esercito. Però, disperando della vittoria e avendo tentata invano
la composizione, si partirno del perugino sotto colore di non volere opporsi
alla volontà del collegio, ed entrorno nel Montefeltro, che tutto, eccetto San
Leo e la rocca di Maiuolo, era ritornato alla obbedienza del duca di Urbino; il
quale avendo facilmente ricuperato, si posorono l'armi, come per tacita
convenzione, da quella parte, perché il duca non era potente a continuare la
guerra co' fiorentini né essi aveano cagione, né per comodo proprio né per
sodisfare ad altri, di molestarlo: perché il collegio, nel quale potevano più
gli avversari del cardinale de' Medici, avea nel tempo medesimo convenuto con
lui, per insino a tanto venisse in Italia il pontefice e più oltre a suo
beneplacito, ritenesse lo stato ricuperato, non molestasse né i fiorentini né i
sanesi, né andasse agli stipendi né altrimenti in aiuto di principe alcuno.
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