XIII. Perdita di Alessandria e di Asti da parte dei francesi. Svizzeri al
soldo del re di Francia in marcia per il ducato di Milano. Fanti tedeschi
soldati da Cesare e dai milanesi. Prediche di frate Andrea Barbato contro i
francesi. Provvedimenti di guerra di Prospero Colonna a Milano. Movimenti dei
franco-veneziani; Giovanni de' Medici passato ai francesi.
Tenacia dei milanesi nel sopportare le strettezze a cui son costretti dai
provvedimenti del Lautrech.
Erano insino a
ora procedute quietamente le cose di Lombardia, mancando all'una delle parti le
genti all'altra i danari, e però non volendo i soldati imperiali, non pagati,
partirsi da' loro alloggiamenti. Solamente fu mandato alla espugnazione di
Alessandria, con la compagnia sua e con altri soldati e sudditi del ducato di
Milano, Giovanni da Sassatello; il quale nel principio della guerra, avendo
permutato il bene certo con le speranze incerte, partito dal soldo de'
viniziani si era condotto col duca di Milano, esule ancora del suo stato: dove
essendosi accostato, la temerità de' guelfi alessandrini, da' quali era difesa
la terra più che da' soldati franzesi, fece facile quel che da tutti si
riputava difficile; perché non potendo sostenere gli inimici co' quali erano
usciti a scaramucciare, dettono loro occasione di entrare alla mescolata nella
città, la quale andò in preda de' vincitori. E con la medesima facilità furono,
pochi dì poi, cacciate di Asti alcune genti de' franzesi, entratevi per
introduzione di alcuni de' guelfi della terra.
Ma già a questa
breve e sospetta quiete apparivano approssimarsi princìpi di grandissimi
travagli: perché, se bene nelle diete de' svizzeri fusse stata sopra le dimande
del re di Francia grandissima contenzione, stando ostinati contro a lui i
cantoni di Zurich e di Svith, quello di Lucerna disposto totalmente per lui,
gli altri divisi intra se medesimi, e perturbando le cose publiche l'avarizia
de' privati, de' quali molti dimandavano al re chi pensione chi crediti
antichi, avevano finalmente concedutogli i fanti dimandati per la recuperazione
del ducato di Milano; i quali in numero di più di diecimila calavano già in
Lombardia condotti dal bastardo di Savoia e da Galeazzo da San Severino (questo
grande scudiere, quello gran maestro di Francia), per le montagne di San
Bernardo e di San Gotardo.
Contro a questo
movimento, Cesare, il quale aveva ricevuto in prestanza non piccola somma di
danari dal re di Inghilterra, alienatosi dall'amicizia franzese, avea mandato a
Trento Ieronimo Adorno a soldare seimila fanti tedeschi, per condurgli insieme
con la persona di Francesco Sforza a Milano; la venuta del quale era in quel
tempo stimata di molto momento, per tenere più fermo Milano e l'altre terre
dello stato che sommamente lo desideravano, e per facilitare l'esazione de'
danari con l'autorità e grazia sua, de' quali vi era estrema carestia. Nel qual
tempo medesimo, essendo incognito a Milano il provedimento fatto da Cesare,
aveano i milanesi mandato danari a Trento per soldare quattromila fanti: i
quali essendo già preparati quando l'Adorno vi pervenne, egli, mentre che gli
altri seimila si soldavano, si mosse subito con questi verso Milano, per
scendere per Valle Voltolina a Como; ma negandogli i grigioni il passare, passò
all'improviso e con tanta celerità nel territorio di Bergamo, e di quivi nella
Ghiaradadda, che i rettori de' viniziani che erano in Bergamo non furono a
tempo a impedirlo; e condottigli a Milano, ritornò con la medesima celerità a
Trento, per menare Francesco Sforza e gli altri fanti a Milano. Nella quale
città si attendeva, oltre all'altre provisioni, con grande studio ad accrescere
l'odio del popolo, che era grandissimo, contro a' franzesi, acciò che e'
fussino più pronti alla difesa e a soccorrere co' danari propri le publiche
necessità; cosa molto aiutata, con lettere finte con imbasciate false e con
molte arti e invenzioni, dalla diligenza e astuzia del Morone. Ma giovorono
anche, più che non si potrebbe credere, le predicazioni di Andrea Barbato frate
dell'ordine di Santo Agostino; il quale, predicando con grandissimo concorso
del popolo, gli confortava efficacissimamente alla propria difesa e a
conservare la patria loro libera dal giogo de' barbari inimicissimi di quella
città, poiché da Dio era stato conceduto loro facoltà di liberarsene. Allegava
lo esempio di Parma, piccola e debole città a comparazione di Milano; ricordava
gli esempli de' loro maggiori, il nome de' quali era stato glorioso in tutta
Italia; quello che gli uomini erano debitori alla conservazione della patria,
per la quale se i gentili, che non aspettavano altro premio che della gloria,
si mettevano volontariamente alla morte, che dovevano fare i cristiani, a'
quali morendo in sì santa opera era oltre alla gloria del mondo proposta per
premio vita immortale nel regno celeste? Considerassino che eccidio porterebbe
a quella città la vittoria de' franzesi, i quali se prima, senza alcuna
cagione, erano stati tanto acerbi e molesti loro, che sarebbono ora che si
reputavano sì gravemente offesi e ingiuriati? Non potere saziare la crudeltà e
l'odio immenso alcuni supplìci del popolo milanese, non empiere l'avarizia
tutte le facoltà di quella città, non avere a stare mai contenti se non
spegnessino in tutto il nome e la memoria de' milanesi, se con orribile esempio
non avanzassino la fiera immanità di Federigo Barbarossa. Donde, tanto
immoderatamente era augumentato l'odio de' milanesi, tanto lo spavento della
vittoria de' franzesi, che già fusse necessario attendere più a temperargli che
a provocargli.
Attendeva in
questo mezzo Prospero con grandissima diligenza a riordinare e instaurare i
bastioni e i ripari de' fossi, con intenzione di fermarsi in Milano; nella
quale città, quando bene non fussino venuti i seimila tedeschi, sperava potersi
sostenere per qualche mese: e pensando alla difensione dell'altre terre, aveva
mandato in Novara Filippo Torniello, in Alessandria Monsignorino Visconte,
l'uno con dumila l'altro con mille cinquecento fanti italiani, i quali per non
essere pagati si sostentavano colle sostanze de' popoli; a Pavia Antonio da Leva
con dumila fanti tedeschi e mille italiani; e con lui rimanevano in Milano
settecento uomini d'arme settecento cavalli leggieri e dodicimila fanti.
Restava il pericolo imminente che i franzesi non entrassino per il castello in
Milano. Al quale pericolo per provedere, e per privargli con un fatto medesimo
della facoltà di mettere nel castello vettovaglie o altre provisioni, fece, con
invenzione celebrata sommamente e quasi a' giudici degli uomini maravigliosa,
lavorare fuora del castello, tra le porte che vanno a Vercelli e a Como, due
trincee, alzando a ciascuna, della terra che si cavava da' quelle, uno argine;
la lunghezza de' quali, distanti l'uno dall'altro circa venti passi, si
distendeva circa un miglio, tanto quanto era il traverso del giardino dietro al
castello tra le due strade predette; e a ciascuna delle teste delle trincee uno
cavaliere molto alto e munito, per potere, con l'artiglierie che si piantassino
sopra quegli, danneggiare gli inimici se si accostassino da quella parte: le
quali trincee e ripari, difese da fanti alloggiati in mezzo di quelle,
impedivano in uno tempo medesimo che nel castello non potesse entrare soccorso
alcuno e che niuno degli assediati potesse uscirne. La quale invenzione dovere
essere non meno felice che ingegnosa dimostrò nel principio, con lieto augurio,
la fortuna, concedendo che senza danno alcuno si potesse mettere in esecuzione;
perché essendo caduta in terra una neve grandissima, Prospero, usando il
beneficio del cielo, fece innanzi dì lavorare di neve due argini, alla
similitudine de' quali voleva si facessino i ripari, da' quali rimanevano
sicuri i lavoranti di non potere essere offesi dall'artiglierie che erano nel
castello: le quali opere che si conducessino a perfezione dette comodità
maggiore lo impedimento che dall'essere le montagne coperte di copia
grandissima di neve riceveano i svizzeri a passarle.
Nel quale tempo
Lautrech, avendo con alcune genti mandate di là da Po fatto svaligiare in
Firenzuola la compagnia de' cavalli leggieri di Luigi da Gonzaga, trovata
negligentemente a dormire, riordinava le genti sue; e quelle de' viniziani,
sotto Andrea Gritti e Teodoro da Triulzi, si raccoglievano intorno a Cremona:
le quali, finalmente unite co' svizzeri, passorono il fiume dell'Adda il primo
dì di marzo; essendo capo dello esercito Lautrech, all'autorità del quale non
era derogato per la venuta del gran maestro e del grande scudiere. Venne a
questo esercito nel tempo medesimo Giovanni de' Medici; il quale, benché
condotto a soldi di Francesco Sforza si fusse mosso per andare a Milano, ove
era aspettato con sommo desiderio per la espettazione grande che si aveva della
sua ferocia, nondimeno, stimolato dagli stipendi maggiori e più certi del re di
Francia e allegando, per colore della sua cupidità, il non gli essere stati
mandati i danari promessi da Milano, del parmigiano, ove avea saccheggiato la
terra di Busseto perché ricusava di alloggiarlo, passò nel campo de' franzesi;
il quale alloggiò due miglia appresso al castello tralle medesime vie
Vercellina e Comasina. Messonsi, il terzo giorno che erano venuti, in
ordinanza, facendo sembiante di volere dare la battaglia al riparo; il che non
posono a effetto, o perché così fusse da principio la mente di Lautrech o
perché, considerato il numero de' soldati che erano dentro, la disposizione del
popolo e la prontezza che appariva de' difensori, se ne rimovesse, per la
difficoltà manifesta della cosa: ma il dì medesimo, i sassi di una casa battuta
dall'artiglieria di dentro ammazzorono Marcantonio Colonna, capitano di
grandissima espettazione, e Cammillo Triulzio figliuolo naturale di Gianiacopo,
che presso a quella casa passeggiavano insieme, ordinando di fare lavorare un
cavaliere per potere tirare con l'artiglierie tra i due ripari degli inimici. Ma
Lautrech, non confidando di spugnare Milano, pensava potere con la lunghezza
del tempo pervenire alla vittoria; perché, per la moltitudine de' suoi cavalli
e con tanti fuorusciti che lo seguitavano, facendo correre per la maggiore
parte del paese, dava impedimento assai che non vi entrassino vettovaglie, avea
fatto rompere tutti i mulini, e derivato l'acque de' canali da' quali quella
città riceve grandissime comodità. Sperava similmente che a' soldati di dentro
avessino a mancare gli stipendi; i quali si sostenevano co' danari pagati da'
milanesi, perché da Cesare e del reame di Napoli e di altro luogo ne era
mandata piccolissima quantità. Ma era maraviglioso l'odio del popolo milanese
contro a' franzesi, maraviglioso il desiderio del nuovo duca: per le quali
cose, tollerando pazientemente qualunque incomodità, non solo non mutavano
volontà per tante molestie ma messa in arme la gioventù ed eletti per ciascuna
parrocchia capitani, concorrendo prontissimamente dì e notte le guardie a'
luoghi remoti dall'esercito, alleggerivano molto le fatiche de' soldati. Nel
qual tempo essendo, per la ruina delle mulina, mancata la farina, providdono
presto con le mulina a secco a questa incomodità.
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